750 anni dalla nascita di Dante
"Ché pur convien ch'i' soccorra Durante, / chéd i' gli vo' tener sua promessione, / ché troppo l'ho trovato fin amante"
Sono le parole dell’Amore in persona che troviamo nel Fiore, un delizioso poemetto del giovane Durante degli Alighieri, figlio di Alighiero Alighieri, che molti dei più raffinati editori moderni hanno cercato di attribuire a Dante. E potrebbe essere proprio lui, secondo Contini, quel ser Durante, il più grande poeta di tutti i tempi, quello che tutti noi conosciamo con il soprannome di Dante.
In momenti di anniversario come questi, quando si ha a che fare con la nascita (nel 1265) di Dante, il più grande poeta di tutti i tempi, la fantasia non può che volare alta. Sì, la fantasia non può che volare cercando di figurarsi in ogni modo la sua vita: vorremmo sapere chi era, cosa provava e cosa ha sofferto, vorremmo sentirci a lui un po’ più vicini e lui e capirlo. Perché questa curiosità? In fondo ci sono le opere, le leggiamo a scuola, le possiamo leggere e studiare quando vogliamo. La risposta è semplice: perché tocchiamo con mano il paradosso per il quale in un sol salto poesie come quelle di Dante potrebbero essere state scritte non settecento anni fa, ma appena ieri.
Dante è stato il più grande poeta di tutti i tempi perché ha usato le parole per creare il mondo, per ricrearlo più immenso, più universalmente vasto, ordinato e complesso, trasfigurando in linguaggio l’essenza trascendente di tutto il sapere che aveva, di tutto il sapere del suo tempo. Attraverso questa immensa trasfigurazione linguistica, mistica e razionale, metafisica e cosmica, tutto il senso del suo mondo ordinato dalla luce divina può essere anche il nostro, nonostante questi settecentocinquanta anni.
Ed è questo miracolo creativo che si rinnova ancora, che lo rende il più grande: solo nella sua poesia schiere luminescenti di beati del Paradiso diventano i corpuscoli di polvere da cui ognuno di noi ha visto, da bambino, penetrare nelle persiane di casa illuminati dai raggi del sole (Par. XV, vv. 112-115), rimanendone rapito: solo nella sua poesia le valli dell’inferno possono diventare un’immensa distesa di lucciole in un campo (Inf. XXVI vv. 25-42). Solo nei suoi versi, infine, un attimo prima di scorgere il volto stesso di Dio, ci troviamo negli abissi del mare, e l’apparizione della sintesi dell’universo intero è paragonata al dorso di una nave vista volare sulla superficie del mare dal fondo, come quando ci immergiamo e vediamo la luce del sole infrangersi sull’acqua su, in alto, sopra di noi (Par. XXXIII vv. 91-93).
Tutta questa creazione di Mondo, misteriosamente sua ma anche nostra, semplice come il più commuovente ricordo d’infanzia, eppure complessa come l’universo, è quel che lo rende il più grande, e la profonda ragione storica di tale grandezza sta in quella che un grande critico del secolo scorso, Auerbach, chiamava la capacità “figurale” di Dante: giunto alla soglia e al tempo stesso al culmine di un epoca, l’uomo medievale usa l’arte poetica per ridefinire i contorni del suo universo, psicologico e universale au meme temps, consegnandolo al resto della storia.
E dato che è l’anniversario del più grande fra tutti i poeti, da domani si inizierà a celebrare con lezioni, esibizioni e concerti di musica medievale. Domani si esibirà, a Firenze, nella Basilica di Santa Croce, il quintetto di musica polifonica Clemente Bines, ma è solo l’inizio di una serie di omaggi che la città natale di Dante tributerà al suo concittadino, ci saranno convegni, altri concerti, con relatori di grande qualità come Cacciari, Ravasi e Givone.
Di questo anniversario, insomma, possiamo farne un lustrino insignificante, inutile o possiamo farne un’occasione per accedere al continuo miracolo linguistico cui noi, dato che parliamo italiano, possiamo partecipare in modo privilegiato.