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Salvatore Conte in Gomorra: un paranoico alla guida degli scissionisti

Ama la mamma di tenero affetto, ma allo stesso tempo tratta con la mafia russa e i narcos sudamericani. È ossessionato dalla religione e non si stacca mai dalla sua sigaretta elettronica. Vive in Spagna, ma parla solo napoletano. Si circonda di adulatori e si priva dei piaceri per sentirsi superiore ma in realtà, Salvatore Conte, è affetto da manie compulsive generate da un manifesto complesso di inferiorità.
A cura di Marcello Ravveduto
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Salvatore Conte è un paranoico. Sarebbe il personaggio perfetto per la seconda stagione di In Treatment. Si mostra calmo e riflessivo, vuoto di emozioni, in realtà è una maschera imposta dalla pervicace volontà di contrastare un intimo complesso di inferiorità. La sigaretta elettronica, che porta sempre con sé, non è un vezzo ma una sorta di “coperta di Linus” grazie alla quale riesce a superare il timore di non essere all’altezza. Si impone alcune privazioni per abituarsi a non aver bisogno di nessuno. Vuole dare l’impressione di essere un lupo solitario pronto ad azzannare la preda dopo averla fiutata. Nonostante ciò le sue turbe psicologiche non lo abbandonano mai. Sin dalla prima apparizione viene a galla la tara caratteriale: il temibile capo degli scissionisti – a trent’anni suonati – dopo aver trattato con narcotrafficanti di caratura internazionale si ritira a casa dalla mamma che gli fa trovare il piatto di pasta pronto a tavola. Basta questo incipit per comprendere la scissione interiore vissuta dal personaggio tra la sfera pubblica e la vita privata.

L’appartamento a cui viene dato fuoco sembra una cappella patrizia: crocifissi e icone sacre inseriti all’interno di un arredamento lussuoso ma irrimediabilmente kitsch. Salvatore Conte è un cattolico osservante che rispetta tutti gli stilemi del camorrista religioso: santi e madonne sono parte integrante di un universo simbolico asservito ad una strumentale ricerca di purificazione e perdono per mondarsi dal male quotidiano. Gli piace vestire bene ed essere circondato da adulatori, ma evita accuratamente ogni tipo di relazione amichevole usando i suoi uomini come intermediari o schermi di protezione. Si muove con un’autista che non ha le caratteristiche della guardia del corpo ma del maggiordomo prono al volere del datore di lavoro; gli effetti personali sono ordinati con cura maniacale; i capelli sono imbalsamati in un untuoso e tamarro carré anni Novanta con l’immancabile coda di cavallo; abita in case da sogno sulla costa iberica; soggiorna in alberghi a cinque stelle e desina in ristoranti esclusivi, mantenendo costantemente un atteggiamento da cafone arricchito che prova a darsi un tono.

Raramente si avvicina alle persone con cui tratta, l’unico con cui ha volutamente un contatto fisico è il meccanico ingannato da Ciro: essendo un ragazzino non ha il timore del confronto. Ma, in questo caso, il contatto serve a confermare la sua intangibilità di boss che non crede all’esistenza dell’innocenza tra i cittadini di Gomorra. Tutti sono colpevoli e lui, che si batte il petto e si sottopone ad esercizi fisici prima di addormentarsi, lo sa meglio degli altri. Da questi indizi possiamo notare quanto Salvatore Conte sia vittima del suo stesso destino: un debole che ha fortificato la sua personalità aggrappandosi ad alcune vacue certezze senza le quali sarebbe un mollusco sgusciato. Non è un boss vecchia maniera il cui potere si basa sul controllo del territorio e sui rapporti sinallagmatici con imprenditori e politici. È un “uomo nuovo”, privo di radicamento territoriale, che ha investito tutto nel commercio degli stupefacenti. È un narcotrafficante prima ancora di essere capoclan. La sua piattaforma logistica è in Spagna, a Barcellona (la Napoli iberica), dove smista le partite di droga in arrivo dal Sud America.

Conte è un esponente della rete commerciale specializzata nel traffico di stupefacenti. Dal suo punto di vista i clan della camorra o della mafia russa non hanno nessuna differenza, in entrambi i casi gli affari vanno gestiti con determinazione rispondendo colpo su colpo. Tuttavia, secondo il vecchio schema interpretativo, è un marginale nel suo territorio di origine perché non appartiene all’aristocrazia criminale che esercita un potere feudale visibile. Questo deficit lo rende una figura ibrida a metà strada tra Genny e Ciro: la paura di non essere accettato gli impone uno stile di vita duro che lo ha spinto verso l’autonomia organizzativa, causa scatenante di un comportamento psicologico chiuso, diffidente, mellifluo e borderline. Non è un caso, allora, se Ciro riesce a farla franca in ben due occasioni perché entrambi vogliono la stessa cosa: sostituire Pietro Savastano pur sapendo di non averne le qualità. Conte vuole imporsi sfruttando il denaro in assenza di un reale radicamento territoriale. Nello scontro tra scissionisti e clan storici si replica, in salsa criminale, il conflitto tra capitalismo finanziario e stati nazionali. La globalizzazione ha lasciato emergere sul mercato soggetti privi di collegamento con le istituzioni tradizionali.

La camorra del secolo scorso è paragonabile ad un ordinamento statuale e come tale la sua autonomia, nell’era neoliberista, è messa in crisi dalla deregulation economica localizzata. Così, mentre i Savastano sono impegnati a strutturare un welfare criminale per conquistare il consenso dei residenti nelle piazze di spaccio, Conte non ha bisogno di impegolarsi in azioni sociali in quanto il suo obiettivo prioritario è rifornire (e quindi portare dalla sua parte) le bande di quartiere senza rimanere invischiato in questioni ultra-locali. Del resto, come è noto, gli scissionisti si fanno chiamare “gli spagnoli” richiamando, da un lato, la loro dimensione internazionale, rimandando, dall’altro, gli antichi dominatori di Napoli, ovvero quelli che, secondo la leggenda, avrebbero dato origine alla camorra.

Considerando come si sono svolti i fatti nella realtà, gli scissionisti hanno preso il comando proprio come le truppe spagnole, ma la natura essenzialmente economica del loro potere ha determinato dei cambiamenti negli assetti territoriali: diminuiscono le piazze di spaccio e si spostano da Scampia (ormai mediaticamente bruciata) ma rimane strategico, dal punto di vista dei collegamenti con l’hinterland, il distretto illegale/criminale dell’area a nord di Napoli. Conte rappresenta un’innovazione senza riguardi verso la tradizione. Il quartiere gli serve solo come magazzino di stoccaggio per operazioni speculative sui prezzi al dettaglio in modo da sbaragliare la competizione commerciale dei diretti avversarsi. Le sue paranoie sono il riflesso condizionato di un’antropologia criminale nutrita da stereotipi mediterranei: la madre, la religione, il narcisismo, il maschilismo, l’edonismo, tutti elementi di contorno necessari a ricondurre il personaggio nell’alveo del folklorismo che tanto piace ai popoli anglosassoni, ovvero i principali acquirenti della fiction.

Non si poteva negare agli americani l’illusione di considerare la camorra un mito ancestrale del popolo napoletano (nonostante sia un falso storico accertato).

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