La Corte d'Appello di Napoli, sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale, ha condannato lo scrittore Roberto Saviano e la casa editrice Mondadori per plagio. Ovvero «illecita riproduzione» di tre articoli, pubblicati dai quotidiani locali "Cronache di Napoli" e "Corriere di Caserta", all'interno del libro "Gomorra", il best seller sulla camorra che ha consacrato lo scrittore campano. Saviano e Mondadori sono stati condannati in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, per 60mila euro più parte delle spese legali. In più, nelle edizioni di "Gomorra" dovrà essere indicato il nome dell'autore degli articoli, dell'editore – la Libra Editrice scarl, difesa dall'avvocato Barbara Taglialatela – e della testata da cui sono stati tratti. Lo scrittore ha già annunciato pubblicamente che ricorrerà in Cassazione contro la sentenza d'Appello. Il primo grado era stato favorevole per lui e per Mondadori.
Dalla sentenza d'Appello, che Fanpage.it ha avuto modo di visionare, si può ricostruire questa vicenda giudiziaria durata cinque anni. Era il 2008, quando la "Libra", editore di "Cronache" e "Corriere", avviava l'azione giudiziaria contro Saviano chiedendo 300mila euro di danni. Saviano – questo è contenuto nelle ragioni di fatto esposte dall'editore – negli anni 2004 e 2005 «si era recato presso le redazioni di "Cronache di Napoli" e "Corriere di Caserta" chiedendo copia delle fonti giornalistiche scritte (ordinanze di custodia cautelare della Direzione Distrettuale Antimafia, verbali d'udienza ecc) nonché copia dei numeri in cui i relativi documenti erano stati oggetto di specifici articoli». Un lavoro di documentazione propedeutico alla scrittura del suo primo romanzo, pubblicato nel 2006. Quando "Gomorra" esce e diventa un caso internazionale arriva il ricorso per plagio; lo scrittore si oppone sostenendo che il libro è «frutto di autonoma attività creativa dell'autore» e che le fonti di cronaca erano di pubblico dominio. Quindi nessun copia/incolla. Nel 2010 la sentenza di primo grado è favorevole a Saviano e Mondadori e, anzi, condanna la "Libra Editrice": viene dimostrata l'illegittima riproduzione di due articoli scritti da Saviano per "Il Manifesto" e "La Repubblica". L'autore viene risarcito con 5mila euro, sentenza confermata anche in Appello.
Tuttavia il secondo grado accoglie in parte il ricorso presentato dall'avvocato Taglialatela. Il ribaltamento del giudizio riguarda nello specifico tre articoli: i primi due sono "Il multilevel applicato al narcotraffico" e "Ore 9: il padrino lascia la ‘sua' Secondigliano" pubblicati da "Cronache di Napoli" per i quali è stata riconosciuta la riproduzione abusiva; il terzo è "Boss playboy, De Falco è il numero uno" pubblicato dal "Corriere di Caserta", illegittimamente riprodotto senza la citazione della fonte. I primi due sono stati inseriti in "Gomorra" a descrizione di fasi riguardanti la faida camorristica di Scampia e Secondigliano e l'epopea criminale della famiglia Di Lauro. Il terzo ha, invece, un'altra storia: fu citato in "Gomorra" come j'accuse dello scrittore contro il giornale che, sosteneva Saviano «aveva millantato rapporti tra don Peppino (don Giuseppe Diana, il prete anticamorra di Casal di Principe ucciso dal clan dei Casalesi ndr.) e il clan» e che «dedicò prime pagine» alla «qualità di amatore» del boss Nunzio De Falco. In "Gomorra" viene citata la circostanza, viene riprodotto l'articolo ma la fonte dalla quale è tratto non viene indicata.
Nel momento in cui è stata depositata la sentenza, Roberto Saviano ha affidato al social network Facebook il suo pensiero sull'argomento. Annunciando di voler ricorrere in Cassazione visto il secondo pronunciamento giudiziario parzialmente sfavorevole, l'autore campano scrive: «In questi lunghi anni sotto scorta, nel corso dei quali ho affrontato molti attacchi, quel che in assoluto più mi ha ferito sono state le accuse di plagio, perché ho sempre scritto e lavorato ai miei articoli e ai miei libri personalmente e con dedizione. Ho sempre cercato fonti e notizie ovunque le trovassi. Ho sempre voluto come prima cosa accertarmi che quanto stessi raccontando fosse vero, provato, verificato. Il Tribunale, nella sentenza di primo grado, ha rigettato le loro accuse, condannandoli anzi al risarcimento di danni: hanno loro ‘abusivamente riprodotto' due miei articoli. Naturalmente hanno fatto ricorso in Appello e la loro condanna è stata confermata. I giudici hanno poi ritenuto che due passaggi del mio libro avrebbero come fonte due articoli dei quotidiani di Libra. Neanche due pagine su un totale di 331. Ricorrerò in Cassazione. Anche se si tratta dello 0,6% del mio libro, non voglio che nulla mi leghi a questi giornali: difenderò il mio lavoro e i sacrifici che ha comportato per me e per le persone a me vicine».
Saviano ricorda su Facebook anche di quando, nel 2008, al Festivaletteratura di Mantova raccontò "la grammatica" di alcuni quotidiani in terra di camorra in riferimento soprattutto al titolo del "Corriere di Caserta" sulla presunta vicinanza di Don Diana ai Casalesi. «Arriva la citazione in giudizio da parte dell'editore dei quotidiani di cui avevo parlato. Non mi accusavano di averli diffamati, ma di aver totalmente copiato "Gomorra". Quando si racconta ciò che accade nel medesimo territorio, è sempre possibile dire: ‘L'avevo scritto prima io'» dice Saviano, prima di ricordare che l'ex editore di "Libra", Maurizio Clemente, «è stato già condannato a otto anni e mezzo di reclusione per estorsione a mezzo stampa». Netta la replica dell'avvocato Taglialatela, difensore di "Libra", contattata da Fanapge.it: «La sentenza dimostra che Saviano copiava i pezzi di questi giornali che denigrava. Ricorrerà in Cassazione? Lo faremo anche noi perché gli articoli copiati dalle testate sono molti di più».
Problemi anche per "Zero Zero Zero": uno skipper francese Jean Luc Capelle, che vive a Varazze (Savona), ha denunciato per diffamazione Roberto Saviano e chiesto il sequestro del libro "Zero, zero, zero", edito da Feltrinelli. Motivo? In uno dei capitoli accenna al maxi sequestro di hashish compiuto sulla Sheldan, l'anno scorso, imbarcazione che lui aveva affittato a clienti poi bloccati a Imperia con un carico di droga.
LA COPIA DELLA SENTENZA DELLA CORTE D'APPELLO DI NAPOLI – PDF