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Accettazione dell’eredità con beneficio e l’inventario redatto dal notaio

La Cassazione del 16.3.2018 n. 6551 ha affermato che l’inventario redatto dal notaio ex art. 775 cpc (per un’accettazione dell’eredità) con beneficio non può essere svalutato a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati e ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo essere considerato (fino a prova contraria) quale fonte privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione ed all’ammontare dell’asse ereditario, al momento della apertura della successione.
A cura di Paolo Giuliano
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I beni mobili e immobili compresi nella massa ereditaria

Con il verificarsi della morte di una persona il patrimonio relitto (cioè i beni, i crediti e i debiti) formano l'insieme (la massa) dei beni da dividere.

Se in teoria è semplice ipotizzare i beni che compongono la massa ereditaria (i beni che appartenevano al defunto), in pratica occorre provare che un determinato bene era del defunto.

La vicenda si complica nel momento in cui occorre distinguere tra prova della proprietà del bene al de cuius sufficiente per gli eredi e prova sufficiente verso i terzi (estranei al fenomeno successorio). considerare la differenza tra eredi e terzi (estranei alla successione) è importante in quanto gli eredi, subentrando nella stessa posizione del defunto, potrebbero avere una semplificazione (semplificazione) della prova necessaria per individuare i beni compre o esclusi dalla massa ereditaria.

L'opponibilità della proprietà del bene mobile e del bene immobile

Il codice individua due criteri al fine di eliminare i contrasti tra aventi causa dal medesimo proprietario: a) per i beni immobili si fa riferimento alla trascrizione, b) per i beni mobili si fa riferimento al possesso del bene.

All'interno della comunione ereditaria (anche se gli eredi subentrano nella posizione del de cuius, non potendo considerarsi terzi rispetto il defunto) se sorgono contestazioni in relazione alla titolarità del bene in capo al defunto (e, quindi, se si contesta che un determinato bene era del defunto e, di conseguenza, è compreso nella comunione ereditaria da dividere, gli eredi dovranno fornire la prova dell'acquisto del bene (titolo), della trascrizione e/o del possesso, in base alle diverse situazioni che possono verificarsi in concreto.

Resta da chiedersi la questione può trovare delle semplificazioni (oppure può essere risolta mediante il riferimento ad altre prove) quando l'individuazione dei beni compresi nell'eredità ha un valore solo interno alla comunione ereditaria e tra gli eredi. In altri termini, ci si chiede se l'inventario redatto dal notaio dopo l'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario può essere usato in questo ambito ed avere un qualche valore probatorio.

L'inventario e l'accettazione con beneficio

L'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario è formata da due elementi, la dichiarazione dell'erede di accettare l'eredità e la redazione dell'inventario dei beni compresi nell'eredità (nella massa ereditaria). si tratta di una fattispecie a formazione progressiva nella quale i due elementi (accettazione ed inventario) sono entrambi necessari per raggiungere il risultato finale.

La dichiarazione di accettazione ha un' immediata efficacia, che determina l'acquisto immediato della qualità di erede da parte del chiamato, ma l'accettazione non incide sulla limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti del defunto, questa limitazione della responsabilità è condizionata alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell'inventario, mancando il quale l'accettante "è considerato erede puro e semplice".

La funzione e il valore dell'inventario redatto dal notaio nell'accettazione dell'eredità con beneficio

Il legislatore ha regolato le modalità di redazione dell'inventario con gli articoli da 769 cpc a 777 cpc.

In relazione al valore dell'inventario, una tesi ritiene che l'inventario non avrebbe valore probatorio, in quanto l'inventario, anche se redatto da un notaio si basa sulle dichiarazioni  delle parti, cosicché da detto documento non potrebbe ricavarsi alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni in capo al de cuius e, quindi, in ordine alla loro appartenenza all'asse ereditario da dividere.

Una diversa ricostruzione considera in modo diverso l'inventario redatto dal notaio in seguito ad una accettazione con beneficio di inventario (incarico ricevuto dal giudice per l'accettazione beneficiata di una eredità di due minori), infatti, l'inventario non può essere circoscritto solo all'interpello ex art. 192 disp. att. cod. proc. civ.) agli eredi presenti al momento dell'inventario sull'esistenza di altri beni da ricomprendere nell'inventario, ma, al contrario, l'inventario,  presuppone anche che l'inventario può essere redatto dal notaio solo dopo una ricognizione (personale) dei beni da inventariare, risultando, altrimenti, priva di utilità la previsione di procedere all'interpello.

Pertanto non può essere condivisa la tesi circa la natura di atto unilaterale a contenuto dichiarativo dell'inventario, nel quale è la parte, e non il pubblico ufficiale, a dover rendere le dichiarazioni prescritte dalla legge, giacché, quel che l'ordinamento pretende dal notaio rogante, infatti, non è la completezza delle dichiarazioni, requisito al quale deve ottemperare l'erede dichiarante, ma è la possibilità di attribuire pubblica fede alla attività da lui espletata.

Sicché il notaio deve operare affinché l'atto finale risulti esente da omissioni che potrebbero minare la pubblica fiducia sulla osservanza delle procedure previste per la redazione dell'atto.

La ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale, in altri termini, non risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell'erede, quanto piuttosto nella necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall'elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell'attività da parte di un pubblico ufficiale. Per questi motivi, l'idoneità dell'inventario ad attestare l'effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, anche a garanzia dei creditori di quest'ultimo, scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dall'erede, quanto dalla pubblica attestazione svolta dal notaio.

In conclusione, l'inventario redatto dal notaio ex art. 775 cod. proc. civ. non può essere svalutato a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati, e pertanto, come tale, ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo essere considerato (almeno fino a prova contraria) quale fonte privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione ed all'ammontare dell'asse ereditario, al momento della apertura della successione.

Cass., civ. sez. II, del 16 marzo 2018, n. 6551

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Avvocato, Foro di Napoli, specializzazione Sspl conseguita presso l'Università “Federico II”; Mediatore professionista; Autore di numerose pubblicazioni in materia di diritti reali, obbligazioni, contratti, successioni. E' possibile contattarlo scrivendo a diritto@fanpage.it.
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