Le icone rischiano di essere pericolose. Nelle icone, annacquate dal mito, si rischiano di perdere i contorni delle persone e invece il profilo di Peppino Impastato va maneggiato con cura, custodito come si custodiscono le cose preziose di cui bisogna fare memoria ogni giorno tutti i giorni per essere un Paese migliore. Oggi si festeggiano i quarant'anni dall'omicidio di Peppino Impastato, ammazzato perché se n'è fottuto della paura e l'ha sfidata da tutti i lati: con l'irriverenza, con la bellezza, con la poesia, con la politica, con l'attivismo e con le denunce. Siamo un Paese strano, qui da noi, dove ci tocca festeggiare le morti di persone che invece sarebbe comodo avere ancora qui, di fianco, con un milione di cose da chiedergli ancora e con la loro lucida capacità di leggere il mondo.
A te che oggi hai diciott'anni e che di Peppino ti raccontano che è stato ammazzato perché "prendeva in giro il boss del suo paese" forse la storia andrebbe raccontata tutta per intero perché Peppino è stato molto di più: Peppino è stato il bianco, il nero e tutti i colori che ci stanno in mezzo in un luogo in cui l'unica tonalità concessa dalla prepotenza mafiosa era il grigio, il sottovoce, il silenzioso assenso all'arroganza del boss.
Peppino è stato il coraggio anche quando costa dolore. Ha rotto con il padre per prendere le distanze dalle sue frequentazioni mafiose, con tutto quello che comporta a un figlio allontanarsi dalla famiglia in un paese così piccolo e chiuso com'è Cinisi, dove ancora oggi troppe imposte rimangono chiuse quando si parla di Peppino e dei suoi compagni. Peppino è stato cacciato di casa, come si fa con i figli che crescono storti, perché lui non accettava di essere servo della paura. Era fatto così Peppino: inseguire ciò che si ritene giusto, costi quel che costi.
Peppino è stato un uomo politico. E questo in troppi fingono di dimenticarselo. Peppino Impastato sapeva bene che la lotta alle mafie passa per forza dalla politica e che non c'è niente di peggio che disinteressarsene. La mafia (come la politica) si occupa di noi anche se noi non ci occupiamo di lei. Ha portato avanti le lotte dei contadini, degli edili, dei disoccupati: per indebolire la mafia bisogna sempre rafforzare i diritti. Sempre. E non è un caso che Peppino sia stato ucciso proprio mentre era in campagna elettorale, nel 1978, per entrare in consiglio provinciale candidato con Democrazia Proletaria. Anche da morto Peppino Impastato è stato votato tanto da meritarsi un posto in consiglio comunale.
Peppino ha usato l'arte, la cultura e la risata contro le mafie. Ed è stata una rivoluzione: ci ha insegnato che le mafie di fronte alla bellezza sono sempre con le spalle al muro e che la risata è un'arma (bianca) che sgretola il finto onore dei mafiosi. La sua lezione è la lezione di chi è un professionista perché "professa i propri valori nel proprio mestiere".
Peppino è morto e hanno cercato di ammazzarlo anche da morto. Mentre tutti sapevano che aveva pagato con la vita la sua ribellione anche lui (come è successo troppe volte in Italia) è stato infangato dopo la morte. Che si fosse "suicidato" l'hanno scritto a chiare lettere uomini dello Stato (tra cui il futuro generale Antonio Subranni, oggi condannato in primo grado anche nel processo Stato-Mafia) per depistare le indagini e chiudere sbrigativamente il caso. Solo grazie alla tenacia dei suoi famigliari e dei suoi compagni oggi possiamo conoscere la verità di Peppino Impastato, ammazzato dalla mafia.