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Alitalia in svendita? Ma anche no

Ethiad chiede ad Alitalia di tagliare 2.200 dipendenti e alle banche di rinunciare a 560 milioni di prestiti a suo tempo concessi. Stiamo “svendendo” l’ex compagnia di bandiera o l’errore è stato fatto a monte nel 2008 quando rifiutammo le offerte di Air France? Facciamo due conti…
A cura di Luca Spoldi
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Marzo 2008: Air France-Klm invia una proposta di accordo quadro su Alitalia ai sindacati, proponendo 2.100 esuberi assieme a un  piano di “accompagnamento sociale” così da “non abbandonare nessun dipendente”, ma la proposta non convince i sindacati che dicono no al piano (dicendosi disponibili a ulteriori trattative). Intanto Il piano industriale proposto dai francesi si basava, secondo l’allora amministratore delegato Jean Cyril Spinetta, sul solo obiettivo “di permettere alla compagnia di riannodare l’attività al circolo virtuoso della crescita redditizia e dunque di ristabilire le basi di un futuro sviluppo ambizioso” e prevedeva l’accollo da parte francese di tutti i debiti ( circa 1,5 miliardi di euro) e l’impegno a mantenere l’autonomia organizzativa della compagnia.

Mentre i sindacati nicchiavano il (secondo) governo Prodi cadeva e il (quarto) governo Berlusconi subentrava, rimescolando le carte: contrario alla “perdita di italianità” della compagnia il leader del Pdl si impegnava (e riusciva,  grazie all’intervento di Intesa Sanpaolo, “banca di sistema” guidata all’epoca da Corrado Passera, poi ministro per lo Sviluppo economico e le Infrastrutture e Trasporti del governo Monti, che con un sol colpo “sistemava” Alitalia ed Air One, principale concorrente italiano di Alitalia di cui la stessa banca era la principale creditrice) a convincere Cai, una cordata di “imprenditori patrioti” (una buona parte dei quali ha avuto poi guai con la giustizia italiana, ma questa è un’altra storia), a prendersi la “parte sana” di Alitalia previo lo scorporo (in una “bad company”) della parte “malata” della compagnia e lo stanziamento da parte pubblica di 800 milioni di “prestiti ponte” (sostanzialmente a fondo perduto). Costo dell’operazione, tra minori introiti per la compagnia (e il suo azionista di controllo, il Tesoro italiano) e maggiori oneri per i contribuenti: circa 4,5 miliardi di euro, secondo i calcoli di Pietro Ichino.

Fin qui la storia, ma agli italiani la storia evidentemente poco insegna visto che quasi sei anni dopo la situazione sembra potersi ripetersi, con una compagnia estera (questa volta extraeuropea, Ethiad  la più piccola delle tre compagnia aeree del Medio Oriente) che prova a fare un’offerta senza peraltro suscitare entusiasmi se non da parte dei politici che tentano di appuntarsi il merito di aver trovato qualcuno disponibile ad entrare nel capitale di una compagnia che dal 2009 non ha mai smesso di perdere soldi (anzi, negli ultimi cinque anni ha bruciato oltre 1,2 miliardi). Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit (già apparsa fredda), tra le banche più esposte, con 140 milioni di crediti, insieme a Intesa Sanpaolo, 280 milioni di esposizione, Mps, 93 milioni, e Banca Popolare di Sondrio, per un'altra novantina di milioni, parla di “richieste pesanti” (riferendosi alla condizione di ottenere uno stralcio del 30% dei debiti, pari a 560 milioni di euro, di cui 180 milioni sarebbero da cancellare e 380 da trasformare in capitale Alitalia-Cai), ma ammette: “è un progetto che tira fuori Alitalia dal sistema e la rende competitiva, è un’azienda che può stare sul mercato”.

Nella sua proposta Ethiad parla di 2.200 esuberi strutturali (poco meno dei 2.500-3.000 che si erano ipotizzati), ossia personale che dovrà lasciare l’azienda e per il quale non si può pensare di attivare procedure di cassa integrazione a rotazione e contratti di solidarietà. In cambio la compagnia di Abu Dabhi mette sul piatto 560 milioni di euro (10 in più dei 550 milioni di cui aveva finora parlato la stampa italiana) per rilevare il 49% della compagnia, così da non perdere la definizione di compagnia aerea Ue, e si propone, logicamente, di rilanciare l’azienda (e implicitamente di salvare i restanti 11 mila posti di lavoro), ma i sindacati nicchiano, perché si sa “il mercato italiano del trasporto aereo fa gola” come (improvvidamente) dichiarò il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, in quell’infausto marzo 2008.

A questo punto i tempi sembrano (finalmente) stretti: venerdì 13 giugno torna a riunirsi il Consiglio di amministrazione di Alitalia (che venerdì ha espresso il suo “apprezzamento” per la proposta di Ethiad) per varare il bilancio 2013 da sottoporre all’assemblea dei soci per l’approvazione il 29 giugno. Nel frattempo il governo vedrà i sindacati e il Governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che ovviamente fa “il tifo” per Malpensa (il ministro delle Infrastrutture in carica, Maurizio Lupi, ha già fatto sapere che il governo ritiene Malpensa “uno scalo strategico” e che le intenzioni di Alitalia sarebbero di raddoppiare da 250mila a 500mila i passeggeri che partono da quello scalo, chissà se Ethiad è d’accordo). Poi forse si potrà iniziare a parlare di come Ethiad intenda nel concreto rilanciare Alitalia (e in che ruolo).

Adesso, senza che ve lo debba dire io: secondo voi stiamo “svendendo un pezzo di Italia ai “barbari invasori”, o chi ha deciso nel 2008 che andava difesa a tutti i costi l’italianità di Alitalia, senza peraltro sapere o potere (e comunque riuscire) a metter mano per ristrutturare una volta per tutte la compagnia, come si fa in tutti i paesi civili del mondo, così da renderla in grado di operare con profitto e possibilmente non ai danni degli utenti (come invece è sicuramente capitato con la “soluzione Cai”, accettando un monopolio di fatto su tratte come la Milano-Roma), ha solo finito con lo sprecare denaro pubblico e privato (di banche e aziende intervenute a vario titolo nella vicenda), nel vano tentativo di piegare la realtà ai propri desideri? Perché purtroppo la “soluzione Alitalia”, se così la vogliamo definire, sembra essere stata adottata di frequente in questi anni nel Belpaese e il rischio che nei prossimi mesi ulteriori situazioni critiche emergano in modo dirompente è più che concreto in un paese che da oltre 15 anni non cresce e sembra aver smarrito ogni capacità di immaginare il suo futuro.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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