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Pasticcio acconto Irpef e nuovo taglio cuneo: chi sta perdendo 100 euro al mese e perché il governo non interviene

Il governo fino ad ora non è intervenuto per risolvere il pasticcio degli acconti Irpef calcolati con le vecchie aliquote, e per correggere un effetto distorsivo causato dal meccanismo del nuovo taglio del cuneo, che sta facendo perdere ai lavoratori più poveri 100 euro al mese, da gennaio.
A cura di Annalisa Cangemi
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Un'altra promessa disattesa. Il ministro dell'Economia Giorgetti aveva annunciato che il governo avrebbe fatto qualcosa di concreto, varando un decreto con un correttivo per gli acconti Irpef, per consentire da quest'anno l'applicazione del nuovo schema a tre aliquote Irpef al posto dei vecchi quattro scaglioni – del 23%, 25%, 35% e 43% – così da alleggerire la pressione fiscale già nella fase di acconto.

Il problema era stato sollevato dalla Cgil, la quale aveva denunciato che chi presenta una dichiarazione dei redditi per poter detrarre spese mediche, interessi sul mutuo e altre uscite che danno diritto a una riduzione delle imposte dovute, paga l'acconto Irpef come se i primi due scaglioni non fossero stati accorpati prevedendo un'aliquota unica del 23% sui redditi fino a 28mila euro. In pratica, ha spiegato il sindacato, lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi, tranne quelli che applicano la flat tax, si troveranno a pagare, salvo restituzione nel 2026, un addebito che con il nuovo sistema non sarebbe dovuto.

Secondo i calcoli della Cgil, un dipendente con poco più di 18mila euro di reddito da lavoro in seguito l'applicazione dei vecchi scaglioni si ritroverà per esempio a pagare 69 euro non dovuti con aliquote e scaglioni in vigore dal 2024. A quota 27mila euro e con una detrazione per familiari a carico il debito fiscale sale da zero a 240 euro. Se lo stesso lavoratore ha anche una detrazione per spese sanitarie, il danno è maggiore: con i nuovi scaglioni sarebbe arrivato un rimborso di 165 euro, invece salta fuori un acconto di 95 euro. Si tratta di cifre che dovrebbero essere restituite nel 2026. Ma intanto lo Stato sta incassando più liquidità del dovuto senza corrispondere interessi: in totale si parla di 4,3 miliardi di euro.

Questa stortura era in realtà già prevista dalla stessa norma, il decreto legislativo 216/2023, che ha rimodulato le aliquote. Il punto è che inizialmente l'esecutivo aveva trovato le coperture per la riforma Irpef solo per un anno. Per cui il provvedimento prevedeva, al comma 4 dell’articolo 1, che "nella determinazione degli acconti dovuti ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e relative addizionali per i periodi d’imposta 2024 e 2025 si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata non applicando le disposizioni dei commi 1 e 2", cioè appunto l’accorpamento delle aliquote centrali e l’allargamento della no tax area. In quel momento il problema non era stato messo in luce. Ma la norma è rimasta in vigore anche dopo che, con la legge di Bilancio per il 2025, le tre aliquote sono state confermate e rese strutturali.

Il ministro Giorgetti aveva promesso che la questione sarebbe stata sistemata dal Cdm di venerdì. Poi però all'ordine del giorno non è apparso l'atteso decreto correttivo per gli acconti Irpef, che era stato preannunciato.

"L'ennesimo annuncio a vuoto: il ministro Giorgetti aveva dichiarato, nell'audizione parlamentare sul Documento di finanza pubblica, che il Consiglio dei ministri di ieri avrebbe approvato un provvedimento risolutivo sugli acconti Irpef e sulle detrazioni, invece nulla. A campagna fiscale iniziata, è ancora in vigore la norma che applica le quattro aliquote precedenti, meno favorevoli, anziché le tre attuali", hanno denunciato in una nota, Christian Ferrari, segretario confederale Cgil, e Monica Iviglia, presidentessa Consorzio nazionale Caaf Cgil.

"I nostri Caaf – sottolineano i due dirigenti sindacali – hanno predisposto tutte le misure organizzative per non penalizzare i contribuenti, evitando che paghino cifre non dovute, ma ciò non toglie la confusione che regna sul tema e che potrebbe avere conseguenze su persone che pagano fino all'ultimo euro di tasse e che rischiano di non vedere tutelato il diritto a non essere vessati".

Il pasticcio del nuovo taglio del cuneo

Per Ferrari e Iviglia "c'è un altro impegno disatteso dal governo: rimediare alla clamorosa ingiustizia che stanno subendo i redditi tra 8.500 e 9.000 euro annui i quali – a causa del meccanismo scelto per fiscalizzare il cuneo contributivo – stanno perdendo, a partire da gennaio, circa 100 euro al mese. Si tratta di lavoratrici e lavoratori che faticano, a dir poco, a far quadrare i bilanci familiari e che non possono essere penalizzati così pesantemente".

"Chi vive di reddito fisso, evidentemente, non è una priorità del governo, interessato a garantire tutti gli altri con flat tax, condoni concordati preventivi. Per quanto ci riguarda – concludono Ferrari e Iviglia – continueremo a tutelare le persone che rappresentiamo con ogni strumento a nostra disposizione".

La questione è legata appunto al nuovo taglio del cuneo che finisce per penalizzare chi ha redditi molto bassi, tra 8.500 e 9mila euro annui, facendo perdere loro 100 euro al mese. La sottosegretaria al Mef Lucia Albano, rispondendo in Commissione Finanze alla Camera a un’interrogazione del M5S sugli effetti della legge di bilancio sui redditi compresi in quella fascia, aveva promesso che ci sarebbe stata "un'attenta valutazione" su un’eventuale "estensione del trattamento integrativo (l'ex bonus Renzi, poi portato a 100 euro dal governo Conte 1) a quei soggetti.

In questo modo avrebbe corretto la distorsione derivata dalla fiscalizzazione del cuneo contributivo, meccanismo che è stato introdotto nella manovra e che penalizza i lavoratori poveri, riducendo il loro netto in busta paga, come aveva aveva denunciato la Cgil in uno studio. Secondo l'analisi del sindacato infatti cui chi ha un reddito tra gli 8.500 e i 9.000 euro in questo modo perde, rispetto al 2024, circa 1.200 euro all’anno di trattamento integrativo, quindi 100 euro al mese.

La riduzione per i lavoratori poveri che si è determinata è una diretta conseguenza della riduzione dell'imponibile fiscale, che fa passare i contribuenti al di sotto del limite minimo di reddito previsto per il riconoscimento del trattamento integrativo Irpef, introdotto dal governo Conte, che vale appunto fino a 100 euro mensili. Il governo si era detto pronto a rimediare all'errore, ma fino ad ora non è intervenuto.

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