Non so voi ma io ho quasi la nausea delle polemiche che seguono immancabilmente ogni annuncio di revisione dei rating da parte delle agenzie Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. Revisioni che sono invariabilmente “pro-cicliche” e quindi in questo momento tendono a dichiarare (con ritardo rispetto alla percezione del rischio dei mercati, da tempo in allerta) che la qualità di emittenti sovrani e privati dell’area dell’euro è peggiorata in risposta alla perdurante incertezza circa l’evolversi della crisi del debito sovrano e l’elaborazione di soluzioni adeguate.
Voglio essere chiaro: le “tre sorelle” del rating mondiale (che fra un po’ diverranno quattro se Pechino avrà successo nel tentativo di accreditare come credibile la “sua” Dadong) costituiscono un oligopolio formidabile e come in ogni oligopolio c’è il rischio di comportamenti collusivi, sia tra di loro sia tra loro e i loro clienti, un problema emerso già nel 2001 all’epoca dell’improvviso fallimento di Enron, colosso americano dell’energia che vide le proprie quotazioni bruciare qualcosa come 60 miliardi di dollari a Wall Street in meno di tre mesi passando da 86 dollari a 26 centesimi mentre venivano alla luce truffe contabili pesantissime senza che il controllore dell’epoca (in questo caso in particolare Arthur Andersen, revisore contabile del gruppo, ma anche in quel caso l’allerta delle agenzie di rating suonò troppo tardi) e confermato dai crack di Worldcom, appena l’anno successivo, piuttosto che Parmalat e Cirio (nel 2003).
Per quanto pro-cicliche e oligopolistiche, poco trasparenti e col rischio di “combine” con coloro che dovrebbero controllare, le agenzie di rating assolvono a una funzione importante, quella di dare una indicazione (attenzione, stiamo parlando di pareri, non di verità di fede) circa la maggiore o minore affidabilità di un creditore. Spetta poi a chi questa informazione deve utilizzare comportarsi di conseguenza e decidere, anche in base ad altre considerazioni (politiche, sociali, economiche o di qual si voglia natura) se e quanto credito accordare al debitore. Tacciare le agenzie di essere dei “gufi” o di essere al soldo di qualche oscura macchinazione, piuttosto che suggerire alla Bce, come fanno con preoccupante insistenza sia i politici sia i banchieri di mezza Europa (ed in particolare oggi il presidente dell’Abi e numero uno “in scadenza” del Monte dei Paschi di Siena, Giuseppe Mussari), di non utilizzarne le valutazioni quando dovrà valutare i collaterali che le banche (italiane ed europee) presenteranno per poter ricevere ulteriore liquidità a basso costo (liquidità che peraltro resta nei forzieri di Eurotower dove ormai i depositi sono saliti al nuovo record storico di 528,18 miliardi di euro spinta pare da continui afflussi provenienti da banche tedesche) è come dire ad un farmacista di non attenersi alla ricetta del medico nel darvi i medicinali, fidandosi invece solo della vostra parola. Salvo magari dire che vi siete intossicati con le vostre stesse mani.
Mi pare un gioco molto pericoloso, che al più conviene ad Angela Merkel e alla Germania (che finora dalla crisi guadagna e non poco anche se a medio termine rischia grosso) ma non certo alle imprese e alle famiglie italiane, tanto più che nel Belpaese viene portato avanti da quella stessa classe “dirigente” (si fa per dire) che in questi anni non ha esitato da un lato a chiedere tassi vicini ai livelli dell’usura alle piccole e medie imprese e famiglie italiane, piuttosto che far loro sottoscrivere contratti di swap “a protezione” dei prestiti concessi (concessi sovente solo a patto che tali swap venissero preventivamente acquistati dai clienti), contratti su cui ora la Procura di Trani indaga per capire se non si possa essere trattato di casi di estorsione o anche solo di truffa ai danni degli investitori, dall’altro ha continuato a regalare milioni con generosità agli “amici” di sempre, come la vicenda Unipol-Ligresti sta ancora una volta confermando con la compagnia bolognese pronta a sobbarcarsi costi superiori a quelli che avrebbe subito lanciando un’Opa su Fondiaria-Sai (di cui avrebbero beneficiato tutti gli investitori) per rilevare invece le azioni in mano a Premafin e alle holding della famiglia Ligresti (regalando loro alcune decine di milioni tra sopravalutazione dei titoli in portafoglio alle società e buonuscite personali multimilionarie) e rassicurare le banche creditrici (UniCredit e Mediobanca, arrivate ad un’esposizione complessiva superiore al miliardo di euro non si sa bene in base a quale valutazione economica), il tutto a patto che Consob eviti ogni obbligo di Opa.
Dobbiamo forse scandalizzarci che Standard & Poor’s abbia oggi tagliato il rating di Unipol (insieme a quelli di Generali e Cattolica Assicurazione oltre che di alcune tra le maggiori compagnie europee), aggiungendo che i rating del gruppo bolognese “rimangono in creditwatch” per un periodo di tempo che potrebbe protrarsi sino a 3 mesi (contro le 4 settimane previste per altre assicurazioni europee messe in creditwatch) a causa “dell’annuncio di Unipol dell’intenzione di acquisire inizialmente il 51,287% azioni di Premafin, holding di Fondiaria-Sai e alla fine di fondere con Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni e Unipol Assicurazioni”? Non credo proprio, semmai avremmo dovuto scandalizzarci già anni fa dell’andazzo generale in Italia (e non solo) e dei pericolosi intrecci che un’economia fatta di migliaia di micro imprese e pochi “grandi gruppi” e banche quasi esclusivamente “pubbliche” a livello sia nazionale sia locale aveva intessuto con la politica. Ma nell’Italia del boom c’era evidentemente abbastanza denaro per tutti per non farvi caso, ora la festa è finita (da un pezzo) e qualcuno dovrà pagare il conto. Ed è iniziato lo scaricabarile con tanto di insofferenza nei confronti di chi si permette di richiamarci all’ordine: come pensate che andrà a finire se non impareremo ad aprire gli occhi?