“I 366 morti di Lampedusa non sono serviti a niente, le parole del Papa non sono servite a niente, siamo tornati a prima di Mare Nostrum”. Le parole del Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini rendono bene lo sconforto di fronte all’ennesima tragedia del mare: trenta morti, forse molti di più, decine di persone ricoverate in condizioni gravissime. È sconforto, ormai. Non rabbia, né indignazione, né dolore.
Ancora una volta siamo a contare i morti dell’ennesima tragedia annunciata. E stavolta siamo un po’ più colpevoli, o almeno così dovremmo sentirci tutti. Perché condividiamo la responsabilità morale di tragedie del genere con chi ha scelto, senza uno straccio di motivazione valida (perché no, non c’è uno straccio di motivazione valida), di rinunciare a Mare Nostrum. Con chi ci ha raccontato che in fondo l’emergenza era finita e non era necessario proseguire un’operazione “umanitaria” di così vaste proporzioni. Con chi ogni giorno ha sparato cifre a caso sui costi esorbitanti di Mare Nostrum. Con chi ha strumentalmente legato il pattugliamento delle coste con il business dell’accoglienza. Con chi ha speculato sulla pelle dei migranti. Con chi ha urlato che “ben altri” sono i problemi del Paese e dunque “prima gli italiani”.
E lo sconforto maggiore è perché, in fondo, non sappiamo nemmeno se è colpa nostra. Perché magari con Mare Nostrum non sarebbe cambiato nulla: avremmo fatto il possibile, avremmo potuto guardarci allo specchio (come popolo) con dignità, certo, ma in fondo sarebbe stata una magra consolazione. E perché, lo sappiamo, il mondo in cui in centinaia sono così disperati da imbarcarsi su una carretta del mare, in pieno inverno e a rischio della propria vita, non è certo il migliore possibile. E in questo caso, davvero, non possiamo sentirci assolti in alcun modo.