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L’analista: “Vi spiego perché la tregua nel Mar Nero stipulata da Trump e Putin penalizza l’Ucraina”

Marco Di Liddo, direttore del CeSI: “Nell’accordo d cessate il fuoco non c’è alcun meccanismo che rafforzi le garanzie per Kiev né alcuna clausola che preveda conseguenze concrete in caso di mancato rispetto dell’intesa da parte di Mosca. È una tregua priva di strumenti di tutela per l’Ucraina, e questo alimenta una profonda sfiducia nei confronti della gestione americana del dossier”.
Intervista a Marco Di Liddo
Direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali).
A cura di Davide Falcioni
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"Mentre la Casa Bianca celebra un cessate il fuoco nel Mar Nero dopo un incontro di 12 ore a Riyad, in Ucraina l'entusiasmo è molto basso". Inizia così un editoriale pubblicato questa mattina dal Kiev Independent, uno dei principali giornali ucraini, a commento della trattativa che gli Stati Uniti hanno avuto ieri, su tavoli separati, con i diplomatici ucraini e russi.

Secondo il resoconto ufficiale della Casa Bianca gli Stati Uniti, l'Ucraina e la Russia hanno concordato di "garantire una navigazione sicura, eliminare l'uso della forza e impedire l'utilizzo di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero". Tuttavia Washington ha omesso un dettaglio non secondario reso noto poco dopo dal Cremlino. Per la Russia, infatti, l'entrata in vigore della tregua nel Mar Nero è legata all'eliminazione delle restrizioni relative alle esportazioni agricole (prodotti alimentari e fertilizzanti) e alla rimozione di sanzioni nei confronti del settore agricolo e bancario. Insomma, la tregua siglata ieri è subordinata a condizioni di favore per Mosca.

L'accordo raggiunto in Arabia Saudita scontenta Kiev soprattutto per questo: perché ancora una volta ha fatto emergere l'estrema vicinanza tra Donald Trump e Vladimir Putin. Fanpage.it ne ha parlato con Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali).

Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato un "accordo per la navigazione sicura nel Mar Nero" che dovrebbe porre fine agli attacchi reciprochi tra Russia e Ucraina in quell’area: poco dopo però il Cremlino ha specificato che la tregua navale entrerà in vigore solo quando gli Stati Uniti avranno revocato alcune sanzioni nei confronti della Russia, in particolare nei settori agricolo e bancario.  Di fatto, questa intesa è stata presentata come un passo avanti nelle relazioni diplomatiche tra Mosca e Washington. Ma qual è il suo vero obiettivo?

In primo luogo, si tratta di un segnale politico volto a concedere agli Stati Uniti un margine di soddisfazione, una sorta di gesto distensivo. Dopo la telefonata tra Trump e Putin, dopo due tornate negoziali e una diplomazia sempre più intensa, non si era ancora riusciti a ottenere un risultato concreto. Il rischio per Mosca era di spingere troppo i limiti della trattativa, compromettendo una situazione che in questo momento le è favorevole. Per evitare questo scenario, Putin ha scelto di inviare un segnale di buona volontà: la sospensione delle operazioni belliche navali. Ma, naturalmente, ogni concessione ha un prezzo.

E cosa intende ottenere in cambio Mosca?

La richiesta russa è chiara: revocare le sanzioni sull’export di fertilizzanti e prodotti alimentari. Questa non è solo una questione di interesse nazionale per Mosca. La Russia, insieme alla Cina, è il principale esportatore mondiale di fertilizzanti e uno dei maggiori produttori di beni alimentari, in particolare di cereali come grano, mais e segale. Questi prodotti sono essenziali sia per l’industria alimentare umana sia per l’alimentazione animale.

Ripristinare la libertà di navigazione nel Mar Nero non significa solo garantire nuove entrate alla Russia in un settore strategico alternativo all’energia. Significa anche rafforzare i legami con i Paesi del Sud globale, che dipendono dalle esportazioni russe per la loro sicurezza alimentare. Penso in particolare ad Africa, Asia e Sud-est asiatico. Questa mossa, quindi, ha un impatto non solo economico, ma anche geopolitico, e potrebbe persino contribuire a una stabilizzazione dei prezzi alimentari, fortemente colpiti dall’inflazione degli ultimi anni.

Una nave della flotta russa nel Mar Nero
Una nave della flotta russa nel Mar Nero

C’è qualche altro elemento che potrebbe essere legato a questo accordo?

C’è un aspetto curioso che meriterebbe di essere approfondito. Negli Stati Uniti si sta verificando una crisi di approvvigionamento delle uova, in parte legata all’epidemia di aviaria. Non escluderei che l’intesa possa includere anche un aumento delle esportazioni di prodotti alimentari, comprese le uova, per alleviare questa crisi nel mercato statunitense. Un’ipotesi da verificare, ma che rientrerebbe perfettamente nella logica di scambi commerciali incrociati che accompagnano spesso gli accordi diplomatici di questa portata.

Sul Kiev Independent si legge che "questo non è l’accordo di cui abbiamo bisogno". Perché tale intesa penalizzerebbe Kiev?

Effettivamente si tratta di un’intesa che penalizza l’Ucraina. Sul mare, Kiev aveva la capacità di rappresentare una minaccia concreta per gli interessi e gli asset russi. La Russia, invece, ha una capacità bellica marittima molto limitata: il fulcro delle sue operazioni militari in Ucraina è costituito dalla componente terrestre, missilistica e aerea. La guerra si combatte principalmente a terra e con bombardamenti su obiettivi terrestri. Quindi, limitare le operazioni in mare non cambia davvero le dinamiche del conflitto a favore di Kiev. Anzi, se l’accordo prevede anche la ripresa delle normali attività commerciali o l’alleggerimento delle sanzioni sulle esportazioni di fertilizzanti e prodotti alimentari russi, il vantaggio è tutto per Mosca.

L’accordo prevede qualche garanzia per l’Ucraina nel caso di violazioni da parte della Russia?

No, ed è questo il punto critico. Non c’è alcun meccanismo che rafforzi le garanzie per Kiev né alcuna clausola che preveda conseguenze concrete in caso di mancato rispetto dell’intesa da parte di Mosca. È un cessate il fuoco privo di strumenti di tutela per l’Ucraina, e questo alimenta una profonda sfiducia nei confronti della gestione americana del dossier.

Nella sua narrazione di "uomo della pace", Trump sta avendo una posizione sbilanciata a favore di Putin?

Assolutamente sì. Questa è una mossa elettorale e propagandistica, e la posizione di Trump è attualmente sbilanciata in modo evidente verso gli interessi russi. Ciò che preoccupa di più è la dinamica con cui Trump e Putin stanno gestendo la questione ucraina: l’Ucraina viene trattata come un bottino da spartire, una carcassa da spolpare per due grandi predatori. È comprensibile che Kiev sia estremamente delusa dall’atteggiamento americano. Washington sta esercitando una forte pressione sull’Ucraina, ponendo condizioni e avanzando richieste, ma senza coinvolgerla nelle decisioni fondamentali. Si sta progressivamente appiattendo sulla narrativa russa, senza offrire reali garanzie in cambio. Basti pensare all’accordo sulle materie prime critiche e sulle terre rare: agli ucraini si chiede di sottoscrivere impegni pesanti, ma le garanzie continuano a mancare. Questo non è un compromesso equo, è una forzatura a vantaggio di Mosca.

Anche in questa fase del negoziato l'Unione Europea è totalmente assente. Come mai?

L’Europa sta cercando di muoversi, ma senza una forte unità politica e, soprattutto, senza un significativo ripristino della propria capacità militare, è difficile pensare che possa davvero giocare un ruolo di primo piano sulla scena globale. Siamo entrati in una fase storica segnata dal ritorno della politica di potenza, e in questo contesto la capacità di influenzare gli eventi non può prescindere dalla forza militare. Quest’ultima non è solo una questione di deterrenza, ma anche di proiezione strategica e di gestione delle crisi. Ecco perché iniziative come Rearm Europe vanno esattamente in questa direzione. L’obiettivo è duplice: da un lato, ricostruire una deterrenza credibile e quanto più possibile autonoma dall’ombrello statunitense; dall’altro, sostenere l’industria della difesa europea e dotare i Paesi membri di forze armate adeguate alle nuove sfide geopolitiche.

Non può esistere una politica estera autorevole senza un apparato di difesa solido e credibile. Senza la capacità di garantire sicurezza ai propri cittadini e ai propri alleati, l’Europa rischia di rimanere ai margini delle grandi decisioni internazionali. O, nel migliore dei casi, di partecipare ai tavoli che contano con un ruolo subordinato. Il rafforzamento della difesa europea non è quindi solo una questione militare, ma una necessità strategica per affermare il peso politico del continente in un mondo sempre più competitivo.

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