Tomba Thutmose II, nel team della scoperta in Egitto un archeologo italiano: “Sono stato travolto dall’emozione”

È autunno inoltrato. I corridoi bui, al di là dell’ingresso sepolto da un metro e mezzo di frana, sono stati danneggiati dalle ripetute inondazioni. C’è prima, però, da scendere una serie di gradini dissestati di un’ampia scalinata dopo il grande portale. Sembra strano parlare di acqua in una zona desertica, percorsa da “wadi”, cioè alvei asciutti, ma qui le piogge sono violente e di breve durata. Precipitazioni rare che danno vita a devastanti colate di fango. La squadra di archeologi comincia a pulire raccogliendo con attenzione i detriti compattati, quasi cementificati dal tempo, in pesanti secchi da portare man mano fuori. Materiale che poi verrà setacciato, ricontrollato pazientemente, studiato. Non d’improvviso, ma giorno dopo giorno, pietra dopo pietra, si arriva all’apertura di un vano largo più o meno cinque metri e alto tre. Ci siamo. L’adrenalina è a mille, il peso della fatica lascia il posto allo stupore che solleva da qualsiasi affanno. Purtroppo le condizioni della camera funeraria sono precarie, ma alla luce dei Led a carica solare si riesce ad intravedere una porzione di soffitto dipinta di blu con stelle gialle, mentre su una parete compaiono scene con pennellate di rosso dell’Amduat, un testo funerario simile al Libro dei morti destinato ad accompagnare il defunto nel viaggio ultraterreno. Decorazioni pittoriche riconducibili a un contesto elitario, quasi esclusivamente appannaggio dei re. Tutto fa pensare che si tratti della tomba di un faraone. Ma quale? Il 18 febbraio scorso con un comunicato ufficiale il Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità (MoTa) rende noto che si tratta di Thutmose II.
Anatomia di una scoperta
"È la fine di ottobre del 2022 quando viene scoperta la cosiddetta tomba C4, nell’area dei wadi occidentali tebani, sulla riva ovest di Luxor, utilizzata come luogo di sepoltura per membri delle famiglie di sovrani della XVIII dinastia. La notizia, però, viene resa pubblica solo l’anno successivo" spiega l’archeologo africanista Giulio Lucarini, primo ricercatore dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-ISPC) e docente di Preistoria e protostoria all’Università L’Orientale di Napoli, tra i partecipanti della missione archeologica guidata dalla “New Kingdom Research Foundation” (NKRF), ente indipendente britannico fondato nel 2010, in collaborazione con l’Università di Cambridge e il MoTa, che ha scoperto la tomba oggi identificata come quella perduta di Thutmose II. A onor del vero, a dispetto del battage mediatico, non è comunque la tomba di un faraone scoperta a distanza di cento anni da quella di Tutankhamon nel 1922. Perché dopo la tomba di Tutankhamon si annoverano quelle di Psusennes I (XXI dinastia, Terzo periodo intermedio) e di Senebkay (Secondo periodo intermedio) scoperte rispettivamente nel 1940 e nel 2014. Quella di Thutmose II è, invece, la prima tomba reale del Nuovo Regno scoperta dopo quella di Tuthankamon, mancava solo lei all’appello tra le mancanti dei re della XVIII dinastia. Non proprio futili sottigliezze, ma doverose precisazioni nell’ambito di una disciplina scientifica – l’archeologia – che fa del computo temporale un suo elemento fondante. "La realizzazione di questo ipogeo – continua Lucarini – ha richiesto lo scavo nella roccia della falesia calcarea. Tuttavia, la posizione della tomba, situata al di sotto di una delle cascate temporanee generate dalle brevi ma intense piogge, che anche durante il Nuovo Regno devono aver interessato la regione, ha determinato la sua rapida inondazione. Le evidenze indicano che, già poco dopo la deposizione iniziale, il sepolcro venne svuotato velocemente. I pochi manufatti rinvenuti, spesso frammentari e presumibilmente abbandonati a causa della fretta con cui questa operazione venne condotta, hanno fornito elementi utili per l’attribuzione della tomba al faraone Thutmose II, il cui regno è datato approssimativamente tra il 1493 e il 1479".
L’attribuzione del sepolcro al faraone Thutmose II
Insomma, all’inizio il team della spedizione anglo-egiziana, di cui sono co-direttori due studiosi affiliati all’Università di Cambridge, l’archeologo scozzese Piers Litherland e la geologa Judith Bunbury (affiancati da Mohamed Ismail Khaled, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità SCA, ma anche direttamente sul campo dal caposquadra Mohamed Sayed Ahmed e dal direttore di cantiere Mohsen Kamel), ha creduto che quella tomba nella valle C dello Wadi Gabbanat el-Qurud, situata a poco più di due chilometri ad ovest della Valle dei re nella regione montuosa occidentale di Luxor, potesse appartenere ad una delle mogli reali dei Thutmosidi (che governarono l’Egitto durante il XVI, XV e XIV secolo a.C.), vista anche la vicinanza della tomba della regina Hatshepsut, moglie e sorellastra di Thutmose II. Tuttavia, come annunciato due settimane fa, il ritrovamento di frammenti di vasetti in alabastro a forma di anatra con il cartiglio del faraone Thutmose II, insieme a iscrizioni che recano il nome della sua consorte reale Hatshepsut, non lascerebbe spazio a dubbi sull’appartenenza sepolcrale al quarto faraone della XVIII dinastia. Dubbi che nondimeno restano ad alimentare il dibattito archeologico. "Ci troviamo alle spalle della Valle delle regine – sottolinea Lucarini -, in un’area che solitamente non è associata a sepolture di re. Questo è uno dei motivi per cui alcuni ritengono discutibile l’ubicazione della tomba di Thutmose II in questa zona". Ma del resto, il concetto di Valle dei re e delle regine è moderno, nulla vieta che nell’antichità l’area includesse anche sepolture di sovrani.
La mummia “raminga” e la ricerca di una seconda tomba di Thutmose II
L’ubicazione dell’ultima dimora di Thutmose II è strettamente legata alle sorti dei suoi resti mummificati. Il direttore della missione Litherland sospetta, infatti, che le spoglie trovate nel 1881 dentro il “nascondiglio reale” di Deir el-Bahari e, precedentemente identificate come quelle di Thutmose II, in realtà non appartengano al faraone. Questo perché la mummia del “nascondiglio” (luogo in cui le salme dei sovrani defunti vennero traslate dai sacerdoti di Amon, in segreto, per preservarle dai saccheggiatori che nei secoli razziarono la Valle dei re) pare essere di un uomo più maturo rispetto al sovrano che, al contrario, morì giovane. Se così fosse, allora dove si trova la mummia di Thutmose II? È questo l’obiettivo di Litherland: individuare il luogo della seconda sepoltura, in cui furono trasferiti corpo e corredo funerario a causa delle inondazioni, nel giro di sei anni dalla morte del re. Lo studioso inglese – come ha illustrato in un’intervista ad un settimanale britannico – ritiene che si trovi nelle vicinanze e nei pressi del primo ipogeo avrebbe ipotizzato la presenza di una tomba sigillata sotto 23 metri di accumulo artificiale, frammenti calcarei, grossi massi e intonaco argilloso. La soluzione, secondo Litherland, sarebbe opera della genialità di Ineni, architetto della XVIII dinastia, che nella sua biografia racconta di aver inventato una tecnica mai sperimentata prima: utilizzare l’argilla per proteggere la tomba dall’acqua e nascondere il sito alla vista dei ladri. L’équipe di Litherland starebbe adesso cercando il modo per accedere alla seconda tomba scavando gli strati di roccia e intonaco creati dall’uomo, risalenti a 3500 anni fa. Che si tratti di una seconda tomba, ovvero dello spostamento del sarcofago e degli altri oggetti del corredo ad opera di Hatshepsut in un luogo vicino, lo confermerebbe il contenuto di un’iscrizione ritrovata in un deposito (o fossa) di fondazione (i depositi di fondazione sono sepolture di oggetti rituali effettuate per consacrare un terreno prima della costruzione di un tempio o di una tomba, ndr), insieme ai resti di un bovino sacrificato. Congetture che il tempo convaliderà oppure sconfesserà.

La storia dell’Egitto non nasce con i faraoni
"L’emozione è indescrivibile, sto ancora elaborando l’incredibile esperienza di essermi trovato al centro di questa scoperta". Riavvolge il nastro dei ricordi Giulio Lucarini e racconta. "Durante la mia attività di ricerca all’Università di Cambridge ho avuto modo di conoscere Piers Litherland e Judith Bunbury, che nel 2022 mi hanno invitato a intraprendere un’indagine sulla presenza umana nei wadi occidentali tebani durante la preistoria, un capitolo spesso poco esplorato della storia egiziana". Lucarini, insieme a un gruppo di studiosi specializzati tra cui Emily Hallinan, Lorena Lombardi, Hanan Mahmoud, Jacques Pelegrin e Alessia Brucato, è impegnato nella ricostruzione delle dinamiche di popolamento dell’Egitto prima dell’avvento della civiltà faraonica. Qual è il senso di un simile studio nell’ambito di uno scavo di una tomba come quella di Thutmose II? "Nell’immaginario collettivo l’antico Egitto è indissolubilmente legato ai faraoni, alle piramidi, alle mummie e ai geroglifici, ma dove e quando ha avuto origine tutto questo?". L’archeologo africanista ribalta la prospettiva rispondendo con un’altra domanda e chiarisce: "Le straordinarie opere degli antichi egizi, giunte fino a noi in uno stato di conservazione eccezionale, non sono emerse dal nulla, né sono tantomeno il frutto di interventi extraterresti. Esse rappresentano invece il punto di arrivo di un lungo e composito processo storico: la transizione da piccoli gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori, passando a comunità di pastori che si muovevano tra i deserti e la valle del Nilo, fino ad arrivare a società agricole più complesse e gerarchizzate. Questa è stata un’evoluzione durata millenni, che ha preceduto l’invenzione della scrittura e l’unificazione del Paese sotto i primi faraoni".
Reperti spesso invisibili
"Il progetto di promosso dal MoTa e dalla NKRF – approfondisce Lucarini -, pur concentrandosi principalmente sulle evidenze del Nuovo Regno, adotta un approccio innovativo che integra la prospettiva preistorica, ancora poco esplorata in Egittologia. Oltre allo scavo di tombe reali, il team conduce anche ricognizioni sistematiche sul territorio, permettendo di individuare un ricco patrimonio archeologico finora poco considerato. L’intero paesaggio che circonda le necropoli si è rivelato, infatti, disseminato di manufatti preistorici, tra cui ceramiche e strumenti in pietra". Reperti minori? "Assolutamente no, direi piuttosto ‘invisibili' – precisa Lucarini -, nel senso che la loro interpretazione risulta più complessa rispetto all’impatto immediato di una tomba reale. Gli strumenti in pietra, inoltre, rivestivano un ruolo cruciale anche nelle epoche storiche. Si tende spesso a pensare che, con la scoperta dei metalli, l’uso della pietra sia rapidamente scomparso e che questi manufatti siano esclusivamente legati alle popolazioni preistoriche. In realtà, il nostro lavoro sta confermando che gli strumenti litici continuarono a essere impiegati anche durante l’età faraonica, tanto che la selce veniva attivamente ricercata e raccolta proprio lungo questi wadi nelle stesso periodo in cui le tombe reali venivano scavate e decorate. Così, accanto a utensili del Paleolitico medio, troviamo reperti del Neolitico, del Predinastico e altri ancora databili all’epoca faraonica".
La seduzione senza tempo della Valle dei re
Non nasconde di sentirsi un privilegiato, Lucarini. "Le campagne di scavo della ‘New Kingdom Research Foundation' – dice – sono generalmente lunghe: iniziano tra settembre e ottobre e proseguono fino a febbraio, per poi interrompersi in concomitanza con il Ramadan. Ho già avuto l’opportunità di parteciparvi tre volte. Durante il giorno, ciascun ricercatore o gruppo di ricercatori si dedica autonomamente al proprio lavoro, contribuendo a diverse fasi di un progetto unitario che spazia dalla preistoria fino all’epoca tarda. Nel pomeriggio, ci ritroviamo tutti insieme per condividere i risultati della giornata. L’ingresso della tomba è stato individuato il 31 ottobre 2022. Io sono arrivato il primo dicembre, quando erano ancora in corso le operazioni di svuotamento. Le stanze erano colme di detriti e lo scavo procedeva con estrema cautela per scongiurare il rischio di crolli". E una volta entrati? "Dimentichi il rigore scientifico e vieni travolto dall’emozione – risponde senza esitazione Lucarini -. Sono entrato nella camera funeraria della tomba C4 quando ancora non si conosceva l’identità del proprietario. Le uniche tracce decorative visibili erano pochi frammenti del soffitto blu cosparso di stelle gialle, conservatesi in minima parte, appena in un paio di angoli. Eppure, avendo già incontrato questo tipo di decorazione altrove, ho potuto immaginare come doveva apparire la tomba in origine. E in quel momento si sono riaccese le emozioni del mio sogno d’infanzia: poter un giorno lavorare, come archeologo, nella Valle dei re".