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Kony 2012: ma gli ugandesi cosa ne pensano del video più virale di tutti i tempi?

C’è chi l’ha visto, si è commosso e sarebbe disposto a difendere a spada tratta l’operato degli attivisti di Invisible Children, ci sono quelli che hanno criticato Kony 2012 per il suo semplicismo e per le grosse controversie relative all’associazione: i soli a non essere stati ancora ascoltati sull’argomento sono gli africani stessi.
A cura di Nadia Vitali
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C'è chi l ha visto, si è commosso e sarebbe disposto a difendere a spada tratta l operato degli attivisti di Invisible Children, ci sono quelli che hanno criticato Kony 2012 per il suo semplicismo e per le grosse controversie relative all'associazione i soli a non essere stati ancora ascoltati sull argomento sono gli africani stessi.

Kony 2012 è diventato, in una decina di giorni, un vero e proprio fenomeno su youtube e social network, in assoluto il video più virale della storia della rete, raggiungendo l'impressionante cifra di oltre 70 milioni di visualizzazioni. Eppure, paradossalmente, proprio in molti angoli di quell'Africa di cui narra, l'accesso ad internet non è così facile e scontato come per il mondo occidentale, tant'è che per rendere partecipi anche i cittadini ugandesi del documentario che illustra una parte importante della loro drammatica storia contemporanea, l'organizzazione African Youth Initiative Network ha organizzato una proiezione del cortometraggio nella città di Lira, nell'Uganda settentrionale. Evento promosso e pubblicizzato da molte stazioni radio locali che è finito per attrarre circa 5000 persone, giunte anche dai villaggi vicini sulle proprie biciclette: il pensiero dell'organizzazione era andato a tutte le vittime del Lord's Resistance Army di Joseph Kony, comprendendo come la messa su pellicola della loro triste sorte poteva, quanto meno, aiutare tutti i sopravvissuti alla prigionia di Kony a sentirsi meno soli e parte di un «villaggio globale» della solidarietà che partendo dagli Stati Uniti arriva fino a quei territori inaccessibili in cui il guerrigliero e il suo esercito si nascondono.

Tra sorpresa e rabbia, gli ugandesi guardano Kony 2012Allo stupore iniziale del pubblico presente, che si è trovato dinanzi un narratore americano, ha certamente corrisposto la fiducia nell'andamento che quel film, visto da milioni di persone in tutto il mondo, doveva senz'altro meritare. Ma, secondo quanto riportato da Malcolm Webb per Al Jazeera, mentre la proiezione avanzava, l'umore generale si trasformava prendendo sempre più l'espressione della rabbia: in molti tra i partecipanti hanno visto quel film come un racconto superficiale e non accurato, colpevole di sminuire quello che è stato il dramma delle loro vite, faticosamente tentate di ricostruire dopo un passato di orrore, oltre che di commercializzare il dolore personale di centinaia di individui proponendo alla fine (scelta infelice) l'acquisto di braccialetti e magliette. La manifestazione si è conclusa in una gran confusione generale, con pietre lanciate contro lo schermo, il proiettore abbandonato, la gente che è scappata per mettersi al sicuro e chi è tornato a casa, ancora una volta, amareggiato: se quel video «dal potentissimo effetto virale» fosse stato visto prima dai diretti interessati, probabilmente, non avrebbe avuto tanto successo.Evidentemente, l'idea naïf che ci piace avere dell'Africa e dei suoi abitanti trova poco spazio nella realtà.

La via dell'inferno è lastricata di video virali – Così si intitola un articolo di Foreign Policy firmato David Rieff in cui l'autore lancia strali di fuoco contro le velleità umanitarie dei registi di Kony 2012, accusandoli di aver creato un prodotto che è una vera e propria chiamata alle armi: perché le presunte buone intenzioni con le quali il CEO di Invisible Children e gli stessi autori del video hanno risposto al fiume di critiche che ha investito loro, restano comunque insufficienti e, anzi, altro non sembrano se non, appunto, il pavimento dell'ade del celebre detto. L'imperativo «arrestare Joseph Kony», unito al supporto del governo degli Stati Uniti d'America, potrebbe facilmente evolvere in una guerra e, considerando il trasporto emotivo che il video sta creando in milioni di persone in tutto il mondo, possiamo affermare che l'opinione pubblica sull'argomento sarebbe già stata abbondantemente formata, mai come in questo caso, alla velocità e facilità di un click. L'Iraq e l'Afghanistan sono troppo vicini nel tempo e, se anche i tre giovani che hanno realizzato il film fossero armati solo di buone intenzioni e pura ingenuità, un approccio così rozzamente colonialista è eredità di un passato vergognoso e da non prendere certamente come esempio. Fa eco a questa voce Mahmood Mamdani, intellettuale ugandese, che in un articolo chiarisce «quello che Jason non ha detto a Gavin» riferendosi al dialogo tra il regista ed il proprio figlio biondo, clamoroso stereotipo di candida innocenza americana.

Il Lord's Resistance Army è un cencioso gruppo di poche centinaia di uomini al massimo, male attrezzati, male armati e male allenati, in cui gli adulti sono principalmente ex bambini rapiti passati dal ruolo di vittima a quello di carnefice: non è un potere militare e per contrastarlo non necessita di un intervento militare. I settanta milioni di persone che hanno visto il video devono comprendere che i vertici dell'LRA, al pari dei bambini che ne fanno parte loro malgrado, non sono una forza aliena all'Uganda bensì figli e figlie di quello stesso suolo. E la soluzione non è eliminarli fisicamente, ma trovare strategie per integrarli all'interno della società.

Voci dall'Africa – Raccolti e riportati da boinboing, poi, un fiume di commenti provenienti da scrittori, attivisti, giornalisti, ricercatori, tutti accomunati dalla medesima origine africana e dal medesimo giudizio duro sul contestato lavoro di Jason Russell e dei suoi. Attraverso twitt, post, articoli, ciascuno ha espresso la propria opinione ed il proprio punto di vista, nel tentativo di trasmettere, se non a 70 milioni di utenti almeno ad una parte di essi, una prospettiva «interna» delle vicende: è l'Africa che pensa, perfettamente in grado di discernere quello che è un aiuto ed un sostegno da un gretto approccio paternalista e post-colonialista. «Quel video è uno schiaffo in faccia a quanti di noi vogliono rinascere dalle ceneri del nostro tumultuoso passato, è il cappio del benevolo e paternalista aiuto per lo sviluppo. Noi africani viviamo schiacciati tra le nostre reali storiche imperfezioni e le "buone intenzioni" altrui. È un modo di esistere soffocante. Per essere adeguatamente ascoltati, dobbiamo stare alla guida del rimorchio del treno dell'idiozia e del moralismo. E anche allora dobbiamo combattere affinché le nostre voci vengano rispettate. Kony 2012 non è la rivoluzione». Con queste parole TMS Ruge, giovane ugandese cofondatore di Project Diaspora esprime la sua rabbia per un video la cui «semplicità del "buono contro cattivo" dove il buono è inevitabilmente il bianco/occidentale e il cattivo è nero ed africano, è ancora la reminiscenza dei peggiori eccessi dell'era colonialista» come evidenziato da Angelo Opi-aiya Izama, ricercatore di Kampala. Teju Cole, scrittore e fotografo di origine nigeriana commenta: «Il salvatore bianco al mattino supporta le politiche di brutalità, nel pomeriggio offre associazioni umanitarie, alla sera ne riceve premi e riconoscimenti per la sua bontà»; «Ho sentito che il nostro passato veniva usato da alcune figure esterne per attrarre l'attenzione sulla loro causa; quella causa, naturalmente, non è il miglioramento della vita dei nostri cari» è il commento al video di Frank Odongka "poeta, artista ed ingegnere informatico" di Kampala. E poi ci sono le donne come Semhar Araia, di origine eritrea che vive a Minneapolis, fondatrice del Diaspora African Women's Network che in un articolo intitolato Imparare a rispettare gli africani osserva: «Devono essere disposti ad utilizzare i loro media, se vogliono, per amplificare non la propria voce ma quella degli africani»; oppure Rosella Kagumire, giornalista ugandese, che si chiede a che scopo utilizzare «vecchi filmati creando isteria collettiva, quando sarebbe possibile andare nella vicina Repubblica Democratica del Congo o in altri paesi ugualmente problematici ed avere una prospettiva che sarebbe sicuramente più attuale, oltre ad includere anche nuovi punti di vista»; o la scrittrice ed attivista etiope Solome Lemma:

Sono stata disturbata dalla narrazione così riduttiva che dipinge le persone come vittime mancanti di riferimenti, voce, potere o volontà, sollecitando per giunta un gruppo esterno di studenti americani a liberare loro rimuovendo la persona malvagia che causa le loro sofferenze. Ebbene, questa è una rappresentazione distorta della realtà del territorio.

E, infine, i finanziatori… – Insomma, per quanto lacune e mancanze suggeriscano «all'uomo bianco» una visione dell'Africa come muta, silenziosa e in attesa di aiuto, è evidente, e logico, che le cose stiano in un altro modo. Le voci di africani offesi, turbati, indignati per quel video sono state decine; nel frattempo, un'inchiesta di Xeni Jardin per boingboing ritiene di aver individuato nella destra ultra cattolica, creazionista ed omofoba, uno tra i principali finanziatori di Invisible Children. I promotori della proposizione 8, la legge statunitense che mira a mettere fuori legge le unioni tra omosessuali, i gruppi razzisti che inneggiano ad Hitler, enti che promuovono il proselitismo evangelico in Africa con il sostegno economico della National Christian Foundation, la più grande organizzazione di destra anti gay degli Stati Uniti, la stessa che avrebbe finanziato Ed Silvoso, pastore evangelico collaboratore di Julius Oyet: colui che ha proposto e promosso la legge ugandese per rendere l'omosessualità un reato punibile con l'ergastolo o la pena di morte. Ecco come accade che, ad ampliare la prospettiva, staccando per un attimo lo sguardo dalle commoventi e strazianti immagini accuratamente selezionate per la realizzazione di Kony 2012, ascoltando le voci dei «diretti interessati» ed indagando con accuratezza su quelle «buone intenzioni» che hanno il potere di far paura, si comincia a vederci un po' più chiaro: come piace ripetere ai registi del video, è il potere della rete.

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