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I diritti delle donne sono sempre più sotto attacco: nell’ultimo anno sono peggiorati in un Paese su 4

I diritti delle donne sono arretrati in un Paese su quattro nell’ultimo anno. A lanciare l’allarme è l’agenzia dell’Onu, Un Women. Trent’anni dopo la conferenza di Pechino in cui si credeva di aver inaugurato una nuova stagione per le donne, non solo non si può che constatare che le cose non sono andate proprio così, ma che potrebbero andare anche peggio.
A cura di Jennifer Guerra
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I diritti delle donne sono arretrati in un Paese su quattro nell’ultimo anno: è l’inquietante stima di UN Women, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa delle donne, che per il trentesimo anniversario della conferenza di Pechino, che nel 1995 produsse una strategia globale adottata da 189 governi per raggiungere la parità di genere, ha valutato l’impatto di queste politiche in un lungo e dettagliato report.

Negli ultimi trent’anni sono stati raggiunti parecchi obiettivi, ma la strada è ancora lunga, e per questo l’Onu rilancia una nuova strategia, Pechino +30, che individua sei aree di intervento: chiudere il digital gender gap, mettere le donne al centro di uno sviluppo economico sostenibile, porre fine alla violenza di genere, rafforzare la leadership femminile, aumentare la responsabilità nell’azione umanitaria e lottare per la giustizia climatica. Il tutto con un diretto coinvolgimento delle generazioni più giovani.

Per valutare l’implementazione della Dichiarazione di Pechino, l’Onu ha chiesto a tutti i Paesi firmatari di inviare prova dei risultati raggiunti: anche se dal 1995 a oggi sono state approvate a livello globale 1,531 riforme per raggiungere la parità di genere a livello giuridico, le donne possiedono soltanto il 64% dei diritti degli uomini. Sebbene la rappresentanza politica femminile sia raddoppiata nel corso degli ultimi trent’anni, tre quarti dei membri dei parlamenti di tutto il mondo sono maschi e solo il 63% delle donne tra i 25 e i 54 anni lavora, contro il 92% degli uomini. Ragazze e bambine continuano a soffrire le conseguenze peggiori delle situazioni di povertà e dei conflitti mondiali e si stima che ogni dieci minuti una donna o una bambina venga uccisa da un familiare.

Secondo il segretario delle Nazioni Unite António Guterres non ci sono dubbi: “I diritti umani delle donne sono sotto attacco e anziché assistere alla popolarizzazione dei diritti delle donne, assistiamo a quella della misoginia”. Guteres nelle sue dichiarazioni ha fatto riferimento al “gender mainstreaming”, una delle strategie chiave della conferenza di Pechino, che mirava a rendere l’attenzione per la parità di genere un fattore organico in tutte le decisioni politiche. Suo malgrado, il gender mainstreaming diede anche origine alla teoria del complotto sulla cosiddetta “ideologia gender” che è più in forma che mai: uno dei primi ordini esecutivi firmati da Trump parlava proprio di “difendere le donne dall’ideologia gender estremista”.

Anche secondo il report di UN Women “attori contrari ai diritti stanno attivamente indebolendo il consenso [dell’opinione pubblica] su questioni cruciali per i diritti delle donne. Dove non riescono a far indietreggiare del tutto le conquiste legali e politiche, cercano di impedirne o rallentarne l’implementazione”. Una delle aree più fragili riguarda i diritti sessuali e riproduttivi: non solo gli Stati Uniti sono tornati indietro sull’aborto ribaltando la sentenza Roe v. Wade del 1973, ma Trump ha interrotto tutti i finanziamenti dell’agenzia per lo sviluppo internazionale USAID, che tra le altre cose si occupava anche di contraccezione e pianificazione familiare nei Paesi in via di sviluppo. La Corte Suprema per il momento ha ordinato all’amministrazione di ripristinare i fondi destinati a contratti già appaltati, anche se il futuro dell’agenzia resta incerto. Già solo questo rischia di minare uno dei pochi successi riconosciuti da UN Women, ovvero il calo dei tassi di mortalità materna, connesso anche all’accesso all’interruzione di gravidanza. Soltanto negli Usa il tasso di mortalità durante la gravidanza è raddoppiato tra il 2018 e il 2022 e diversi scienziati hanno espresso preoccupazione sull’eventuale sospensione della raccolta di questi dati alla luce degli ultimi provvedimenti di Trump.

Per le Nazioni Unite, il backlash è alimentato anche dalla progressiva normalizzazione della misoginia, soprattutto online e nei confronti di donne esposte nella sfera pubblica, come politiche, giornaliste e attiviste. E se il contrasto alla violenza di genere rappresenta, almeno sulla carta, uno degli ambiti di maggiore impegno per i Paesi che hanno risposto all’indagine, mancano ancora strumenti efficaci sia per tutelare le vittime dell’odio sessista online, sia per prevenire la diffusione del fenomeno.

Se da un lato la nuova strategia Pechino +30 rappresenta una speranza nello scenario attuale, dall’altro il report ribadisce più volte come l’arretramento dei diritti delle donne sia una spia dell’indebolimento delle democrazie. Quando fu raggiunto l’accordo nel 1995, pochi anni dopo la fine della Guerra Fredda, si credeva di aver inaugurato una nuova stagione di pace e prosperità di cui le donne dovevano essere protagoniste. Trent’anni dopo non solo non si può che constatare che le cose non sono andate proprio così, ma che potrebbero andare anche peggio.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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