21 giugno 1976: quando i comunisti si illusero di aver vinto le elezioni
È il 21 giugno 1976. Ormai su Roma è calata la notte. Sotto al palazzo di Botteghe Oscure si è riunita una folla di compagni in attesa del segretario. Aspettano l’ufficializzazione del risultato elettorale. Il vociare della massa si zittisce quando sul balcone si affaccia Enrico Berlinguer. Il volto serioso tradisce un’allegria composta.
Si avvicina al microfono attrezzato per l’occasione. Intanto scattano fischi e applausi spontanei che cessano appena comincia a parlare: «Compagne e compagni penso che voi conosciate già» – fa una pausa per aggiustarsi tre volte i capelli e riprende – «le indicazioni che sono venute dai primi risultati. In termini strettamente numerici, noi passiamo dal rappresentare, nel 1972, poco più di un quarto dell’elettorato (27%), passiamo ormai a rappresentare stabilmente, con radici profonde, un terzo dell’elettorato; un italiano su tre vota comunista». Lo scroscio di mani è ora incontenibile.
Vediamo cosa è accaduto. Il Pci raggiunge il 34,4% ottenendo 228 seggi alla Camera. La Dc è avanti di un misero 4% con 262 seggi. Al Senato la distanza tra i due colossi arriva al 5%. Il risultato raggiunto nel ramo basso del Parlamento è dovuto in larga parte al voto dei diciottenni che per la prima volta entrano nella cabina elettorale.
Nel 1972 la Dc aveva conseguito più o meno la stessa percentuale con 266 seggi alla Camera, mentre il Pci era rimasto fermo al 27,15% con 179 seggi. Dunque i comunisti nel giro di quattro anni conquistano 49 seggi portandosi a soli 34 seggi dai democristiani. Sembra arrivato il momento del Partito comunista, pronto a rappresentare quella parte del Paese decisa a cambiare rotta rispetto al trentennio ininterrotto di governo democratico cristiano.
La Dc è arrivata sfiancata al turno elettorale. Nei mesi precedenti le correnti si sono dilaniate in una estenuante guerra interna. Da poco, infatti, si è concluso il XIII° Congresso nazionale (18 al 24 marzo) durante il quale si è svolto un duro scontro tra lo schieramento di sinistra ed una alleanza tra fanfaniani, dorotei e andreottiani. L'elezione diretta del segretario politico è avvenuta sul filo di lana: Benigno Zaccagnini vince con il 51,5% dei voti, contro Arnaldo Forlani che ottiene il 48,5%. Ad aprile Amintore Fanfani è eletto alla Presidenza del partito, votazione criticata dalla sinistra di "Base" come una vanificazione dei risultati congressuali. In questo marasma si aggiunge, al pari di una mannaia, lo scandalo Lockheed nel quale sono coinvolti il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, e l'ex Presidente del Consiglio, Mariano Rumor. Una settimana dopo il monocolore democristiano guidato da Moro si dimette, e il giorno dopo il Presidente della Repubblica scioglie anticipatamente le Camere.
Il clima in cui si tengono le elezioni politiche è teso. Si teme il "sorpasso" elettorale del Pci in virtù dell’accorta strategia di Berlinguer che propone il Partito comunista sullo scenario nazionale come una forza di sinistra moderata pronta a collaborare con la Dc per uscire fuori dalla crisi economica (stagflazione) e democratica (terrorismo) in cui è piombata l’Italia. Ma soprattutto conquista il voto del ceto borghese progressista presentandosi come riserva morale nazionale in un momento in cui bisogna da un lato difendere le libertà costituzionali dall’attacco dei terroristi, dall’altro dare un punto di riferimento ai cittadini onesti preoccupati dai casi di corruzione in cui sono implicati i leader della maggioranza e alte cariche istituzionali.
Il timore del “sorpasso” è reale, anche perché l’anno precedente, al termine delle elezioni amministrative (regionali e comunali), il Pci si è avvicinato pericolosamente alla Democrazia cristiana, arrivando a meno di due punti percentuali, con soli 30 consiglieri regionali di differenza. Si sancisce, così, una specifica distribuzione della rappresentanza regionale che assegna al Partito comunista la guida delle regioni del centro e del nord ovest. Non solo. Il Pci arriva primo a Torino, Genova, Milano, Roma e Napoli acquisendo il diritto di eleggere i sindaci di Torino, Genova, Roma e Napoli. Insomma si compone un quadro composito, che si ripeterà in futuro, in cui le tensioni di rinnovamento della politica nazionale si scaricano sulle amministrazioni locali.
Indro Montanelli, noto per il suo anticomunismo, in vista delle elezioni del ‘76 chiamerà a raccolta tutti i moderati invitandoli a turarsi il naso e votare Dc per impedire ai comunisti di assumere le redini del Paese. Vista la situazione, Berlinguer, alla vigilia delle votazioni, offre la collaborazione dei comunisti alla Democrazia cristiana che, da parte sua, conduce la battaglia elettorale in modo unitario grazie al riavvicinamento di Moro, Presidente del Consiglio, e Fanfani, Presidente del partito.
Alla fine la Democrazia cristiana conferma il suo primato. A pagarne le conseguenze, però, saranno la destra e i partiti laici che diminuiscono i propri voti a vantaggio proprio della Dc. Moro, intascato il risultato, comincia a portare avanti la strategia della terza fase per attrarre il Pci nell’orbita della maggioranza depotenziandone la carica esplosiva con il gravame delle responsabilità di Governo. Sostiene, infatti, con il solito funambolismo politico, che le elezioni sono state vinte sia dalla Dc, sia dal Pci. Avvia, perciò, un tavolo tra tutte le forze del cosiddetto "arco costituzionale", e quindi senza il MSI, per una suddivisione delle cariche istituzionali (il democristiano Fanfani verrà eletto Presidente del Senato, e il comunista Pietro Ingrao verrà eletto Presidente della Camera), con una spartizione delle altre cariche (Vice Presidenti, Segretari e Questori dei due rami del Parlamento) in base al peso elettorale raggiunto.
Il risultato delle elezioni del 1976 si risolve nell’adesione del Pci alla manovre di austerità, ma anche in una nuova logica spartitoria delle cariche istituzionali. Nasce in questo momento il cosiddetto "consociativismo", ovvero la prassi di permanente consultazione e suddivisione di cariche e spesa pubblica tra i maggiori partiti italiani, che inciderà sul futuro economico dell’Italia. Ma questa è un’altra storia.