Il 19 maggio la rivista americana Forbes scrive: “Alcoa è il leader mondiale nella produzione e gestione di alluminio primario, lavorato e allumina”. Lo dice Forbes, eppure nei giornali italiani non leggeremo valutazioni di questo tipo a proposito della multinazionale americana. In Italia, in Sardegna, nel Sulcis provincia più povera d’Italia, Alcoa non vale più nulla. E dal 3 maggio gli operai dormono in tenda, nel presidio allestito davanti la fabbrica. Oggi, invece, manifesteranno a Roma, davanti al ministero dello sviluppo economico.
Il presidio ha già superato il mese. Ma lo stabilimento che fu di Alcoa e ancora in dismissione: “La situazione è drammatica”, spiega Manolo Mureddu, rappresentante degli operai delle ditte in appalto Alcoa, ridotte sul lastrico dalla chiusura dell’azienda lo scorso gennaio. “Vogliamo incalzare il governo Renzi perché spinga sulle trattative di vendita”.
Già, perché non troppo tempo fa l’alluminio dello stabilimento sulcitano valeva qualcosa. E quindi si spera, ancora una volta dopo 5 anni di trattative, che il governo possa riportare alla ribalta la vendita del cuore dell’industria sarda: “Hanno fatto questo accordo per l’Electrolux”, si chiede Manolo, “Perché non fanno la stessa cosa per noi? Il Sulcis è una zona d’emergenza”.
Rilanciare la vertenza, di cui non si parlava più dalle scorse elezioni politiche, nel febbraio 2013. Quella volta che Grillo venne a trovare gli operai che occupavano un tunnel in fondo alla miniera. Per questo ora, operai diretti e dell’indotto in cassa integrazione, sono in presidio permanente fuori dalla fabbrica. E hanno allestito un vero e proprio campo base, fatto di tende: “Vengono molte persone a portarci la loro solidarietà, a farci coraggio”, spiega Pierpaolo Gai, che al presidio ci dorme.
A vederlo da lontano, il campo di tende davanti la fabbrica, che inizia a mostrare le ruggini del tempo, fa una strana impressione. Come fossero arrivati i soccorsi umanitari per arginare un cataclisma naturale, come se qui le vittime della perdita del lavoro vivessero una situazione di emergenza simile a un terremoto.
I numeri forniti dal ministero del lavoro sul 2013, in effetti, parlano di una vera e propria strage: su 128.000 abitanti della provincia, 29.151 sono disoccupati. Di questi l’88% è iscritto al servizio per il lavoro, il 7% in mobilità, il 5% in cassa integrazione. Tra Alcoa, Eurallumina e ex Ila (tre fabbriche una volta collegate) sono coinvolti 1.500 cassintegrati, a cui bisogna aggiungere le persone che lavoravano negli appalti. I lavoratori in cassa in deroga, quelli per cui mancano i fondi da 5 mesi, sono 1.133.
Le ragioni per cui Alcoa lascia la Sardegna, e l’Italia, sono ancora tutte lì: “Assenza di infrastrutture. Costi elevati dell’energia. Governo nazionale inaffidabile”. Davvero il governo Renzi avrà la volontà di occuparsi di questa polveriera pronta a esplodere? E come farà senza incorrere negli aiuti di stato vietati dall’Unione Europea (E per cui Alcoa ha già dovuto restituire circa 300 milioni di Euro?). “Ti assicuro, è una priorità”, risponde su twitter Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione del Pd, a un operaio che gli chiede se si occuperanno di Alcoa.
Nel frattempo, un attesa estenuante: “La situazione è drammatica fra i lavoratori dell’indotto”, racconta Mureddu, “Con la cassa in deroga che non arriva da 5 mesi siamo costretti a organizzarci facendo raccolte alimentari, collette di solidarietà”. Dove lo Stato non arriva, con gli ammortizzatori sociali, le famiglie si organizzano da sole. "Non si tratta più di un problema di carattere sindacale ma di ordine pubblico”, dice il sindacalista Rino Barca. Per i lavoratori diretti ex Alcoa, invece, la cassa andrà avanti fino a dicembre, poi – se non si riparte – arriverà la mobilità.
Al presidio i giorni passano inesorabili, le settimane: “Buongiorno. Notte bagnata, molto bagnata ma sempre al coperto. Non si molla mai”, scrive sul suo profilo Facebook Pierpaolo Gai, come una sorta di diario di bordo. “Si lotta senza sosta per tutti i colleghi e per il bene del Sulcis Iglesiente”. Scrive: “Ad oggi il presidio è vivo grazie al sacrificio di colleghi Alcoa e degli appalti che vogliono dimostrare che la vertenza non è morta, perché c’è ancora la possibilità che lo stabilimento possa riaprire”.
Esiste la speranza che si possa trovare un compratore? La storia dell’Alcoa non lascia spazio a troppe speranze: nonostante 22 offerte di interesse per l’acquisto nessuna è andata in porto. E quella più seguita di recente, della svizzera Klesch, pare essere ormai considerata del tutto inconsistente dal governo. Sulle trattative, fra gli operai, aleggiano gli stessi sospetti che ci furono per la Vinyls e l’Eni: “Che l’Alcoa preferisca non si trovi un compratore, perché potrebbe farle concorrenza”. E se le le istituzioni non ci pensano, se la fortuna non li sente, forse per gli operai è il momento di forzare la mano. “Presto dovremo tornare a manifestare a Roma”, conclude Pierpaolo Gai.