Il decreto Ambiente è legge, via libera alle trivelle più vicine alle coste: cosa cambia
Il decreto Ambiente, varato a ottobre dal governo Meloni, è definitivamente una legge. La Camera ha approvato (con 141 voti a favore, 81 contrari, tre astenuti) mentre il Senato lo aveva fatto pochi giorni fa. Il testo è passato con la fiducia: la settantacinquesima del governo Meloni. La legge contiene alcune novità per le procedure di valutazione e autorizzazione ambientale delle opere, ma anche per gli idrocarburi. In particolare, si vietano i nuovi permessi di ricerca ed estrazione di gas e petrolio, ma per quelli già esistenti, si abbassa la distanza minima dalle coste: nove miglia, invece di dodici.
Dal testo invece è saltato un emendamento che era stato presentato da Forza Italia e che avrebbe aperto alla privatizzazione dell'acqua. La proposta era di permettere alle aziende private di entrare nelle società in house – pubbliche – che gestiscono l'acqua. Il tema, ha fatto sapere il governo Meloni, potrebbe rientrare comunque nella manovra 2025.
Per quanto riguarda gli idrocarburi, cioè soprattutto gas metano e petrolio, il decreto prevede la fine di nuovi permessi di ricerca ed estrazione in Italia. Tuttavia, contemporaneamente si abbassano le distanze consentite dalle coste e dalle aree protette: solo nove miglia nautiche (circa 16,7 chilometri), e non più dodici. Una distanza che, secondo quanto aveva detto il ministero dell'Ambiente, dovrebbe garantire "un elevato grado di sicurezza per i territori circostanti". Questo si applicherà ai permessi di ricerca ed estrazione già concessi, e anche ai nuovi permessi di ‘gas release', cioè di fornitura di gas ad aziende energivore. D'altra parte, il governo Meloni aveva chiarito da tempo che intendeva puntare anche sull'estrazione di gas, per quanto in passato Fratelli d'Italia avesse avuto una posizione diversa.
Il decreto Ambiente contiene anche norme sulle procedure di valutazione e autorizzazione ambientale da parte delle commissioni Via-Vas e Pnrr-Pniec, che si occupano appunto di dare il via libera dal punto di vista dell'impatto sull'ambiente. In particolare, si dovrebbero velocizzare le pratiche per i progetti del valore di oltre 25 milioni di euro che hanno un "preminente interesse strategico" e che possono aiutare a ridurre la quantità di carbonio nell'atmosfera. Ma anche quelli che rispettano i criteri di affidabilità e sostenibilità tecnica ed economica, oltre agli interventi legati al Pnrr.
Saranno considerati una priorità, ad esempio, gli impianti per l'accumulo di energia idroelettrica tramite pompaggio puro, che prevedono un aumento della quantità di acqua immagazzinabile. Lo stesso vale per gli impianti di stoccaggio geologico, cioè quelli dove viene stipata CO2 in forma liquida, spesso iniettata in rocce porose, in zone molto profonde o in vecchi giacimenti ormai esauriti di idrocarburi. E anche per gli impianti con cui si cattura la CO2, quelli che vengono convertiti in bioraffinerie (che trasformano le biomasse, come rifiuti, legno o altro in biocarburanti).
Sul tema del dissesto idrogeologico, la legge permette ai presidenti di Regione (o meglio, i commissari per il dissesto, che spesso sono proprio i presidenti delle Regioni interessate) di avere maggiori poteri; i fondi che vengono assegnati potranno essere ritirati se i lavori non vanno avanti, e le banche dati sulla tutela dei territori saranno collegate per dare più informazioni. Infine, alcune norme riguardano l'economia circolare. Ad esempio, si promuove il riutilizzo delle acque reflue raffinate, che possono essere usate per irrigare.