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Opinioni

100 miliardi di guai per Unicredit e Intesa Sanpaolo

UniCredit ha più di 50 miliardi di crediti deteriorati, Intesa Sanpaolo ne ha circa 47. Per ora il mercato sembra essere distratto ma presto Ghizzoni e Messina dovranno prendere una decisione: cedere le sofferenze a qualche “avvoltoio” o accettare i “consigli” di Draghi e Visco…
A cura di Luca Spoldi
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Poteva andare molto peggio: una settimana partita sotto il segno dell’esplodere della tensione tra la Federazione Russa e l’Ucraina si è conclusa per la maggior parte dei titoli bancari senza grandi scossoni, complici le attese per operazioni di rafforzamento del capitale anche ai fini di un superamento senza problemi dell’Asset quality review che il mercato sembra gradire.

Se Unicredit finisce la settimana sui 5,86 euro per azione, pressoché invariata rispetto a venerdì scorso e in crescita del 52% rispetto ai livelli di un anno fa, Intesa Sanpaolo guadagna un 3% abbondante portandosi a 2,28 euro (oltre l’82% più di quanto valesse dodici mesi or sono) e Mps, tra volumi elevatissimi (tra mercoledì e giovedì è passato di mano il 28% del capitale, anche se solo un terzo dei volumi sarebbe riconducibile a operazioni direzionali, ossia acquisti o vendite di titoli veri e propri, mentre i due terzi dei volumi sarebbero legati a operazioni di trading aperte e chiuse più volte nell’arco della stessa seduta), ha guadagnato nell’ultima settimana il 22% nonostante la smentita ufficiale da parte della Fondazione Mps di aver ridotto la propria partecipazione, almeno fino al 5 marzo ferma al 31,48% (ma più di un operatore è pronto a giurare che tra ieri e oggi qualche milione di titoli sia stata ceduta, probabilmente facendo scivolare la quota attorno o sotto il 31%).

Ma concentrare l’attenzione sulle operazioni di ricapitalizzazione o sull’esposizione al rischio Est Europa serve anche da paravento per un tema che nelle scorse settimane aveva iniziato a impensierire il mercato, quello della possibile “bad bank” e del peso che le sofferenze (ossia i prestiti che sono destinati a non venire più restituiti) e i crediti deteriorati (npl, il più ampio ammontare di prestiti “dubbi”, che soffrono di un qualche problema, dal pagamento in ritardo di pochi giorni di una rata di mutuo di una famiglia che magari fatica a far quadrare i conti ai debiti “da ristrutturare” per decine o centinaia di milioni di grandi gruppi industriali come Sorgenia) hanno raggiunto a livello di sistema e nelle pieghe dei bilanci delle singole banche. Gli ultimi dati dell’Abi parlano a livello complessivo di sofferenze nette pari a fine 2013 a 80,4 miliardi (a fronte di sofferenze lorde per 155,9 miliardi) su 1.853,2 miliardi erogati complessivamente dalle banche, dato a sua volta ancora superiore ai 1.717,8 miliardi raccolti dalla clientela.

Se questo è il quadro complessivo, le grandi banche sembrano quelle che maggiormente debbono dolersi dell’essere state per anni “banche di sistema” avendo finito col rimanere impigliate in quasi tutti i più grossi “pacchi” dell’ultimo decennio almeno. Così uno studio di Ubs Investment Banking dello scorso dicembre che già ebbi modo di segnalare parlava di ben 243 miliardi di npl, per il 70% in capo a  Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Banco Popolare, Ubi Banca e Banca Popolare Emilia Romagna, con le sole due maggiori banche italiane che avrebbero dovuto avere in pancia, a fine anno, quasi 105 miliardi di crediti che in buona parte non torneranno indietro, non a caso Ghizzoni a fine anno ha già ceduto oltre 1,6 miliardi di npl con due distinte operazioni  e una cifra analoga è stata ceduta da Intesa Sanpaolo in un sol colpo a metà febbraio.

Sia il numero uno di Unicredit sia Carlo Messina, Ceo di Intesa Sanpaolo, sanno che se non si vogliono aver problemi con Bankitalia e la Bce ma soprattutto col mercato occorre mettere fuori bilancio quanta più parte di quei crediti deteriorati possibile prima di giugno, quando gli stress test della Bce saranno in vista del traguardo e Draghi potrebbe “suggerire” con maggior forza di Visco cosa fare. Per questo da qualche tempo si parla di un possibile veicolo comune cui le due banche girerebbero quanto meno quei crediti già “ristrutturati” di una decina di grandi clienti che pesano per circa 8 miliardi in casa Unicredit e attorno ai 2,5 miliardi per Intesa Sanpaolo secondo calcoli effettuati dall’agenzia Reuters.

In questo veicolo finanziario potrebbe entrare il fondo americano KKR, che punta come altri fondi americani ad un business allettante, anche se presenta qualche rischio: “Sono forti questi americani – si sfoga un operatore finanziario – prima hanno affossato banche e aziende italiane anche tramite la pratica, del “naked short selling, le vendite allo scoperto messe ufficialmente al bando dalla Sec nel 2008, ora si preparano a fare affari d’oro andandosi a comprare, a prezzi da saldo, npl o immobili” come ha fatto Blackstone con la sede storica di Rcs Mediagroup in Via Solferino, a Milano (ma anche rilevando una quota pari al 20% di Versace). Sarà vero?

Di certo Blackstone ci ha preso gusto, visto che lo stesso fondo ha messo gli occhi sugli immobili di proprietà del fondo chiuso Atlantic 1 (gestito da Idea Fimit), su cui ha deciso di lanciare un’Opa (dal 13 marzo al 2 aprile) “a sconto”, visto che il prezzo offerto è di 295,55 euro a quota (per un controvalore complessivo di 149,4 milioni) contro i 302,4 euro dell’ultima chiusura di borsa del fondo. Un'Opa, soprattutto, curata da Banca Imi che è lo stesso intermediario, appartenente al gruppo Intesa Sanpaolo, che ha curato nel maggio 2006 il collocamento delle quote di Atlantic 1 (a 500 euro a quota), oltre ad essersi occupato della cessione dell’immobile di Rcs.

Al di là dei “rumor” e delle indiscrezioni, la strada di Unicredit e Intesa Sanpaolo appare lastricata di buone intenzioni, ma rischia di condurre a esiti non propriamente piacevoli se non siete un “avvoltoio” americano ma rientrate nella categoria dei piccoli azionisti, chiamati a mettere soldi per ripianare i danni causati dalle avventure di molti “top manager”, dei dipendenti, per i quali si profilano giorni sempre più grami tra taglio dei compensi e licenziamenti, o della clientela ordinaria, su cui si continuerà a scaricare la stretta del credito senza la possibilità di ottenere quegli sconti e quelle dilazioni che le grandi famiglie del capitalismo italiano sono riuscite sempre ad ottenere.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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