Migranti, ancora violenza nel Cpr di Trapani-Milo: “Qui lo Stato non ci protegge”

Dopo quella di Aziz Tarhouni, da poco liberato dal Cpr di Trapani-Milo, arrivano a fanpage.it altre urla di dolore provenienti da dietro le stesse sbarre in cui, fino a qualche giorno fa, era recluso il neo diciottenne. Nella notte tra martedì e mercoledì scorso, infatti, sarebbe scoppiata una rissa, come spesso accade, che ha seminato il terrore tra tutte le persone recluse in detenzione amministrativa all’interno del centro siciliano.
“Sto molto male, sono stato picchiato con il ferro. Tanto dolore, non parlo bene”, ha dichiarato uno dei migranti al telefono con gli attivisti di Maldusa Project.
Secondo la ricostruzione fatta da alcuni migranti, alcuni ragazzi di nazionalità tunisina si sarebbero scontrati con altri ragazzi provenienti dal Marocco, avrebbero spaccato delle vetrate e sarebbero penetrati all’interno degli altri settori. Una volta lì, avrebbero iniziato a picchiare le persone nere con pezzi di infissi e vetri. Avrebbero picchiato un ragazzo fino a fargli perdere i sensi. La polizia, in tenuta antisommossa, avrebbe assistito a tutta la scena senza mai intervenire se non per chiamare l’ambulanza e solo dopo aver visto il ragazzo steso a terra.
“La polizia non interviene mai. [….] Intervengono solo dopo che qualcuno è a terra e deve andare in ospedale. [La polizia sta] ferma al cancello a guardare, e quando qualcuno è ferito chiamano l’ambulanza. Non entrano. Ridono di noi. Siamo in pericolo qui, ho paura che mi ammazzino”, ha raccontato B., “Ho paura, mi vogliono ammazzare. Preferisco andare in galera ad aspettare l’espulsione, almeno lì è sicuro. Qui è peggio della galera. Ho fatto richiesta di asilo e la mia richiesta di espulsione è sospesa ma continuano a trattenermi qui. Come possiamo vivere, scappare da questo problema?”.
“Mi vogliono morto, qua dentro sto morendo, io non ne uscirò vivo”, ha raccontato J. a Fanpage.it durante la notte delle violenze. “Sono sicuro che non sopravviverò a stanotte", ha continuato.
“Questi episodi contribuiscono a dimostrare che il CPR è un luogo pericoloso”, ha denunciato Maldusa nella sua pagina Instagram, “in cui alle persone recluse non viene garantito il diritto alla vita e all’incolumità personale, e non solo alla difesa, costrette a sopravvivere in uno stato disumano e di sovraffollamento, dove tutto può succedere. Il Cpr di Milo sta creando e mantenendo delle condizioni che generano violenza e che mettono seriamente a rischio la vita dei reclusi. Deve essere chiuso immediatamente, come tutti i Cpr, e le persone, per essere al sicuro, devono essere liberate”.
Non è noto il numero esatto delle persone detenute nel centro al momento, ma quando lo scorso 22 febbraio una delegazione del Partito Democratico insieme alla madre e alla sorella del giovane Ousama Sylla suicidatosi nel Cpr di Ponte Galeria, l’hanno visitato, erano presenti circa 160 migranti.
Molti di loro dichiarano che il Cpr è come le prigioni libiche: “Qui siamo in Libia non in Italia”. Un’altra persona, invece, ha raccontato a Fanpage.it che “spesso fino alle 17 non è ancora arrivato il pranzo, il cibo è quasi sempre scaduto, nessuno pulisce i bagni e le celle. Questo è un posto orribile”.
"Ciò che è successo tra martedì e mercoledì è stata solo l’ennesima violenza all’interno di quello spazio, lasciata volontariamente sfociare dalle autorità competenti. Le persone ci chiamano da lì dentro, ci raccontano come i loro bisogni non vengano mai ascoltati, e questo genera frustrazione e rabbia che, nella maggior parte dei casi, sfociano in violenza e autolesionismo con lo scopo di protestare e rivendicare con urgenza un'attenzione che viene continuamente negata”, ha spiegato un attivista di Maldusa a Fanpage.it, “ultimamente ci hanno raccontato che, a causa delle chiamate che ci vengono fatte, hanno messo fuori uso le cabine telefoniche, in modo da impedire la comunicazione con l’esterno, rendere le persone ancora più isolate e nascondere ciò che accade lì dentro".
Dai racconti fatti a Fanpage.it, i migranti dentro il Cpr non possono, infatti, avere un cellulare. Ne è concesso solo uno ogni trenta persone a patto che venga distrutta la fotocamera.
Questo, come ha sottolineato l’attivista, “aumenta la marginalità di luoghi che sono completamente scollegati dal resto del paese, un paese come l’Italia dove i principi democratici dovrebbero essere garantiti per tutti e tutte. La storia di Aziz e quella di tutte le altre persone che sono passate da quel Cpr, dimostra che i Cpr italiani sono buchi neri dove non esiste diritto alla difesa, alla salute, e ad una vita degna”.
“Ho paura, non so che fare”, ha dichiarato C. a Maldusa dall’interno del centro Trapani-Milo., “Restare qui è un rischio, possono ammazzarci. Loro [i poliziotti] non vengono quando siamo in pericolo. Ma quando noi dobbiamo prendere qualcosa dal magazzino siamo accompagnati da 5, 6 poliziotti ciascuno. Finora nessuno è entrato, sono venuti solo per sistemare la finestra. Non possiamo andare contro il governo, hanno troppo, troppo potere, ma non possiamo nascondere la nostra sofferenza. Altrimenti moriamo. Se vogliono lasciarci reclusi che ci portino in carcere, almeno lì abbiamo una tutela. Qui stiamo solo aspettando la morte”.
Da mercoledì non si hanno più notizie della situazione all’interno del Cpr. “Il mio compagno di cella mi ha detto di stare tranquillo, mi proteggerà, ma qui nessuno può proteggere nessuno. Qui lo Stato non ci protegge". Sono queste le ultime parole uscite l'altro ieri da quelle sbarre.