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Opinioni

Altro che Imu e Iva: Standard & Poor’s teme la decrescita italiana

S&P’s lima il rating sovrano italiano e i politici nostrani si scatenano contro l’agenzia. Ma che ha detto S&P’s? Che dopo dieci anni di crescita nulla, senza riforme l’Italia non vedrà alcuna luce in fondo al tunnel.
A cura di Luca Spoldi
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Di che stiamo parlando, anzi di che stanno parlando i politici italiani che in queste ore tornano a raccontare favole di complotti internazionali, di agenzie di rating “vil razza dannata” che minacciano la sovranità nazionale che si vorrebbe rappresentata dalla scelta, del tutto indifferente sul piano pratico ma per qualcuno importante in vista della prossima campagna elettorale, di ridurre (o abolire) l’Imu sulla prima casa (che come vi ho già spiegato non è stata più che tanto presa di mira dall’Fmi checché alcuni ne pensino) e rinviare il previsto aumento dell’Iva (di un punto percentuale… anche in questo caso con effetti del tutto trascurabili sui consumi che infatti non sono aumentati in previsione di un successivo possibile incremento dell’imposta né dopo il suo slittamento)? Ieri pomeriggio a mercati chiusi Standard & Poor’s ha annunciato il calo di un notch, da “BBB+” a “BBB”, del rating a lungo termine della Repubblica Italiana (il rating a breve termine è invece rimasto stabile ad “A-2”), con outlook “negativo”, a causa dei timori di un “ulteriore peggioramento delle prospettive per l’economia italiana dall’alto di un decennio di crescita reale media pari a -0,04%” e dopo che “nel primo trimestre del 2013 la produzione economica è risultata dell’8% inferiore a quella dell’ultimo trimestre del 2007”.

Chi vi racconta che le agenzie di rating cercano subdolamente di far cadere i governi “non allineati” con qualche oscuro e segreto “ordine mondiale”, semplicemente, vi sta raccontando una panzana. Leggiamo insieme la nota originale e non i take d’agenzia: “In our view, the low growth stems in large part from rigidities in Italy’s labor and product markets. Eurostat data suggests that wages have become misaligned with underlying productivity trends, weighing on Italy’s competitiveness. As a consequence, according to Eurostat data, nominal unit labor costs have increased more in Italy than in any other major sovereign member of the European Economic and Monetary Union (Emu or eurozone). Also reflecting deteriorated competitiveness, between 1999 and 2012 Italy’s share of the global goods and services market declined by about one third”. Il quadro è noto e l’azione di S&P’s sembra quasi scontata quanto i consigli giunti dall’Fmi la scorsa settimana: poiché per oltre un decennio le rigidità (mancate riforme) del mercato del lavoro hanno di fatto sganciato i salari dalla produttività (finendo così, aggiungo io, col premiare i mediocre e penalizzare i migliori, che infatti quando hanno potuto hanno salutato e sono andati all’estero) “più che in qualsiasi altro sovrano” dell’Emu o dell’eurozona, la competitività delle imprese italiane è calata e con essa la “quota di mercato” mondiale dell’Italia in termini di prodotti e servizi scambiati.

Ma guarda: non è l’Imu a preoccupare? Non è l’Iva, il rinvio del suo aumento o le sue precarie coperture a terrorizzare gli esperti? Forse, ma anche no: sono le prospettive economiche in via di peggioramento (altro che luce in fondo al tunnel) dopo “un decennio di crescita reale mediamente pari a -0,04%” e un Pil destinato a restare “sotto i livelli del 2007” anche quest’anno. Diciamolo meglio: il resto del mondo è in gran parte ripartito (anche se qualcuno ha dubbi circa la consistenza e durata della ripresa, dagli Usa alla Gran Bretagna e persino ai paesi emergenti come la Cina), l’Italia no. Perché? Perché, come ripeto da oltre un anno, senza riforme un paese si atrofizza e muore. Non volere vedere il problema non è segno di acume politico o di amore per la patria, semplicemente è la conferma della profonda ignoranza economica dell’Italia e dei suoi rappresentanti politici che anche mentre la nave affonda litigano su chi debba pagare il caffè al bar. Ma non è finita qui: secondo l’agenzia sul rating hanno pesato anche fattori legati al canale creditizio.

Riprendiamo la lettura della nota originale: “real interest rates on loans to Italy’s non-financial corporations in the private sector are well above the levels of before the global financial crisis, despite a large output gap (estimated by the European Commission at 4% of potential output) and the European central bank’s unprecedented monetary easing”. Chiaro? Nonostante un ampio output gap (la distanza tra la crescita effettiva del Pil e quella potenziale), ossia sostanzialmente nonostante un calo della domanda di credito (perché nessuna impresa chiede nuovi prestiti se non prevede una ripresa della domanda, in particolare di quella domestica) i tassi d’interesse reali applicati alle aziende private restano “ben oltre i livelli antecedenti la crisi finanziaria globale”. Il credit crunch è tra noi e non se ne vuole andare, insomma.  In più, continuano gli esperti, con un debito pubblico stimato pari al 129% del Pil a fine 2013 “tra i più alti di tutti i debitori sovrani” servirebbe un surplus di bilancio “attorno al 5% del Pil” per iniziare a far calare quel rapporto in assenza di crescita.  Ehi, ferma un momento: il 5% di una cifra attorno ai 1.500-1.600 miliardi di euro (il Pil italiano nel 2013 dovrebbe sfiorare i 2.024 miliardi di dollari in termini nominali secondo le stime di S&P’s, ossia circa 1.555-1.560 miliardi di euro) significherebbe un avanzo di 75-80 miliardi di euro, miliardo più miliardo meno (altro che l’Imu o l’Iva, per i quali si parlava di un paio di miliardi di coperture che peraltro non sembrano essere state ancora realmente trovate).

Una simile cifra è impensabile possa essere il frutto di “virtuosi” risparmi sulla spesa corrente o di una nuova manovra (visto che ormai gli italiani che non evadono le tasse lasciano nelle casse del fisco, mediamente, già oltre metà del reddito prodotto) e anche gli uomini di Standard & Poor’s lo sanno, per questo spiegano: “Risks to achieving such an outturn over the forecast horizon appear to be increasing, in our opinion. For 2013, we already see the budgetary target potentially at risk given differing approaches within the coalition government to bridging a fiscal shortfall. The shortfall is the result of the suspension of property tax on owner-occupied houses and the potential delay of a planned increase in the value-added tax”. Ossia è già tanto se i “nostri eroi” (si fa per dire) del governo “del fare” (poco poco, piano piano) non  si inguaieranno con le proprie mani, ancora più difficile che riescano ad estrarre l’asso dal mazzo visto anche che “current expenditure is disproportionately high compared with capital expenditure; tax levels on capital and labor are higher than those on property and consumption”. Troppe spese correnti, troppo pochi investimenti, tasse sul capitale e sul lavoro a livelli più alti di quelli su proprietà e consumi.

Si dovrebbe andare nella direzione già prevista dal governo Monti e che per motivi elettorali ora si rimette in discussione, di un riequilibrio delle tasse che costituisca la premessa per una loro successiva riduzione via via che si avrà qualche segnale di ripresa. Continuare a insistere negli stessi errori che ci hanno condannato da un decennio di decrescita infelicissima (secondo Standard & Poor’s, ma Banca d’Italia ha già ricordato più volte che sono oltre 15 anni che in Italia non si vede alcuna crescita in termini reali del Pil) non è umano, è diabolico. E il costo di questo comportamento irresponsabile ricadrà su tutti noi e i nostri figli e nipoti. Vi è più chiaro detto così cosa ha spinto Standard & Poor’s (che di mestiere deve cercare di indicare quanto sia più o meno rischioso detenere debito di aziende private e governi) a limare il nostro rating lasciando l’Italia tra gli “osservati speciali” come ha ammeso anche il premier Enrico Letta saputa la notizia?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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