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Amianto a cielo aperto nel deserto di Bagnoli (REPORTAGE)

Se qualcuno pensa che l’Eternit sia un reperto del passato, si sbaglia di grosso. A Bagnoli, la micidiale fibra continua ad avvelenare. Un viaggio tra degrado e scenari inquietanti che coinvolgono la “lobby dell’amianto”.
A cura di Gaia Bozza
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L'amianto non fa parte del passato: a vent'anni di distanza dalla sua messa al bando, Napoli continua a risentire dei suoi effetti drammatici dal punto di vista ambientale e per la salute dei cittadini. A Bagnoli, all'interno dell'ex fabbrica Eternit e anche in strada la letale fibra è all'ordine del giorno: ve lo mostriamo in questo reportage, un tour del degrado realizzato insieme all'Osservatorio Nazionale Amianto e ai parenti di alcune vittime. I sacchi di amianto sono ancora lì, esposti alle intemperie. E ancora, intorno al sito dismesso, a ridosso delle abitazioni e in un contesto di generale abbandono, ci sono teloni che coprono alla meglio la micidiale polvere bianca. E' la punta dell'iceberg di un problema vastissimo.

Il processo Eternit si è chiuso in primo grado con la condanna a 16 anni del magnate svizzero Stephan Schmidheiny e del barone belga Louis De Cartier, ex vertici della multinazionale, per disastro ambientale doloso e omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Una sentenza "storica" a metà: per Bagnoli, a Napoli, così come per Rubiera, in Emilia Romagna, i reati sono finiti in prescrizione. Ma l'Eternit continua a uccidere e inquinare, silenzioso, e a quelle 600 vittime dello stabilimento campano si aggiungono continuamente nuovi casi di tumori maligni e malattie correlate all'amianto anche in persone che non hanno mai lavorato in fabbrica. Il procuratore Raffaele Guariniello e il suo pool di magistrati hanno presentato ricorso: il disastro ambientale non è mai finito.

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C'è poi un secondo fronte aperto del processo Eternit, quello per omicidio colposo. Ma potrebbe esserci un cambiamento del capo di imputazione: omicidio volontario con dolo eventuale. La tesi dell'accusa è che i vertici Eternit sapessero che le fibre di amianto erano mortali. Si suppone che loro pericolosità fosse conosciuta già nel 1906: è quanto emerge da una sentenza di quell'anno, che assolve proprietario e gerente di un giornale chiamati in causa dalla British Asbestos perché appoggiavano le richieste salariali e di riduzione d'orario lavorativo degli operai in virtù del fatto che "l'industria dell'amianto – si legge – è più nociva delle altre e fa annualmente un considerevole numero di vittime". Eppure, un video-choc realizzato dall'Istituto Luce negli anni Trenta e presente nell'archivio dell'Osservatorio Nazionale Amianto, conseguito attraverso le indagini difensive dell'avvocato Ezio Bonanni e di cui siamo in grado di presentarvi alcune immagini, mostra gli operai mentre lavorano a mani nude e senza protezioni. Ancora, nel 1943 un disegno di legge dispone misure di tutela e assicurazione contro le malattie professionali da silicosi e asbestosi (asbesto è un sinonimo di amianto).

Più avanti, nel 1976 in una relazione rinvenuta tra le carte dell'azienda Amiantifera Balangero di Torino, collegata alla Eternit, si chiede ai dipendenti di dissociarsi dalle tesi e non nominare mai l'americano Irving Selikoff, il primo scienziato al mondo che ha dimostrato che l'amianto uccide. E in un appunto manoscritto datato 1978, relativo ad una riunione che si tenne presso l'Assocemento, si accenna ad un incontro con il ministro della Salute dell'epoca per bloccare una legge a tutela dei lavoratori dell'amianto. Le misure di prevenzione del cancro nelle aziende di estrazione e lavorazione di amianto furono introdotte 13 anni dopo, nel 1991. E la messa al bando dell'asbesto fu decisa solo nel 1992.

DALL'ARCHIVIO DELL'ONA:

Amianto, una delle prime sentenze (1906)

Disegno di legge su tutela lavoratori amianto, 1943 (Camera Dei Fasci e Delle Corporazioni)

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