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Opinioni

Analisti, vil razza dannata!

Guai in Italia se un analista esprime qualche dubbio riguardo obiettivi più o meno ambiziosi annunciati da banche, assicurazioni, aziende o finanche dallo Stato. Si rischia di passare per complottisti. Eppure…
A cura di Luca Spoldi
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Merkel - Sarkozy

Funziona più o meno così in Italia: voi chiedete dati a qualche società o intermediario finanziario in vista di un articolo di approfondimento o di un report finanziario, magari avete un colloquio con un manager del gruppo che si mostra orgoglioso dei risultati fin qui ottenuti e ragionevolmente fiducioso sulla possibilità di centrare gli obiettivi fissati per l’anno in corso. Voi magari, considerando gli alti e bassi dei mercati finanziari di questi mesi, le incertezze del quadro macroeconomico, le incognite politiche sulla tenuta del governo e sull’effettiva portata dei provvedimenti fiscali e a favore di liberalizzazioni e rilancio dell’economia esprimete qualche dubbio o anche solo sottolineate come gli obiettivi  indicati siano sfidanti e per nulla scontati da raggiungere. E invariabilmente, qualche giorno dopo la pubblicazione del pezzo o del report, vi giunge una telefonata da parte dell’ufficio stampa dell’azienda o dell’intermediario finanziario in questione che si complimenta con voi per quanto avete scritto, formalmente inappuntabile “e però ci tenevamo a dirti che ci siamo rimasti male dei dubbi espressi, era proprio necessario farlo?”.

Dipende: se i dubbi sono stati formulati non vuol dire che l’analista in questione pensi tutto il male possibile della società o intermediario oggetto della sua analisi o commento, ma appunto che ha dei dubbi più o meno elevati rispetto agli obiettivi formulati. Magari solo per la possibilità di eventi esogeni che rendano difficile centrarli, magari perché il gruppo in questione è da tempo oggetto di rumors riguardo possibili passaggi di proprietà o nuove fusioni in vista, o cessione di alcune attività non ritenute più strategiche, tutti eventi che in qualunque momento potrebbero creare qualche turbativa all’ordinaria gestione ma che in questi mesi possono portare anche a sorprese molto negative. Eppure banche, assicurazioni e aziende italiane in genere mal sopportano questa “carenza di fiducia”, tanto più se, pare scandaloso, essa viene manifestata dopo la disponibilità del gruppo a collaborare con l’analista o il giornalista fornendogli ogni dato richiesto. Quasi a dire “ma come, noi siamo stati trasparenti e tu così ci tratti?”.

Inutile quasi sempre spiegare che non c’è nessuna voglia di “bacchettare” l’uno piuttosto che l’altro, l’inclinazione a vedere complotti all’opera è dentro ognuno di noi, si direbbe. Del resto basterebbe vedere il successo di cui godono le teorie sulla “cattiva speculazione” che “ingiustamente” punisce questo o quel titolo quando non direttamente un intero paese (come l’Italia), causando danni non trascurabili sotto forma di aumento del premio per il rischio richiesto dai mercati per assorbire nuove azioni o obbligazioni o titoli di stato del “reo”. Anche qui, quasi sempre è inutile far notare che è la cattiva gestione degli anni precedenti o la mancata scelta di adeguate politiche economiche ad aver portato nel vicolo cieco attuale sia singole aziende sia intere aree economiche (come Eurolandia), la tentazione di dire che la crisi è sempre “un’invenzione dei media” o, se proprio è palese, è colpa di “altri” e non nostra è fortissima.

Così eviterò stasera di raccontarvi dei rumors che girano attorno ad alcune banche come Mps o Ubi Banca piuttosto che la possibilità di un ventilato intervento della mano pubblica (sotto forma di CdP) nei casi Unipol-FonSai piuttosto che in casa Montepaschi, eviterò di sottolineare eccessivamente i miei dubbi sulla strategia delle banche italiane di risolvere i problemi patrimoniali minimizzandoli e tentando di affrontarli a suon di “liability management” (ossia utilizzando fondi sostanzialmente reperiti grazie alla Bce per riacquistare propri bond e così ridurre la quantità di capitale Tier 1 ulteriormente necessario agli occhi dell’Eba), eviterò di ripetervi che una gestione della crisi del debito greco unicamente basata su patti fiscali fortemente prociclici e su una strategia del rinvio rischia di “giapponesizzare” la crisi del debito sovrano europeo condannandoci ad almeno un decennio di crescita zero (il che per l’Italia vorrebbe dire completare un intero quarto di secolo di immobilismo economico, con tutto quello che sul piano sociale e generazionale questo comporta).

Però permettetemi senza che nessuno si prenda collera, i miei dubbi riguardo i punti sopra esposti ed altri ancora (a cominciare dalla capacità di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, entrambi fortemente condizionati da calcoli elettorali nazionali e incapaci finora di affrontare la crisi con una più ampia prospettiva europea) restano inalterati, come pure i dubbi che le aziende, le banche e le assicurazioni italiane saranno così facilmente in grado di centrare obiettivi che richiederebbero mercati domestici ed internazionali in crescita, non in stagnazione o in recessione. O almeno una più forte presenza su quei mercati esteri (dall’Asia agli Stati Uniti) dove la crisi economico-finanziaria non produce condizionamenti così marcati.

Purtroppo ci troviamo a convivere con una crisi che non vuol passare per la totale incapacità dei protagonisti di trovare un accordo comune e per le incertezze che questo stato di cosa provoca lungo tutta la filiera economica dagli investitori industriali al sistema creditizio fino alle famiglie di consumatori. Negare l’evidenza e ostentare un ottimismo di facciata non modificherà la realtà, purtroppo. Anche per questo, nonostante tutto, trovo più sopportabili le continue gaffes e la spocchia dei “professori” al governo che i sorrisi amabili di certi politici, banchieri e industriali. Voi no?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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