Calabria, la storia di Rosa, stuprata dal branco e costretta a fuggire dal paese per gli insulti

Una storia di dolore e di coraggio arriva dalla Piana di Gioia Tauro, dove una ragazza e la sua famiglia stanno pagando un prezzo altissimo per aver denunciato anni di abusi e minacce. Rosa, nome di fantasia, ha subito per due anni violenze da un gruppo di giovani, alcuni minorenni, vicini ai clan locali. Martedì scorso, la sentenza: sei degli stupratori sono stati condannati con il rito abbreviato a pene che vanno dai cinque ai tredici anni di carcere.
Ma la vicenda giudiziaria non ha segnato la fine del calvario per la famiglia della vittima. Al contrario; la madre di Rosa racconta con amarezza – in un'intervista al Corriere – che da quel momento la loro vita è diventata un inferno. "Mia figlia ha dovuto lasciare il paese, mentre noi viviamo sotto minaccia. Subiamo continui danneggiamenti, hanno tagliato cinque volte le gomme della mia auto negli ultimi mesi. Ci sentiamo soli, nessuno ci aiuta".
A complicare la situazione il fatto che tutti vivano in un paese di appena 2.500 abitanti in cui gli incontri con i familiari dei condannati sono inevitabili. "Ogni giorno è un incubo. Ogni volta che usciamo di casa veniamo insultati. Qualche mese fa sono stata persino minacciata di accoltellamento. Il giorno della sentenza, una donna legata a uno degli stupratori ha inveito contro di me con parole irripetibili". Per questo il peso della denuncia è diventato insopportabile. "Abbiamo scritto al prefetto di Reggio Calabria per chiedere di essere trasferiti, ma non abbiamo mai ricevuto risposta". Nel frattempo, Rosa vive lontana, obbligata a fuggire dalla sua stessa casa. "Da due anni è come se non avessi più una figlia. La vedo un’ora al giorno. Mi sto perdendo i momenti più belli della sua vita. Di notte mi sveglio e vado nella sua stanza, immaginando di trovarla lì per accarezzarla".
Dopo la sentenza, le parole di Rosa sono state dure e definitive: "Devono marcire in galera". Ma il futuro per lei è ormai lontano dalla Calabria. "Appena finita la scuola andrà via. Non vuole rimanere, e io non posso che condividerlo". Nessun aiuto nemmeno dalle istituzioni. "Il fratello del sindaco è tra i condannati. Ha avuto cinque anni di carcere. Il Comune si è costituito parte civile, ma quando ho chiesto aiuto al sindaco per le minacce che ho subito, mi ha risposto che non può prendere posizione né per me né per la sua famiglia". E la Chiesa? "Il parroco non ha mai detto una parola. Non metto più piede in una chiesa, ci hanno abbandonato tutti".