Non volevo crederci, ho pensato che fosse un errore di stampa o che, peggio, semplicemente trattasse di un colloquio privato diventato intervista: Angelino Alfano, Ministro dell'interno di un governo dalle intese così larghe da non convergere quasi mai, questa mattina in un'intervista a Repubblica dice, papale papale, che il reato di clandestinità non ha funzionato e non funziona ma abolirlo spaventerebbe la gente. Tradotto: stiamo parlando di una pagliacciata giuridica che tranquillizza solo i fessi ma gli italiani sono troppo fessi per capirlo.
E allora conviene, anche se di domenica mattina, riprendere le fila di un dibattito che ha fatto della propria povertà culturale l'aspetto che l'ha reso "pop", così utile per quella "politica di pancia" che ha regalato a questo Paese una classe dirigente degna al massimo di una sit-com americana con le risate finte e le musiche di Ridolini: il reato introdotto nel 2009 (il Ministro alla giustizia era Angelino Alfano, tanto per dare un'idea) è stato osteggiato e combattuto dal centrosinistra fin dall'inizio e ad oggi in molti concordano nel ritenere che si sia rivelato semplicemente un appesantimento della burocrazia senza risultati concreti, come spiega bene Antonio Palma qui, tanto che sia il Ministro Orlando che il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti ne hanno chiesto la cancellazione. Renzi ha sventolato l'abolizione del reato come una vittoria politica già un anno fa: se avete un vago ricordo di Renzi mentre decantava il merito di avere superato l'odiosa legge di Maroni (e del suo attuale Ministro dell'Interno, eh) non avete avuto le traveggole ma banalmente il Governo ha fatto una promessa e non l'ha rispettata, facendo cadere la delega che avrebbe dovuto trasformare la parole in azione.
Ora, in una nazione normale, una legge festeggiata e poi mai scritta sarebbe di per sé già un buon motivo per sollevare una coltre di improperi contro la faciloneria del Consiglio dei Ministri e del Presidente del Consiglio ma oggi, Alfano (e con lui il NCD), riesce addirittura a superarsi rivendicando il fallimento dell'iter politico come una vittoria sua e del suo minuscolo partito. Cioè: "grazie a noi non abbiamo mantenuto le promesse". Urrà, urlano tutti insieme, con Formigoni che twitta fiero «ecco a cosa serve l'NCD». Sembra Scherzi a Parte e invece è "l'Italia che riparte".
Mi torna in mente una chiacchierata con un professore di filosofia dell'Università di Venezia che mi spiegò come «le vere classi dirigenti si formano a seguito di un grosso trauma o di una rivoluzione» e che noi in Italia paghiamo lo scotto di una politica che è ormai da decenni alla deriva come un vecchio barcone che si lascia mangiare dalle alghe. Se davvero Angelino Alfano e Renzi credono che una legge ingiusta non vada abolita perché gli italiani non capirebbero ci stanno confessando di essere inadatti al ruolo di riformatori, inetti nel prendere in mano la responsabilità di un'etica agenda di governo e incapaci nel ruolo di guida. Nella loro offesa agli italiani (che secondo loro si spaventerebbero come si spaventano gli idioti immersi nella propria baldanzosa ignoranza) in questo momento stanno dichiarando apertamente di fare marketing più che politica, di accarezzare gli stomaco piuttosto che le intelligenze e di esser proni al consenso anche nelle sue forme più basse.
Non c'è differenza tra chi chiamava gli italiani "coglioni" e chi li accarezza bisbigliando "non capiresti". Al massimo questi sono semplicemente più morbidi. O infidi. E forse è anche peggio.