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Perché è importante l’arresto del super boss Rocco Morabito: il padrino diventato mito

Rocco Morabito non è un boss latitante qualsiasi: nella sua vita ha creato (e gestito) la fitta rete di narcotraffico che ha reso la ‘Ndrangheta così potente. Per questo l’estradizione è fondamentale per la credibilità dell’Italia.
A cura di Giulio Cavalli
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Non è un arresto qualsiasi quello di Rocco Morabito, catturato in Uruguay dopo 23 anni di latitanza che, come sempre succede, lo hanno reso un mito all'interno dell'organizzazione criminale. Morabito del resto figurava nell'elenco dei cinque latitanti più pericolosi insieme a al capo di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, al camorrista Marco Di Lauro, a Giovanni Motisi e ad Attilio Cubeddu. "U Tamunga", come lo chiamavano i suoi compari per quella sua appariscente jeep prodotta negli anni '60 dalla casa automobilistica DKW, è discendente di Giuseppe Morabito "u tiradrittu", il boss dei boss della ‘Ndrangheta che negli anni '70 organizzò il narcotraffico con l'alleanza tra i Barbaro di Platì, i Pelle di San Luca e Pisano-Pesce-Bellocco sul versante tirrenico: "u tiradrittu" fu quello che rese grande la criminalità calabrese arricchitasi immensamente con la droga smistata al sud e rivenduta al nord dopo il business dei sequestri di persona. E anche Rocco si trasferì giovanissimo a Milano: per niente preoccupato di mimetizzare il proprio stile di vita lo ricordano a 25 anni mentre scorrazzava con belle auto e belle donne nei locali del centro dividendosi tra il bar Biffi e i locali della Galleria.

Nell'entroterra pavese, a Cairate, ricordano ancora la sua villa sfarzosa che pareva uscita dal film de "Il Padrino" mentre a Africo la sua casa a due piani con la vasca idromassaggio incastonata tra i marmi rosa è stata per anni meta di pellegrinaggio di criminali e poi nostalgici adoratori. Rocco Morabito in Lombardia si è occupato per anni di un imponente flusso di cocaina gestito dalle ‘ndrine: rimangono  nella storia il suo tentativo di "importare" 592 chili dal Brasile nel 1992 e poi la fornitura di 693 chili dell'anno successivo. 

Quando gli uomini della Squadra Mobile di Milano coordinati dal pm Laura Barbaini si misero sulle sue tracce per traffico internazionale di droga fu facile per lui fare perdere le sue tracce. Fino all'arresto di ieri per mano delle forze dell'ordine di Montevideo, in Uruguay, dove pare si sia trasferito una decina di anni fa. Le forze dell'ordine l'hanno stanato a Punta del Este, una rinomata località turistica, dove sotto il falso nome di Francesco Antonio Capeletto Souza (con un falso passaporto brasiliano) si era insediato nel pacchiano quartiere di Beverly Hills, copia pacchiana dell'omonimo quartiere in USA. Anche qui, ovviamente, la villa spicca per il lusso: dopo l'arresto la polizia uruguaiana ha confiscato tra l'altro 13 cellulari, una pistola, 12 carte di credito, assegni in dollari e 150 foto carnet con il viso del detenuto.

"Dal 1994, il mio cliente ha una vita normale e non ha nulla a che fare con attività delittuose o organizzazioni criminali", si è affrettato a dire in queste ore il suo legale, concentrato nello spandere la favoletta di un Morabito redento e impegnato nel campo dell'import-export internazionale e nella "coltivazione intensiva di soia" (cit.). Ora diventa fondamentale il raccordo tra Italia e Uruguay per seguire passo passo il percorso dell'estradizione poiché "U Tamunga" ha già dimostrato di sapere diventare un fantasma alla prima occasione utile. E questa volta, per la credibilità dello Stato, l'Italia non può davvero permetterselo.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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