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Elezioni in Iran, si va al ballottaggio: il riformista Pezeshkian in testa, ma a vincere è l’astensionismo

Si andrà al ballottaggio il prossimo venerdì 5 luglio per scegliere il nuovo presidente dell’Iran: sarà faccia a faccia tra tra il candidato conservatore, Saeed Jalili, e il riformista, Masoud Pezeshkian. Dei 61 milioni di iraniani, aventi diritto al voto, appena il 40% è andato a votare.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Da destra: Saeed Jalili e Masoud Pezeshkian.
Da destra: Saeed Jalili e Masoud Pezeshkian.

Si andrà al ballottaggio il prossimo venerdì 5 luglio per scegliere il nuovo presidente dell'Iran. Per il successore di Ebrahim Raisi, morto in un grave incidente aereo lo scorso 19 maggio, si profila un testa a testa tra il candidato conservatore, Saeed Jalili, e il riformista, Masoud Pezeshkian. Il voto si è svolto in un contesto di calma relativa. Secondo i media locali, l'incidente più grave si è verificato nella regione del Sistan e Baluchistan dove due agenti di sicurezza sono stati uccisi in seguito ad un attacco contro un veicolo che trasportava le schede elettorali.

Bassa affluenza alle urne

Il dato principale del primo turno delle elezioni presidenziali anticipate del 28 giugno in Iran è stata la bassa affluenza alle urne. Dei 61 milioni di iraniani, aventi diritto al voto, appena il 40% è andato a votare. Si tratta della percentuale più bassa di affluenza per le elezioni presidenziali mai toccata dalla Rivoluzione del 1979. Alle elezioni presidenziali precedenti del 2021, che avevano portato Raisi alla vittoria, era andato a votare il 49% degli iraniani. Questa bassa affluenza è vicina al dato già molto deludente toccato alle elezioni parlamentari, vinte dai conservatori, dello scorso marzo, fermo al 41% di elettori che si erano recati alle urne. "È il segno che gli iraniani non hanno fiducia nella possibilità che ci siano delle riforme e vogliono il cambiamento", è il commento di un attivista di Teheran.

I sostenitori del movimento "Donna, vita, libertà", innescato dall'uccisione della giovane curda, Mahsa Amini, in massa hanno deciso di boicottare questa tornata elettorale. Così come ha chiesto di fare anche il premio Nobel per la pace in prigione, Narges Mohammadi. Tutto questo nonostante il consueto richiamo della guida suprema, Ali Khamenei, di andare a votare come "dovere religioso". Sulla scarsa partecipazione al voto si è espresso anche il politico riformista, Abbas Akhondi, escluso dalla competizione elettorale dal Consiglio dei guardiani, insieme ad altri 73 candidati. "Il 60% degli elettori non è andato a votare. Hanno lanciato un messaggio chiaro, si oppongono alla discriminazione che subiscono che li ha portati ad essere cittadini di seconda classe, governati da una minoranza che impone la sua volontà sugli altri", ha denunciato il politico. "Il governo deve sapere che, in assenza di cambiamenti, questi numeri continueranno a crescere perché molti tra coloro che sono andati a votare concordano con gli astenuti", ha concluso.

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Pezeshkian al secondo turno, una sorpresa ma non troppo

l secondo dato interessante di questo voto è stato l'ottimo risultato elettorale del candidato riformista. Masoud Pezeshkian con il 42,5% dei voti ha superato il candidato radicale Saeed Jalili, fermo al 38,6%, ed è in testa al primo turno con uno scarto di circa un milione di voti rispetto al suo rivale. Chirurgo cardiovascolare azero, parlamentare per venti anni, Pezeshkian, 69 anni, ha spinto molti iraniani che hanno creduto nel movimento riformista ad andare a votare.

Pezeshkian ha ottenuto il sostegno politico dell'ex presidente Mohammad Khatami (al potere dal 1997 al 2005), dell'ex presidente moderato Hassan Rouhani (al potere dal 2013 al 2021) e del suo ministro degli Esteri e capo negoziatore per il nucleare, Javad Zarif. Il medico era già noto per le sue vicende personali: aver cresciuto da padre single tre figli in seguito all'incidente automobilistico che ha ucciso la moglie. Pezeshkian è passato al secondo turno battendo candidati ben più accrediti di lui per il successo, come l'ex sindaco di Teheran, Mohammad Ghalibaf. "Pazeshkian rappresenta il mercato libero, l'apertura all'Occidente ma ha anche un occhio di riguardo per lo stato sociale", ha spiegato a Fanpage.it un attivista di Shiraz.

Una campagna elettorale di successo per il riformista

Il candidato riformista ha saputo puntare sui temi più rilevanti nella breve campagna elettorale mantenendo un discorso coerente e competente. "Si è mostrato come un candidato razionale, per questo anche docenti, intellettuali ed esperti hanno deciso di appoggiarlo", ha aggiunto un attivista di Teheran.

Pezeshkian ha assicurato che la ripresa economica dipenderà dalla fine dell'isolamento internazionale del paese, dal riavvicinamento con gli Stati Uniti e dal ridimensionamento degli stretti rapporti tra Teheran e Mosca, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Non solo, ha definito "immorali" le violenze della polizia contro i manifestanti, soprattutto se motivate soltanto dalle leggi restrittive in materia di abbigliamento. Si ricordi che la giovane, divenuta il simbolo delle mobilitazione che vanno avanti dal 2022 contro l'obbligo dell'hejab, Mahsa Amini, era stata uccisa dalla polizia morale dopo essere stata fermata a Teheran con l'accusa di non portare il velo secondo le regole.

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Le reazioni tra i conservatori

Gli altri candidati conservatori e radicali ora faranno di tutto per fare quadrato intorno a Jalili al secondo turno. Già si erano ritirati alla vigilia del voto i candidati conservatori, Amirhossein Ghazizadeh Hashemi e Alireza Zakani, per far confluire i voti dei loro sostenitori sui due principali candidati di questa corrente politica, Jalili e Ghalibaf. Quest'ultimo, dato nei sondaggi come in calo di popolarità, ha ottenuto al primo turno appena un terzo dei voti rispetto al secondo classificato.

Saeed Jalili, 58 anni, ultracoservatore populista, ha fatto la sua carriera politica nel Consiglio supremo di Sicurezza nazionale per poi diventare membro del Consiglio per il discernimento che si occupa di risolvere le controversie tra Consiglio dei guardiani e parlamento. Su posizioni radicali, si è duramente opposto al negoziato che nel 2015 ha portato all'accordo di Vienna sul nucleare con l'Iran, fortemente voluto dall'allora presidente USA, Barack Obama. Non solo, Jalili ha più volte elogiato le forze di sicurezza per la repressione in corso nel paese che ha portato a migliaia di arresti tra gli oppositori e almeno 500 morti tra il 2022 e il 2023. A meno di sorprese dell'ultima ora che motivino molti indecisi a recarsi alle urne, il prossimo 5 luglio i voti dei sostenitori di Ghalibaf dovrebbero andare a Saeed Jalili permettendogli di ottenere la vittoria finale.

Una rinascita per il movimento riformista?

Il presidente della Repubblica ha poteri limitati rispetto a quelli della Guida suprema in Iran. Quindi anche se fosse eletto, Pezeshkian incontrerebbe l'opposizione delle altre istituzioni postrivoluzionarie, come il Consiglio dei guardiani, chiamato a pronunciarsi sull'ammissibilità dei candidati alle elezioni ma anche sulla costituzionalità delle leggi approvate dal parlamento.

Tuttavia, si tratta del primo candidato riformista che arriva al secondo turno dopo la fine della presidenza Khatami nel 2005. Da allora, le principali figure di questa corrente politica sono state messe agli arresti domiciliari, come è accaduto per Mir Housein Mousavi e Mehdi Karroubi, o si sono completamente allontanate dalla vita politica dedicandosi ad attività della società civile, come è accaduto con lo stesso Mohammad Khatami. Marginalizzati nel dibattito parlamentare e politico, i riformisti si sono espressi più volte per un atteggiamento più progressista, inclusa la fine dell'obbligo del velo, e per il ridimensionamento della figura della Guida suprema, nonché per una maggiore apertura verso l'Occidente e una minore commistione tra religione e politica.

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Il 5 luglio gli iraniani decideranno se, dopo quasi venti anni, saranno di nuovo i riformisti a governare il paese degli ayatollah. Il nuovo presidente dovrà subito affrontare due questioni centrali in politica estera. La prima è la guerra a Gaza. I pasdaran hanno fatto sapere nei giorni scorsi che in caso di attacco israeliano in Libano si arriverà a una "guerra di annientamento" contro Tel Aviv. La seconda è il programma nucleare e i negoziati con l'Occidente. Soltanto lo scorso venerdì l'Organizzazione internazionale per l'energia atomica (AIEA) ha accusato l'Iran di aver installato quattro nuove centrifughe per l'arricchimento dell'uranio nella centrale di Fordow. La vittoria di un candidato riformista potrebbe facilitare il dialogo con l'Europa e gli Stati Uniti sia sul tema nucleare che sulla guerra tra Israele e Hamas. Mentre la vittoria di un politico radicale potrebbe ulteriormente isolare il paese e contribuire all'escalation del conflitto a Gaza.

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