Peste suina, l’esperto: “L’Italia ha minimizzato il problema. Serviranno anni per eradicare il virus”
"In Italia si è tentato di minimizzare la portata della peste suina per il timore di creare allarmismo tra addetti ai lavori e popolazione: non è stata fatta adeguata prevenzione e non sono stati ascoltati gli esperti. Ma purtroppo questo virus non si può debellare con una strategia superficiale e approssimativa. Le responsabilità sono a molti livelli, a cominciare dalle autorità politiche". A parlare, intervistato da Fanpage.it, il dottor Alberto Laddomada, medico veterinario e virologo, riconosciuto come un’autorità internazionale nell’ambito della Peste Suina Africana (PSA) e già responsabile della salute animale presso la Commissione Europea. Un esperto del settore, dunque, che dopo Bruxelles ha diretto l’Istituto Zooprofilattico della Sardegna coordinando gli sforzi per l’eradicazione della PSA dall'isola.
Dottore, quali sono i dati aggiornati sulla diffusione della peste suina in Italia?
I dati disponibili purtroppo sono piuttosto confusi e io stesso li recupero qua e là, incrociando i numeri del bollettino epidemiologico nazionale con quelli reperibili sul sito della Commissione Europea. Il fatto che manchino dati chiari ed affidabili dovrebbe preoccupare tutti, a partire da voi giornalisti che avete il dovere di informare i cittadini. Ad ogni modo, stando a quanto a me risulta sulla base di quanto riportato nei due siti, in Italia dalla fine di luglio ad oggi si sono verificati 29 focolai di malattia nei maiali domestici, contagi rilevati in Pianura Padana, in una zona piuttosto ampia che va da Novara a Vercelli, fino a Piacenza. L'ultimo focolaio si è verificato pochi giorni fa in provincia di Lodi. Nei cinghiali i focolai erano alla fine di agosto 1.134, secondo i dati comunicati dal sistema di notifica europeo. Il numero degli animali uccisi evolve quotidianamente, ma dovremmo essere arrivati nel solo 2024 ad oltre 100mila suini abbattuti o in corso di abbattimento, non solo nelle aziende suinicole in cui è stata confermata la PSA ma anche in alcune aziende del lodigiano in cui la Asl ha deciso di procedere all'abbattimento di altri 20mila capi suini non infetti, ma ad elevatissimo rischio di contrarre il virus. Insomma, la situazione è particolarmente grave; è innegabile che siamo di fronte a una situazione di evidente crisi, dalla quale probabilmente si sta uscendo; ma un po' più di chiarezza su quanto sta accadendo non guasterebbe: basterebbe un report settimanale reso pubblico da parte del Ministero della Salute.
Il sito del Bollettino epidemiologico nazionale riporta un totale di 49 focolai in Italia: 20 più di quelli comunicati dalla Commissione Europea per il 2024.
Sì, ma si tratta di un numero fuorviante, che tiene conto anche dei dati degli anni scorsi e della situazione del passato in Sardegna, dove la peste suina africana è stata eradicata. Non a caso la Commissione UE probabilmente revocherà nei prossimi ogni misura restrittiva riguardante l'isola. Insomma, quel numero – 49 – non è errato ma è relativo in parte a quanto accaduto tra il 2022 e il 2023. Ora dobbiamo concentrarci sul 2024, e ad oggi i focolai sono 29.
I primi casi di peste suina sulla penisola (escluse quindi le isole) risalgono al gennaio 2022. Secondo un report della Commissione UE dei mesi scorsi l'Italia ha commesso gravi errori nelle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia. Cosa può dirci al riguardo?
Si è tentato di minimizzare la portata del problema per il timore di creare allarmismo tra addetti ai lavori e popolazione: non è stata fatta adeguata prevenzione e non sono stati ascoltati gli esperti. Ma purtroppo la peste suina africana non è una malattia che si può debellare con una strategia superficiale e approssimativa. Le responsabilità sono a molti livelli, a cominciare – come ovvio – dalle autorità politiche, ma recriminare serve a poco.
Ora che la diffusione della peste suina sta causando enormi preoccupazioni, gli allevamenti sono pronti ad affrontare l'emergenza?
No, poiché ci si è mossi con oltre due anni di ritardo. I produttori sono in enorme difficoltà ed è comprensibile che oggi siano molto preoccupati ed arrabbiati: i 30-35 che hanno avuto tutti i loro animali abbattuti verranno probabilmente rimborsati, ma cosa ne sarà degli altri? Penso ad esempio agli allevatori le cui aziende sono sottoposte a numerose (ancorchè giustificate) restrizioni, ai macelli, o ai mangimifici, ai trasformatori. Il danno economico è molto elevato.
Quali sono le produzioni maggiormente a rischio in Italia?
Nel nord Italia gli allevamenti sono per lo più dedicati al cosiddetto suino pesante, animale che viene macellato per la produzione di salumi quando raggiunge il peso di 150 chili. Quella a rischio è quindi un'intera filiera: dai salami alla coppa, dai prosciutti al culatello, prodotti molto apprezzati dai consumatori sia in Italia che all'estero, dove esportiamo circa 1,5 miliardi all'anno e dove presto rischiamo di trovare le porte sbarrate. Insomma, il pericolo è quello che l'intero settore collassi e trascini con sé anche l'indotto: commercianti, grossisti, produttori di mangimi… Parliamo di circa 100mila persone.
C’è modo di recuperare?
Purtroppo non sono ottimista, anche se capisco che le persone abbiano bisogno di rassicurazione perché sono comprensibilmente sconcertate, non si aspettavano di finire in una situazione del genere. Ma la situazione è molto, molto difficile, e tutti devono essere realisti: il problema non può essere risolto in pochi mesi. Ad ogni modo, visto che per ragioni ancora non ben note i picchi di peste suina nei maiali si verificano in estate, l'attuale crisi è probabilmente destinata a risolversi presto, almeno momentaneamente. Resta però una situazione molto complicata tra i cinghiali, e non se ne uscirà fuori facilmente. È probabile, dunque, che anche in futuro si registreranno focolai di PSA nei suini domestici a causa della diffusione del virus tra quelli selvatici, che non è possibile "eradicare". Purtroppo, l'esperienza che ci arriva da altri Paesi europei non lascia ben sperare: laddove la malattia ha raggiunto livelli come quelli attuali in Italia non ci si è mai liberati del virus. Così è accaduto in Romania, Germania, Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania. I fatti ci dicono che quando la peste suina si è ben installata in un Paese la sua eradicazione in tempi brevi è impossibile. Insomma, arrivati a questo punto non esistono soluzioni semplici: servirebbe una riflessione seria ed approfondita tra autorità, esperti della malattia, economisti, allevatori ed imprenditori, che cerchino una soluzione sostenibile a un problema che durerà molto a lungo ed il cui impatto deve però essere minimizzato. Perché l'intera filiera è ad alto rischio.