Il decreto Sicurezza rischia già di finire davanti alla Corte costituzionale

Con il decreto Sicurezza, il governo Meloni ha provato a risolvere uno stallo politico (soprattutto interno alla maggioranza) con un colpo di mano: il ddl con le stesse norme era in Parlamento da più di un anno, ma l'esecutivo ha trasferito praticamente lo stesso testo in un decreto-legge e l'ha varato. È entrato in vigore il 12 aprile, e ora il Parlamento ha due mesi per convertirlo in legge.
Ma nelle prime due settimane la norma ha attirato durissime critiche dagli esperti di diritto. E ora, su richiesta della Procura di Foggia, potrebbe finire a tempo di record davanti alla Corte costituzionale, con il rischio di essere dichiarato illegittimo almeno in parte.
Il caso che potrebbe portare il dl Sicurezza davanti alla Consulta
Il caso è quello di alcune persone che sono imputate per resistenza a pubblico ufficiale e per lesioni personali a due agenti di polizia ferroviaria. Sono stati gli inquirenti a chiedere l'imputazione, ma gli stessi inquirenti hanno poi fatto notare che alcune delle aggravanti introdotte dal decreto Sicurezza non hanno senso.
In particolare, per quanto riguarda le lesioni si applicherebbe l'aggravante comune per commesso il fatto "commesso il fatto all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri". Ovvero, la pena dovrebbe essere più grave perché le lesioni sono state procurate vicino a una stazione.
Per la resistenza a pubblico ufficiale invece la legge prevederebbe un'aggravante a effetto speciale, pensata per dare sanzioni più severe "se la violenza o minaccia è posta in essere per opporsi a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre compie un atto di ufficio". In questo caso, la pena sarebbe aumentata fino alla metà.
Le domande della Procura di Foggia
Una settimana fa, il 18 aprile, la sostituta procuratrice di Foggia Marianna Imbimbo ha però chiesto al Tribunale di sollevare la questione di legittimità costituzionale. Ovvero di chiedere alla Corte costituzionale se non ci siano degli aspetti incostituzionali in queste norme.
In concreto, le due aggravanti creerebbero delle discriminazioni ingiustificate. Perché una persona dovrebbe essere punita in modo più pesante se commette un reato nei pressi di una stazione? Considerando poi che questa aggravante si può applicare a moltissimi reati diversi, che possono anche non avere nulla a che fare con il luogo in cui ci si trova. E per quanto riguarda la seconda aggravante: perché resistere a un agente di polizia giudiziaria dovrebbe essere peggio che farlo con qualunque altro pubblico ufficiale? Anche in questo caso, non c'è nella legge un criterio chiaro.
Ma la Procura ha chiesto al giudice di tenere in conto anche un altro aspetto. E cioè il fatto che queste norme siano state introdotte con un decreto legge. Come detto, il Parlamento stava discutendo da più di un anno di un disegno di legge che aveva praticamente gli stessi contenuti. Poi il governo è intervenuto per accelerare i tempi.
Secondo gli inquirenti, questo andrebbe contro la Costituzione. Innanzitutto perché per varare un decreto legge in teoria i suoi contenuti devono avere carattere di "necessità e urgenza". E se quelle stesse norme erano in Parlamento da oltre un anno, non si vede perché di colpo avrebbero dovuto diventare "urgenti". Più in generale, così facendo il governo avrebbe di fatto svuotato il ruolo del Parlamento – di nuovo – senza una motivazione chiara se non quella dell'opportunità politica.
Quali sono i prossimi passi
Il decreto Sicurezza resta in vigore, alla Camera lo stanno esaminando le commissioni Affari costituzionali e Giustizia, e negli ultimi giorni le audizioni dei professori di diritto e delle associazioni, ma anche quelle dei magistrati dell'Anm e degli avvocati delle Camere penali, hanno dato un verdetto più o meno unanime: ci sono troppi punti che non tornano, e troppe norme che restringono le libertà dei cittadini in nome della "sicurezza".
Nei calendari parlamentari, l'arrivo in Aula del provvedimento è previsto per il 26 maggio. Per quanto riguarda il caso di Foggia, invece, il giudice si è preso tempo per decidere fino alla prossima udienza, che è fissata il 17 giugno. Per il momento quindi si resta in attesa di sapere se la Corte costituzionale dovrà intervenire.