Jake La Furia: “Bisogna accettare anche il linguaggio violento del rap, l’omofobia ormai fa parte del passato”

Gli ultimi 12 mesi di Jake La Furia, dalla reunion con i Club Dogo alla pubblicazione di Fame, passando per la prima stagione da giudice di X Factor, sono stati un mix tra passato e futuro. Da una parte, i due ultimi album sembrano guardare alla seconda era del rap italiano, una dimensione boom bap che si intravede anche grazie al lavoro di producer come Don Joe e Night Skinny. Dall'altro lato, proprio tra le collaborazioni del disco appaiono le nuove leve del rap milanese, giovani autori cresciuti con la sua musica e a cui sarebbe pronto a passare la torcia: da Artie 5ive a Papa V e Nerissima Serpe. Ma la sua figura si è ampliata anche a palcoscenici mai raggiunti prima: la televisione da milioni di spettatori come giudice di X Factor, in cui ha accompagnato anche giovani autrici, come Francamente, che sembrano aver influenzato alcune sue visioni. Ciò che sembra non cambiare mai è l'approccio alla materia, alla sua musica, non solo nella reputazione del linguaggio violento da preservare, ma anche nella distanza presa dal Festival di Sanremo, come in 64 no brand, quando canta: "Anche quest'anno non dovrò vergognarmi di essere Jake la Furia, io non ucciderò la musica in Liguria, in mezzo ai fiori e ai milioni sporchi di tangenti". Qui l'intervista a Jake La Furia.
Rispetto a Ferro Del Mestiere, Fame è un album in collaborazione con un solo producer, Night Skinny: cosa cambia in studio, anche nella produzione?
Il mio approccio in studio non cambia. Sono molto veloce nel lavoro in studio, soprattutto nella scrittura: è un dono che mi salva la vira in questo mestiere.
E in cosa c'è stato un cambio?
Nella gestione del disco, e questo è un bonus portato da Skinny, oltre a un suono omogeneo in tutto l'album e la qualità delle produzioni. Ha lavorato a questo progetto come fanno i producer americani, mentre qui intendiamo il produttore come quello che ti fa/propone le basi.
Invece?
Lui invece ha preso il progetto e lo ha seguito come un figlio, ha confezionato ogni traccia, ogni featuring, ogni strategia e ha consegnato il disco. Questo è il mio disco quanto il suo.
Da chi arriva la citazione, in Cocco 24, a Cocaina presente nell'album Che bello essere noi dei Club Dogo?
Alcune cose arrivano da me, altre da Skinny: per esempio il tributo arriva da lui, perché era in studio con Tony Boy quando hanno registrato per la prima volta quel ritornello. Poi si è trasformato in questo pezzo.
Non è l'unica citazione al gruppo dopo la reunion.
A volte sono inconsapevoli, anche perché ci sono delle rime che chiudi come quelle dei Dogo, perché suonano troppo bene. Diciamo che è l'anno giusto per l'autocelebrazione.
Fame è anche uno dei tuoi primi soprannomi nel rap italiano: quest'album guarda anche un po' al passato?
Questo percorso a ritroso si è sviluppato negli ultimi 10 anni, da quando è esplosa la trap. Infatti, a parte alcuni progetti bellissimi, la musica trap è diventata pop e viceversa: suona un po' tutto standard. Stessa cosa per i dischi rap con gli stessi argomenti, gli stessi luoghi. Io sono un grande appassionato di musica rap e alcune volte mi trovo, senza neanche accorgermene, ad ascoltare dischi vecchi, di quando mi sono innamorato di questa musica. Questo, inconsciamente, mi ha dato una spinta a fare musica che tornasse indietro piuttosto che andare avanti.
È accaduto anche con i Club Dogo?
Assolutamente. Si è scelto di fare un disco che ricordasse gli inizi dei Dogo piuttosto che gli ultimi album, anche perché io non riesco più ad ascoltare musica che non sia come Benny The Butcher o Lloyd Banks.
In Danza nella pioggia si intravede anche una visione, se non anticapitalista, che si allontana comunque dalla narrazione dominante nella scena trap.
Non ho una coscienza anticapitalista, ma antirincoglionimento, rispetto a tutto ciò che sta accadendo. Un messaggio sociale, ma non posso dirti che sono anticapitalista perché mi piacciono tantissimo i soldi. In mezzo a tutto questo, si sta realizzando qualcosa di impronosticabile fino a qualche mese fa, ci ritroviamo una guerra alle porte di casa, violenza nei confronti delle donne e nessuno a cui freghi qualcosa.
Cosa ha cambiato, se è cambiata la tua visione, negli ultimi anni?
Sicuramente avere due figli: penso a loro due e al loro futuro. Mi interessa comunque essere benestante e che il mondo duri ancora qualche anno.
Hai parlato di violenza di genere e ti volevo chiedere quanto Francamente, tua allieva a X Factor, abbia influito in questa visione?
È una persona intelligente, è bastato spiegarci davanti a una birra prima che iniziassero le registrazioni del live. Io credo che si tratti di accettare il linguaggio del rap. Poi sono d'accordo con alcune battaglie di Franca, non con tutte ovviamente: non posso arrendermi al politicamente corretto, all'ipersensibilità che ci si aspetta in tutti i campi e che toglie libertà ad alcune categorie. Non solo i rapper, ma anche nel cinema e nella stand up comedy.
Credi esista un equilibrio?
Bisogna trovare una sorta di pace, anche perché non ci si può incazzare, offendere e cancellare chiunque. Bisogna che le parti si incontrino e nel mio, nel rap, bisogna capire che il suo linguaggio è violento, però non sempre viene utilizzato per dire cose violente, ma anche profonde. Come i Public Enemy per esempio, ma penso anche a Lil Nas X, si tratta di uno dei rapper più famosi al mondo, dichiaratamente gay e con un pubblico della madonna. Poi i rapper, negli ultimi 5-6 anni, giocano con questa ambiguità, però da molto tempo il rap ha mollato la storia dell'omofobia.
In 64 no brand canti: "Anche quest'anno non dovrò vergognarmi di essere Jake la Furia, io non ucciderò la musica in Liguria, in mezzo ai fiori e ai milioni sporchi di tangenti".
Un bel racconto dell'Italia anni '80: non sono affascinato dalla kermesse sanremese. Da una parte riguarda la sudditanza psicologica verso Sanremo, per cui tutti quelli che si presentano lì, lo fanno in una versione edulcorata di sé stessi. Poi Carlo Conti, in conferenza stampa, aveva già riferito che c'erano un sacco di rapper con messaggi positivi. Mi suona come: voglio avere i rapper che mi riempiono la classifica, ma voglio decidere cosa devono dire. Questa cosa non mi è piaciuta.
Mentre in Generazioni c'è un racconto familiare che non è la solita storia a lieto fine che coinvolge tre generazioni. Ce lo racconti?
Con mio padre ci vogliamo bene a modo nostro, non come si vogliono bene gli altri. Siamo come una famiglia di dinosauri che si mordono tra di loro ma comunque viaggiano insieme. Il pezzo parla dell'essere predatori, da me a mio padre fino a mio figlio: diverse generazioni che ragionano nello stesso modo. Tutti contro tutti. È un brano che parla di famiglie, a loro modo disfunzionali, in modo positivo.
In una famiglia di creativi come la tua, cosa stimola lo scontro?
Non avvengono degli scontri per macro argomenti, avvengono degli scontri perché tutti vogliono avere ragione e non vogliono sentire le ragioni degli altri. Una famiglia di persone di successo in cui tutti pensano di saperne più degli altri, una fiera di calci in culo: non ti dico alle cene di Natale! Diciamo che siamo unici a modo nostro, felici nella prepotenza.
Ritornando a X Factor, quando è diventato un ambiente in cui potersi rivedere, anche da giudice?
Nel passaggio da Rai a Sky: è diventato un programma di grande qualità anche sulla parte della produzione, della sceneggiatura, dei costumi. Ma anche con musicisti veri e affermati come giudici: diciamo che il rap in classifica non ha influenzato. Anche perché il rap continua a centrare poco con X Factor, non è la sua piattaforma. L'ho dimostrato quest'anno non prendendo nessun rapper, anzi mandando via Ozymandias, che è bravissimo: era così brano che il suo percorso sarebbe stato sminuito. L'ho fatto per lui, spero lo abbia capito.
In Fame ritornano un sacco di giovani rapper milanesi: c'è qualcuno a cui passeresti la torcia?
Se dovessi passare lo scettro, forse in questo momento lo passerei ad Artie, perché è molto bravo, maturo, un ragazzo veramente umile e a posto. Potrebbe rappresentare la città ed è legato anche all'odi et amo di Milano. Questo non toglie che la passerei anche a Papa V e a Nerissima Serpe: tutti bravi e diversissimi tra loro.
Intervista in collaborazione con Francesco Raiola.