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Migranti, 1500 persone in rivolta nel campo nigerino finanziato dal governo italiano: “Qui i bambini muoiono”

La testimonianza di alcuni migranti detenuti nel campo umanitario di Agadez a Fanpage.it: “Viviamo dentro baracche in mezzo al deserto, esposti a venti molto forti, polvere e sabbia durante tutto l’anno. Abbiamo scarsissimi servizi sanitari, qui i bambini muoiono”.
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"Il nostro passato è triste, il nostro presente brutto, e il nostro futuro incerto, allora perché dovremmo rimanere qui?", si legge su di un pezzo di stoffa tenuto in mano da quattro donne sudanesi in mezzo al deserto, all’entrata del campo umanitario di Agadez. Hanno il volto stanco e gli occhi socchiusi per il sole che insieme alla sabbia e il vento diventano schegge per la vista. Come loro anche le centinaia di bambini e bambine che si trovano nello stesso centro, tengono gli occhi socchiusi e con le mani dei cartelli. "Siamo stanchi, vogliamo un futuro", è la scritta che sorreggono alcuni bambini, accanto a loro anche gli uomini, i padri e i fratelli.

"Siamo i rifugiati del Centro umanitario di Agadez, nello stato del Niger – recita la lettera indirizzata all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), scritta dai rifugiati di Agadez e pubblicata da Refugees in Libya – vi scriviamo oggi dal profondo del dolore e della sofferenza che si protraggono da anni. Da oltre sette anni, infatti, viviamo in questo Centro umanitario, dove siamo sottoposti a un ambiente duro e insopportabile, privo degli elementi più basilari per una vita dignitosa. Ad ogni stagione, le condizioni cambiano, ma il dolore e la sofferenza rimangono uguali".

"Donne, bambini e malati vivono senza speranza. Non esistono trattamenti adeguati per i malati che soffrono in silenzio, né istruzione per i bambini che hanno perso la loro infanzia tra le tende. Le donne lottano per mantenere le loro famiglie in assenza di sicurezza e assistenza", si legge.

"Siamo rifugiati, fuggiti dai nostri Paesi a causa di minacce e sfollamenti forzati, siamo arrivati in Niger in cerca di sicurezza, ma oggi siamo minacciati dai funzionari del CNE (Commission Nationale d'Eligibilité, l’istituzione governativa nigeriana che rilascia la documentazione per i rifugiati) a causa della protesta pacifica con cui rivendichiamo i nostri diritti di rifugiati".

Da novembre 2023 è in corso, infatti, una protesta non violenta all’interno del campo per rifugiati di Agadez, in Niger, che detiene attualmente più di 1500 persone grazie ai soldi dell’Europa e dell’Italia. Per la maggior parte si tratta di persone fuggite dal Sudan ma anche da Repubblica Centrafricana, Camerun, Etiopia ed Eritrea. Il 40% di loro sono bambini e bambine sotto i 18 anni e la maggior parte è già sopravvissuta ai centri di detenzione in Libia o alle deportazioni nel deserto del governo Saïed, in Tunisia. Da settimane, mesi o anni si trovano nel centro nigeriano, bloccati in mezzo al nulla in un centro distante 15 km dalla città, dormono in baracche, senza accesso a cure mediche adeguate e all’istruzione, ma soprattutto ai diritti relativi al loro status di rifugiato.

"Sono fuggito dal Sudan in Tunisia, li sono stato imprigionato e poi deportato al confine con l'Algeria. – Racconta a Fanpage.it K.H. uno dei migranti rinchiudo nel centro di Agadez. – Anche qui sono stato imprigionato e nuovamente deportato nel deserto del Sahara al confine tra Algeria e Niger. Allora sono entrato in Niger e mi sono registrato come rifugiato al CNE, da lì sono stato trasferito nel centro di Agadez". K.H. è rinchiuso dentro il centro da luglio scorso, senza avere idea di quale sia il suo futuro.

"Dal 22 settembre, ogni giorno, io e gli altri rifugiati protestiamo davanti la sede dell’UNHCR all’entrata del campo per chiedere che vengano rispettati i nostri diritti , ma soprattutto delle condizioni di vita decenti e la possibilità di costruire un futuro per i nostri bambini. Da quando siamo arrivati nel centro di Agadez viviamo in un limbo, non possiamo tornare a casa, ma anche vivere qui è impossibile. Viviamo dentro baracche in mezzo al deserto, esposti a venti molto forti, polvere e sabbia durante tutte le stagioni dell’anno. Abbiamo scarsissimi servizi sanitari, da quando sono arrivato soffro di problemi respiratori a causa dell’inalazione prolungata delle polveri, i bambini qui muoiono", continua il giovane sudanese.

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I finanziamenti italiani

Nell'insegna che dà il benvenuto a quello che dovrebbe essere un centro umanitario, tra il logo dell’UNHCR e la bandiera europea, c'è quella italiana. Il centro, inaugurato nel 2017 – nello stesso anno in cui l'allora ministro dell'Interno Minniti firma un'accordo che farà del confine Libia-Niger la frontiera d'Europa – è infatti finanziato direttamente dal nostro paese, attraverso il programma RDPP (Regional Development and Protection Programme) North Africa – di cui è presente il logo nella stessa insegna del centro – nato nel 2015 e gestito dal Ministero dell’Interno italiano. Nel sito del programma si legge che l’obiettivo dello stesso è "supportare i paesi terzi in Nord Africa e lungo la rotta del Mediterraneo centrale a consolidare il loro sistema di migrazione e asilo", per offrire "accoglienza adeguata, accesso alla protezione internazionale e soluzioni durature all’interno dei movimenti misti". Definizione, quest’ultima, che si legge anche nell’insegna del centro, in grassetto accanto a "Centro umanitario di Agadez, progetto movimenti misti". Definizione che secondo l’UNHCR identificherebbe i flussi di persone che viaggiano insieme, generalmente in modo irregolare, lungo le stesse rotte e utilizzando gli stessi mezzi di trasporto, ma per motivi diversi. Un tentativo evidente di distinguere ancora una volta chi si trova a migrare illegalmente perché fugge da guerre o persecuzioni da chi, invece, è costretto da motivi economici.

Nel maggio 2020, inoltre, l'Italia firma un protocollo d’intesa "sull’identificazione e il monitoraggio dei migranti e dei rifugiati nel contesto dei movimenti misti" che considera il Niger come "l’unico spazio alternativo per la protezione e le soluzioni per i richiedenti asilo e i rifugiati". Il protocollo arriva in seguito all’approvazione di un progetto di 2 milioni di euro sottoposto da UNHCR al governo italiano sulla "protezione e assistenza ai rifugiati e richiedenti asilo dentro la città di Agadez".

Tutto questo avviene senza considerare le richieste, i bisogni ma soprattutto i lamenti di coloro che sarebbero dovuti essere i destinatari del progetto, ovvero i rifugiati. Già dal 2018, l’anno successivo all'apertura del centro, i migranti all’interno lamentavano la condizione di limbo in cui erano costretti.

Nel gennaio 2020, solo qualche mese prima che l'Italia firmi il protocollo d’Intesa, più di 1500 persone abbandonano il campo per disperazione. I ricollocamenti, dicevano, erano molto più lenti che nella capitale Niamey, e il clima e la posizione rendevano la vita nel campo insopportabile. Nessuno di questi eventi viene preso in considerazione nel progetto da 2 milioni proposto da UNHCR all'allora governo Conte II.

D’altronde neanche la morte di uno dei profughi il 25 maggio del 2022 ha in alcun modo interferito nella collaborazione dell’Italia con il centro nigeriano di Agadez. Su quell’evento costato la vita ad un profugo sudanese di 27 anni non è mai stata fatta chiarezza. Le autorità nigeriane hanno dichiarato che si sia trattato di un incidente dovuto al lancio di una pietra da parte dei profughi in rivolta, ma i rifugiati sostengono che Musab, il giovane morto, sia stata ucciso da un proiettile della polizia nigeriana. La stessa polizia addestrata dall’Italia nell’ambito del corso di “Tecniche d’Intervento Operativo” svolto dal Mobile Training Team (MTT) dei Carabinieri e terminato il 21 maggio dello stesso anno.

In un video girato il 25 maggio 2022 e pubblicato dai rifugiati di Agadez lo scorso dicembre si sente chiaramente il rumore di spari, seguito delle urla di donne e bambini in fuga, e dall’immagine del corpo di Musab a terra senza vita.

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"Continuiamo ad essere minacciati e intimiditi dal CNE che gestisce formalmente il centro, solo perché chiediamo che vengano rispettati i nostri diritti più basilari", continua K.H al telefono con Fanpage.it.  Gli fa eco M., un altro profugo sudanese che vive nel centro da più di un anno: "Nonostante ciò noi continueremo a protestare finché non raggiungeremo il nostro obiettivo, il rispetto dei nostri diritti da rifugiati".

Adesso sono più di 100 giorni che K, M e il resto dei più di 1500 rifugiati bloccati nel centro di Agadez continuano la loro protesta non violenta, da parte delle autorità però nessuna buona notizia. Solo qualche giorno fa M. ha ricontattato Fanpage.it con un messaggio: "È il 113esimo giorno di protesta davanti alla sede dell’UNHCR, e non abbiamo ancora avuto nessuna risposta. Oggi non ci è stato dato il cibo, perché? Non siamo considerati umani? Dove sono i nostri diritti? Dove sono le autorità competenti? Siamo rifugiati e ci negano il cibo. I bambini e gli anziani sono stanchi e malati. Perché l’UNHCR ci sta facendo morire di fame?".

L’ultima notizia che abbiamo dei rifugiati di Agadez è di giovedì scorso, 116esimo giorno di protesta e sesto giorno senza cibo. Le autorità, invece, non hanno ancora accettato di parlare con fanpage.it.

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