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500 miliardi di liquidità, posson bastare?

La Bce esaudisce tutte le richieste di liquidità a 3 anni al tasso fisso dell’1%: il quantitativo risulta doppio rispetto alle attese, ma le banche che ci faranno?
A cura di Luca Spoldi
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Mario Draghi

Secondo voi 489 miliardi di euro sono tanti o sono pochi? Secondo i mercati sono allo stesso tempo troppi e troppo pochi. Sono troppi 489 miliardi di euro di finanziamenti a 3 anni al tasso fisso dell’1% erogati stamane dalla Banca centrale europea guidata da inizio novembre da Mario Draghi a 523 banche europee, tra cui Intesa Sanpaolo che ha chiesto e ottenuto 12 miliardi di euro, Mps che ne porta a casa 10 e UniCredit che si “accontenta” di 7,5 miliardi (tutti in cambio di “collaterali” ossia obbligazioni e titoli di stato che le banche hanno portato in garanzia al prestito ricevuto), se si pensa che l’attesa era per 250-300 miliardi di euro di liquidità assegnata, vale a dire all’incirca l’importo che era in scadenza da precedenti operazioni a una settimana, tre mesi e un anno.

Perché sono troppi? Perché se la Bce ha creato, come sembra dai primi calcoli, circa 200 miliardi di nuova liquidità ha di conseguenza accresciuto di altrettanto il proprio bilancio (che fino a quel momento vedeva in essere circa 660 miliardi di euro di finanziamenti e che dunque sale di un 30% circa a 850-860 miliardi) e dunque ha agito di fatto come prestatore di ultima istanza per l’intero settore creditizio europeo, confermando che in sua assenza le banche non si fidano a prestarsi soldi tra di loro e che dunque il mercato del credito è tuttora “congelato” e il “credit crunch” che rischia di strozzare aziende e stati europei è solo rinviato.

Però allo stesso tempo sono pochi, perché già gli analisti del Credit Suisse hanno fatto due calcoli e stimato che di questa cifra “probabilmente” una parte “sarà utilizzata per riscattare la notevole quantità di debito bancario che matura all'inizio del prossimo anno (circa 130 miliardi di euro di obbligazioni bancarie dell’area dell’euro scadrà nel primo trimestre 2012)”. Poi “può anche darsi” che le banche “delle economie periferiche europee (come Spagna, Italia o Grecia, ndr) possano acquistare notevoli quantità di debito loro sovrani nel primo trimestre” dell’anno a venire. Insomma, per quanto l'importo non sia irrilevante non siamo ancora al “grande bazooka” in grado di far archiviare la crisi del debito sovrano europeo.

Anche perchè ben poco di questo fiume di denaro sembra destinato a nuovi prestiti a imprese e famiglie, salvo che, come sostiene il Credit Suisse, la prossima operazione di questo tipo (a febbraio) possa rivelarsi di dimensioni ancora superiori, visto che per quel momento “la Bce dovrebbe avere definito le sue regole più generose sui collaterali, consentendo alle banche di rifinanziare una parte maggiore del proprio bilancio con la Bce” girando a Eurotower un “notevole quantitativo” di debito sovrano accumulato anche attraverso operazioni di pronti/contro termine. Per alcuni sarebbe una gigantesca operazione di pulizia di bilancio destinata a trasferire il rischio dalle spalle dei bondholder privati (che hanno già dovuto subire “volontariamente” la decurtazione del 50% dei loro capitali investiti in titoli di stato greci) a quelle della Bce stessa (con la Germania che a quel punto farebbe finta di non vedere quel che sta capitando dopo mesi di polemiche sull’opportunità di assumersi rischi con l’emissione di Eurobond comunitari, rischi che evidentemente si assume ugualmente nel momento in cui ad agire è la Bce sia pure indirettamente, visto che il bilancio di Eurotower è garantito pro quota dagli stessi paesi membri di Eurolandia).

Ma alla fine, tanta liquidità fa bene o male? Anche qui il 2011 si chiude senza una risposta definitiva: chi propende per una visione più ottimistica sottolinea come iniettare liquidità faccia prendere tempo evitando un credit cruch immediato dovuto a un deleveraging violento (in sostanza si eviterebbe che le banche iniziassero a chiedere dall’oggi al domani il rimborso parziale o totale di prestiti e mutui); chi invece ne teme gli aspetti più controversi continua a dire che si tratta solo di uno “schema Ponzi” per nulla dissimile da quello che ha finito col mandare in rovina migliaia di clienti dell’ex presidente del Nasdaq Bernard Madoff dopo un decennio di “tranquillità” apparente, solo con la Federal Reserve e la Bce (e in ordine minore altre banche centrali come la Bank of England o la Bank of Japan) nel ruolo che fu del “grande truffatore” poi condannato a 150 anni di prigione.

Per natura sono portato ad essere prudente nei miei giudizi e non possedendo la sfera di cristallo non so come andrà a finire: la mia sensazione è che la crisi del debito sovrano sia endemica in tutto l’Occidente (non ne sono immuni né la Germania, che in proporzione è più indebitata della Spagna, né gli Stati Uniti, che da mesi vedono il Congresso spaccato a metà sulle misure da prendere per riuscire a ridurre l’ingente e tuttora crescente disavanzo pubblico nel prossimo decennio) e che derivi da una serie di concause che sarà lungo e laborioso correggere, dalla tendenza alla corruzione di molti apparati pubblici alla cattiva gestione dei fondi pubblici e privati, agli eccessi di consumismo, alla difficoltà in questa fase storica di confrontarsi con le nuove economie emergenti (che a sua volta porta a veder diminuire il tasso di crescita delle principali economie occidentali).

La sensazione è però che sebbene anche il 2012 e probabilmente il 2013 (inutile cullare pericolose illusioni su una “miracolosa” e improvvisa cura che porti a registrare una significativa ripresa economica già la prossima estate) trascorreranno tra alti e bassi, mezzi passi avanti e mezze ritirate. Ma che il problema sarà affrontato e gradualmente risolto senza arrivare ad alcun cataclisma o “rottura” dell’euro e dell’eurozona. Sempre che nessuno soffi sul fuoco, naturalmente, tentazione che singole forze politiche in uno o più stati potrebbero avere e dalle quali occorrerà guardarsi tenendo sempre a mente i costi ingenti di un eventuale disfatta e i benefici di portare a compimento un’opera di rinnovamento che sia al tempo stesso economico, organizzativo, culturale e generazionale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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