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Opinioni

Ai mercati l’incertezza politica in Italia e Usa non fa troppa paura

La ripresa, gradualmente, si sta consolidando nel mondo. Ma in Italia, come negli Usa, l’incertezza politica rischia di impedire di coglierla. E’ un problema culturale fondamentale da risolvere se vogliamo avere un futuro…
A cura di Luca Spoldi
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La “spazzatura” italiana, con le continue “sparate” di Silvio Berlusconi e i tentativi di “fare chiarezza” da parte di Enrico Letta non sembra preoccupare i mercati finanziari mondiali, come in verità neppure il temuto “government shutdown” puntualmente scattato alla mezzanotte di Washington (quando in Italia erano le 6.00 del mattino), anche se in questo secondo caso come già ricordava Moody’s i danni sono molto più tangibili e stimabili in 200 milioni di Pil perso al giorno, qualcosa come l’1,4% in meno di crescita se la “serrata” governativa dovesse continuare a causa del protrarsi dell’esercizio provvisorio, a fronte di un braccio di ferro tra Repubblicani (che cercano di affossare la riforma sanitaria voluta da Obama e odiata dagli estremisti del Tea Party che sono finora riusciti a condizionare le “colombe” interne al partito) e Democratici (che provano a rispondere che ai tagli alle spese preferiscono incrementi selettivi di imposte, visto che quelle sulle società e sui contribuenti più ricchi sono da tempo sui minimi storici).

Si sa, i mercati sono molto meno irrazionali di quanto possano apparire ai “non addetti ai lavori”. Se la crisi italiana proseguisse è vero che l’incertezza aumenterebbe in particolare per quanto riguarda la capacità di centrare gli obiettivi concordati in sede Ue per il 2014, come hanno segnalato ieri gli analisti di Fitch Ratings, ma è anche vero che è improbabile che rendimenti e spread sui titoli di stato (e dunque il costo del debito pubblico, tasto particolarmente sensibile per il nostro paese) possano schizzare alle stelle come nel novembre 2011, quando la caduta del governo Berlusconi fece volare il rendimento del Btp decennale al 7,48% e lo spread contro Bund sopra il 5%, mentre ora lo stesso oscilla sul 4,58% con uno spread attorno al 2,80%, in quando la Bce di Mario Draghi continua a monitorare la situazione e sarebbe pronta, secondo la maggior parte degli analisti, a iniettare nuova liquidità a lunga scadenza (attraverso una terza Ltro e dopo che parte delle banche europee ha già rimborsato i soldi avuti con le prime due operazioni)  ed eventualmente limare ulteriormente i tassi ufficiali sull’euro entro fine anno.

Nella sostanza però Draghi compra tempo da oltre un anno, come ha fatto la Federal Reserve di Ben Bernanke (che a fine gennaio lascerà la poltrona alla sua vice, Janet Yellen), quel tempo che i politici italiani, come quelli americani, stanno sprecando con grave danno per le prospettive di milioni di lavoratori da entrambe le parti dell’oceano Atlantico. Non può stupire nessuno che a fine agosto il numero di disoccupati sia cresciuto ancora in Italia (altre 42 mila unità, per un totale che è ormai arrivato a 3,127 milioni di persone, 395 mila in più dell’anno precedente), con una disoccupazione ormai pari al 12,2% che nasconde un tasso di disoccupazione giovanile su livelli greci o spagnoli: 40,1%. Per inciso neanche in America le cose sono così floride come sembrano, con 2 milioni di posti di lavoro persi da quando è partita la ripresa (non la recessione).

Si diceva una volta che “il perder tempo a chi più sa più spiace ed è vero. Chi meno sa, purtroppo, sembrano in Italia come negli Stati Uniti proprio i nostri rappresentanti politici e le minoranze di votanti che li eleggono. Il problema alla radice, ho provato a spiegarlo tante volte, è culturale: si guarda ai problemi legati ad un mondo che cambia alla velocità della luce, a volte anche  “nonostante” i suoi protagonisti (basti pensare ai nefandi “salotti buoni” italiani, che stanno crollando uno dopo l’altro sotto il peso delle storture economico-finanziarie da loro stessi create e alimentate per anni), con occhi vecchi, con menti abituate a certi ragionamenti, alla ricerca di certe soluzioni e di certi compromessi. Tutta “spazzatura”, non solo italiana, che poteva andare bene quarant’anni fa, quando i vecchi che siedono ai vertici delle nostre istituzioni e delle nostre maggiori imprese e banche erano giovani imprenditori o novelli funzionari agli inizi, spumeggianti, delle rispettive carriere. Quando non esisteva la globalizzazione, quando c’erano pochi scambi internazionali, sia di merci e servizi sia di cultura e stili di vita.

Quel mondo (per fortuna) è finito e non tornerà, nonostante le nostalgie e i miraggi che alcuni tuttora inseguono. Per adeguarsi al nuovo c’è solo un modo: aprirsi ad esso, confrontarsi, studiare, immaginare nuovi servizi, nuovi prodotti, nuove forme di organizzazioni e nuove funzioni di produzione, oltre naturalmente a un nuovo modello creditizio che consenta di far arrivare i capitali a quelle imprese e quei settori più promettenti, non a quelli più “vicini” per amicizia, clientela o colore politico. Ma il “perdere tempo” impedisce tutto questo, fa scivolare sempre più ai margini intere fasce di popolazione (soprattutto donne, giovani e famiglie che un tempo sarebbero appartenute al cosiddetto “ceto medio”), aumentando il divario tra un manipolo di vecchi e nuovi ricchi, di grandi evasori, di banchieri, manager e politici pagati più di quanto meriterebbero grazie a logiche di “cooptazionein cerchi più o meno “magici”.

Mentre la gran parte della società, noi, i nostri figli, vede diminuire il proprio reddito disponibile (sempre più aggredito dalle tasse a fronte delle quali vengono erogati sempre meno servizi e di sempre minore qualità), deve decidere se consumare meno o risparmiare meno (o deve ridurre entrambe le voci di bilancio), non può permettersi di mandare i figli all’estero (dove potrebbero confrontarsi con realtà più aperte e competitive di quella italiana e dove forse potrebbero trovare delle prospettive per il proprio futuro), deve limitarsi a traccheggiare, ad accontentarsi di “quello che passa il governo”. Ed è un vero peccato, perché nonostante tutto la ripresa sta gradualmente consolidandosi in giro per il mondo, l’Asia tira, l’Africa è una promessa che potrebbe finalmente realizzarsi (se non ci saranno ulteriori sconvolgimenti politici), l’America resta una terra ricca di opportunità (oltre che di rischi), persino l’Europa (almeno al Centro Nord) ha smesso di cadere. Non riuscire ad agganciare la ripresa sarebbe un delitto, ben più che la “spazzaturasu Imu e Iva di cui sono pieni i titoli dei giornali italiani in questi giorni.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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