Perché la pace tra Russia e Ucraina non è per niente vicina: le ultime mosse (impossibili) di Putin
Il presidente della Federazione Russa a tutto pensa fuorché a un negoziato in tempi brevi per fermare la guerra in Ucraina. Anzi, sfida a duello l’Occidente. A colpi di missile. Ritiene che le forze armate russe, temprate dai combattimenti, siano le migliori al mondo e dice che, grazie alla sua forza militare, il Paese ha raggiunto la “vera sovranità”. Qualsiasi cosa significhi.
Gli argomenti e i toni con cui Vladimir Putin, nella sua maratona comunicativa di fine anno, ha risposto alle poche domande vere e alle tante scelte e preconfezionate dal suo staff, fanno capire che le aperture fatte dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky riguardo a Donbass e Crimea potrebbero cadere nel vuoto. Chi, anche all'interno delle élite russe, preme per far tacere le armi resterà deluso. Per un bel po'.
Condizioni e contraddizioni
Il capo del Cremlino si dice "pronto a incontrare Donald Trump", e ricorda che “la politica è l’arte del compromesso”. Ma aggiunge di non volere un congelamento del conflitto perché “consentirebbe al nemico di consolidare le sue posizioni e rifornirsi di equipaggiamento e munizioni”. E che no, non restituirà un centimetro dei territori ucraini invasi. Poi afferma di esser disposto a trattare “senza precondizioni”. Contradictio in terminis, la chiamano gli avvocati.
Ora, non sappiamo quali siano i particolari dello sbandierato piano di Trump per mettere d’accordo Putin e Volodymyr Zelensky. Ma stabilire una tregua sulla linea del fronte dovrebbe essere un primo passo necessario. E al Cremlino non se ne vuole neanche sentir parlare, come d'altra parte aveva anticipato a Fanpage.it un consulente del governo russo. Se poi anche le questioni territoriali sono da accantonare, si parte proprio male.
Inoltre, Putin ha ritirato fuori la questione della legittimità di Zelensky, il cui mandato presidenziale è scaduto. Ma in Ucraina è in vigore la legge marziale, a causa dell’invasione russa. L’articolo 11 prevede che il presidente resti in carica finché la legge stessa è in vigore. Le norme sulle elezioni, poi, vietano esplicitamente di andare al voto durante una guerra. Le difficoltà logistiche ed economiche sarebbero insormontabili.
Obiettivi invariati
È paradossale che Putin, da 24 anni a capo di un regime che tiene elezioni ma si sceglie da solo i candidati e fa fuori ogni opposizione, parli dell’illegittimità di un altro presidente. Non lo fa solo perché ha studiato legge e se ne compiace.
È che il principale obiettivo dell’invasione era di togliere di mezzo Zelensky e sostituirlo con qualcuno che accettasse un parziale controllo del Cremlino sulla legislazione di Kiev, per l’approvazione della demilitarizzazione del Paese e di norme favorevoli a Mosca. L’obiettivo non è cambiato. Evidentemente fa parte delle “garanzie di sicurezza” che Putin chiede per un processo di pace.
Fu soprattuto su questo che si arenarono i colloqui di Istanbul del marzo 2022 per un cessate il fuoco. “La nostra delegazione non volle essere flessibile come consigliavamo, e nemmeno quella ucraina lo fu”, disse poi a Fanpage.it un adviser diplomatico del Cremlino. Ma per Putin “c’era già l’accordo e fu solo colpa dell’Occidente se tutto saltò”.
Il presidente ha ribadito che “si deve tener conto della situazione sul terreno”. E che “stiamo avanzando ogni giorno”. La Russia sta vincendo e può ottenerli sul campo i suoi obiettivi di guerra: è questo il messaggio. Se negoziato sarà, dovrà somigliare parecchio a una resa incondizionata del nemico.
Duelli, bugie e voglia di rivalsa
Resta la possibilità che Putin cerchi solo di avere una maggior leva nei prossimi colloqui con Trump. Ma oltre alle parole, è il tono a indurre al pessimismo.
A una domanda-assist sui missili Oreshnik ha risposto proponendo un “duello high tech” tra la sua nuova arma e le migliori difese aree della NATO. Scherzava, certo. Ha voluto compiacere i più guerrafondai fra i suoi sostenitori. Se voleva mantenere alto il tasso di bellicosità, ci è riuscito.
Non serve uno psicologo per cogliere i sintomi di una voglia di rivalsa che — come notava nei giorni scorsi su X la politologa Tatiana Stanovaya — gli smacchi recenti rendono ancor più forte.
In alcuni casi l’effetto, francamente, è ridicolo. La caduta del regime di Bashar al Assad “non è stata una sconfitta della Russia”, ha detto il presidente. Motivo: “Abbiamo salvato la Siria dal terrorismo”. Poi ha dato notizia di colloqui in corso con i nuovi padroni di Damasco. Quelli che fino a ieri chiamava terroristi.
“La Russia deciderà se mantenere o meno le sue basi in Siria”, ha dichiarato. Negli ultimi giorni però le truppe russe — che Putin sostiene non abbiano mai combattuto nel Paese arabo — hanno smantellato da quelle basi i sistemi d’arma più sofisticati per trasferirli nella Tripolitania dell’alleato generale libico Khalifa Haftar, secondo foto satellitari disponibili sul web e informazioni raccolte dal Wall Street Journal.
L’avventura militare siriana aveva riproposto la Russia come grande potenza. È finita male.
“Il Paese è forte, sovrano e va bene”
Miglior domanda della giornata, quella di un giornalista della Nbc: “Ma lo sa che sarà lei il leader più debole, quando incontrerà Trump per parlare di Ucraina”? Il cronista, Keir Simmons, aveva appena citato la perdita di prestigio per gli eventi siriani, l’alto numero di caduti durante l’avanzata nel Donbass e il fatto che adesso gli ucraini i generali russi li ammazzano anche a Mosca, sotto casa.
Risposta di Putin: “La Russia è diventata molto più forte negli ultimi due o tre anni. Ora è un Paese veramente sovrano. Le nostre forze armate hanno il più alto livello di immediata capacità operativa al mondo. Lo stesso vale per l’industria della difesa”.
Riguardo all’attentato costato la vita al generale Igor Kirillov, Putin ha ammesso “errori gravi” da parte dei servizi di sicurezza. Qualche pezzo grosso dell’Fsb sarà molto preoccupato.
Chi non deve preoccuparsi è il russo medio, assicura il presidente. Perché nel Paese tutto va bene: nonostante l'inflazione, la debolezza del rublo e le strozzature sul mercato del lavoro, l’economia cresce piena di salute, ha detto. E l'aumento dei prezzi alimentari è dovuto al fatto che i russi consumano più carne e bevono più latte. “Non ne resta per fare il burro”, ha spiegato Putin. Il prezzo del burro dall’inizio della guerra è triplicato.
La cruda realtà
Nel mondo reale la bolla creata dall'economia di guerra invece preoccupa eccome. La governatrice della banca centrale, Elvira Nabiullina, non ne fa mistero. Ha portato i tassi d’interesse ben oltre il 20 per cento. Non può fare molto di più. Gli investimenti cominciano a risentirne. E i prezzi continuano a salire. Gli imprenditori se la prendono con lei, visto che non possono criticare Putin.
Parte della élite russa vorrebbe un compromesso che ponga fine alla guerra, stabilizzi l’economia e apra una finestra sul futuro. Ne abbiamo parlato spesso. Ma nessuno osa opporsi a Vladimir Putin. E nessuno, finora, sembra in grado di convincerlo a rinunciare ad alcuno degli obiettivi di guerra.
La "linea diretta" di fine anno è durata quattro ore e mezzo. Putin ha impersonato la figura dello “zar buono”, al corrente di ogni problema e pronto a intervenire contro i boiari corrotti e per difendere la Russia dai nemici esterni. Concetti radicati nella memoria storica, da quelle parti.
I messaggi: rassicurazioni a 360 gradi per la audience domestica e tamburi di guerra per quella internazionale, mischiati a una contraddittoria disponibilità a concludere una pace equivalente alla resa del nemico.
La reazione del nemico non si è fatta attendere: “Putin è un pazzo nazista”, ha commentato Volodymyr Zelensky. E anche “un idiota”, per aver ipotizzato un duello tra missili russi e difese aree Nato sul suolo ucraino “mentre la gente muore”. Proprio un bel clima di pace, non c’è che dire.