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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Guerra Hezbollah-Israele, la morte di Nasrallah e il vuoto di potere in Libano: cosa sta succedendo

La guerra tra Israele e Hezbollah sta avendo e avrà ripercussioni sull’equilibrio interno di forze nel paese, la cui tenuta sociale è a rischio. Interessi interni, internazionali, dopo cinque anni di crisi economico-finanziaria, politica e sociale profonda.
A cura di Pasquale Porciello
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Questa guerra arriva in Libano in maniera così devastante nelle ultime tre settimane. Prima, un conflitto a intensità contenuta, che dava l’impressione di non dover superare le regole di ingaggio di scontri limitati al confine tra il Libano e Israele. Oggi la guerra è anche a Beirut e su 2/3 del paese e ha causato una emergenza umanitaria con un milione e 300mila sfollati interni, oltre 2mila morti e 10mila feriti. E un’emergenza sociale.

La morte di Hassan Nasrallah apre scenari interni interessanti e in definizione. Questa fase della guerra tra Hezbollah e Israele, la simbolica invasione di terra, la decimazione della dirigenza di Hezbollah, portano senza dubbio a dover riflettere sulle dimensioni e la qualità del vuoto di potere che si sta creando in Libano e sul riassetto di equilibri interni e regionali, in un paese già piegato da cinque anni di crisi nelle crisi.

Procediamo con ordine.

17 ottobre 2019, la Thaura, la rivolta. Milioni di persone in piazza per ribellarsi alla corruzione dilagante dell’intera classe politica. La protesta durerà pacificamente fino a dicembre, si ridimensionerà, poi ci saranno i primi scontri con l’esercito. A marzo 2020, complice il Covid, avverrà una sostanziale riduzione del fenomeno.

La protesta è contro la più devastante crisi economico-finanziaria del paese, prodotta da un effetto Ponzi -il governatore della banca centrale Riad Salameh, uomo di fiducia di Rafiq Hariri, è sotto processo- che ha portato a una graduale svalutazione della moneta. In Libano la moneta locale, la lira, è agganciata al dollaro, all’interno di un’economia oggi ri-dollarizzata dopo un periodo di incertezza. Prima della crisi un dollaro veniva cambiato per 1500 lire, poi in maniera fluttuante fino a 150mila, oggi, stabile da oltre un anno, a 90mila.

Nel frattempo i conti vengono congelati e i libanesi assistono inermi allo sgretolarsi dei propri risparmi. Un fortissimo impatto sulla classe media, soprattutto, e sulle classi subalterne, che erano comunque già in difficoltà, in molti casi sotto la soglia della povertà come nelle regioni a nord di Akkar e Tripoli. La ricca élite libanese nella maggior parte dei casi non ha contraccolpi.

Crisi politica: si alternano vari governi fino ad arrivare a quello ad interim di ora con a capo Najib Miqati, che attende la formazione del nuovo governo dopo le votazioni del maggio 2022 per passare il testimone. A fine ottobre dello stesso anno, il presidente Michel Aoun finisce il suo mandato e il paese rimane fino ad oggi senza un presidente della repubblica, figura cruciale e ago della bilancia, garante, della spartizione di potere nel paese tra i vari gruppi politico-comunitari.

Il Libano in questi anni ha visto un’ondata migratoria paragonabile a quella della guerra civile (1975/90), anche in seguito alla terribile esplosione al porto del 4 agosto 2020 che ha sventrato Beirut, il cui valore emotivo è stata un’enorme spinta ad abbandonare un paese incapace di proteggere i propri cittadini.

Questo lo scenario in cui si inserisce la guerra.

Gli attacchi di queste ultime settimane alla catena di comando di Hezbollah, l’uccisione del leader Hassan Nasrallah, i bombardamenti a tappeto nel sud e nell’est del Libano, quelli a Beirut, pongono un problema di equilibrio interno di forze in stretta relazione con le sorti di Hezbollah, sia in termini di potere militare della milizia, che in termini di egemonia nelle zone sue o di percezione da parte terza nel resto del paese.

Netanyahu in più di un’occasione ha parlato direttamente ai libanesi affinché isolino Hezbollah. Nella comunità sciita, dislocata, vittima di perdite, di ferite, amputazioni (i circa duemila morti e i 10mila feriti sono in massima parte sciiti, così come gli sfollati) c’è frustrazione, rabbia, risentimento, come dimostrano anche le ultime aggressioni ai giornalisti perlopiù da parte di gente esasperata. Alcuni uomini sono stati sorpresi a rubare nelle case degli sfollati a Beirut sud e sono stati legati ai pali della strada con il cartello "ladri". Tutti elementi di grande criticità, di tensione sociale a più livelli, un’emergenza che oltre ad essere umanitaria rischia a breve di diventare sociale.

Quello alle altre comunità -cristiana, drusa, sunnita- non toccate fino al momento dai bombardamenti, è un messaggio politico estremamente chiaro. La possibilità di un ribilanciamento di forze è accolto con grande entusiasmo dalla destra cristiana di opposizione, storicamente anti-Hezbollah, come quella delle Forze Libanesi o del Kataeb, che interloquisce col PPE in Europa.

Nell’ottobre del 2022 c’erano stati scontri a fuoco tra cecchini dell’orbita di destra che sparava su una manifestazione di Amal e Hezbollah
(7 morti), organizzata dal tandem sciita contro l’operato del giudice Bitar per l’inchiesta sul porto. Una tenuta sociale dunque molto labile già da prima, messa oltremodo in discussione oggi in un contesto in cui le interazioni tra le comunità si fanno meno accomodanti.

Sradicare Hezbollah non è impresa semplice, perché oltre ad essere milizia e partito, è anche società, credo religioso, immaginario collettivo e ideologia. E un sistema di potere dentro un sistema di potere con molti poli.

Morto Nasrallah e con lui buona parte della catena di comando di Hezbollah -un’intera generazione che veniva direttamente dalla guerra civile e rafforzatasi nella guerra civile in Siria- resta certamente un vuoto di potere da colmare all’interno del partito-milizia. Resta però soprattutto l’incognita più difficile da decifrare, ovvero quella sulla natura che assumerà Hezbollah in risposta a queste settimane in cui ha subito lo strapotere israeliano.

Morto Nasrallah non muore certo il sistema multicentrico di potere corrotto, nepotista, piramidale nelle singole comunità dei vari Berri, Bassil, Jumblatt, Miqati, quell’intera classe politica che la thaura voleva eliminare e che rimane più forte di prima, di cui Hassan Nasrallah era diventato esponente di spicco. Un sistema che include rapporti, affari, interferenze esterne in primis di Francia, Iran, Usa, Arabia Saudita, Russia, Italia in misura minore; accordi, in un sistema dall’impostazione economica neo-liberista, che si basano su relazioni ufficiali, ma anche e soprattutto personali dei vari rappresentanti interni con quelli esterni.

L’elezione di un presidente della repubblica, bloccata da due anni proprio perché non si è stati in grado di trovare un garante che accontentasse gli interessi di tutti e ciascuno, è in questo senso il passaggio chiave che definirà il nuovo ordine del Libano, con una logica di spartizione di potere però tutt’altro che nuova.

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Pasquale Porciello è un giornalista freelance specializzato in politica interna libanese e del medioriente e in comunicazione politica. È inoltre docente di lingua all’Università Antonina di Baabda (Libano). Vive attualmente in Libano a Beirut da oltre dieci anni e ha vissuto e studiato a Damasco in Siria prima della guerra civile siriana.
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