È stata presentata alla Camera dei deputati una proposta che intende imporre l’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle scuole e negli uffici delle pubbliche amministrazioni. L’iniziativa è di alcuni deputati leghisti tra cui Simonetti, Fedriga, Allasia, Busin e Saltamartini, e il testo è per ora in attesa di calendarizzazione. Il testo è piuttosto semplice e parte dalla considerazione del crocifisso come “emblema di valore universale della civiltà e della cultura cristiana”, nonché “elemento essenziale e costitutivo e perciò irrinunciabile del patrimonio storico e civico-culturale dell’Italia, indipendentemente da una specifica confessione religiosa”.
Facendo riferimento agli articoli 7, 8 e 19 della Costituzione si intende prevedere l’esposizione obbligatoria del crocifisso “nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado e delle università e accademie del sistema pubblico integrato d’istruzione, negli uffici delle pubbliche amministrazioni nelle aule nelle quali sono convocati i consigli regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e delle comunità montane, nei seggi elettorali, negli stabilimenti di detenzione e pena, negli uffici giudiziari e nei reparti delle aziende sanitarie e ospedaliere, nelle stazioni e nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti, nelle sedi diplomatiche”.
Il crocifisso dovrà essere esposto “in modo elevato e visibile” e chiunque lo rimuova potrà essere punito con una sanzione che va dai 500 ai 1000 euro.
La ratio della proposta leghista è esplicitata dagli stessi firmatari: il crocifisso è un simbolo indennitario e cancellarlo significa “svuotare di significato i princìpi su cui si fonda la nostra società”. I proponenti citano anche una (elaborata, per la verità) sentenza del Consiglio di Stato in cui si afferma che “l’esposizione obbligatoria del Crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche non è più considerata semplicemente inidonea a ledere il principio supremo della laicità dello Stato, ma costituisce una raffigurazione evocativa dei valori che quello stesso principio racchiude”.
È chiaro, dunque, che il riferimento è alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. Ma quali sono le norme che regolano l’esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici e cosa dicono le sentenze più recenti sulla questione?
Ecco, questa cosa è, come si suol dire tecnicamente, un casino. A partire dalla scuola. Perché normalmente si fa riferimento a due regi decreti di epoca fascista che, non solo non sono mai stati abrogati, ma sono stati ribaditi implicitamente da diversi interventi normativi successivi. Nel dettaglio, come vi abbiamo spiegato in questa scheda, i decreti “vigenti” sono:
- il 965 del 1924 che stabilisce all’art. 118 che “ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l'immagine del crocifisso e il ritratto del Re”
- il 1297 del 1928 che per le sole scuole elementari determina che il crocifisso e il ritratto del Re siano tra gli arredi essenziali (peraltro, la legge 641 del 1967 ha esteso anche alle scuole medie tali disposizioni)
Nel 1994, poi la questione si è complicata ulteriormente, per effetto di un decreto legislativo piuttosto ambiguo suoi “arredi scolastici”. Tanto che, come dimostrato da una ricognizione normativa fatta dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, allo stato stato attuale le disposizioni che rendono possibile l’affissione di un crocefisso nelle aule sono vigenti; tale oggetto non è qualificabile come “mero arredo scolastico” per le sue “molteplici implicazioni simboliche” e la sua presenza “non è da ritenersi lesiva” del principio di libertà religiosa.
Una tesi fortemente contestata da associazioni e movimenti civici (qui la posizione della Uaar), che trova conferma in una serie di sentenze. Per la Corte europea dei diritti dell’uomo (2011), “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose”. Per il Consiglio di Stato (2002) il crocifisso ha “valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa”, e “la sua presenza non può costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa”.
La stessa Uaar spiega il perché spesso sono esposti i crocifissi cattolici negli edifici pubblici italiani:
Con alcune disposizioni emanate in piena era fascista tra il 1924 e il 1928 (regi decreti e, nel caso dei tribunali, addirittura una circolare ministeriale), la presenza del crocifisso ha trovato una base giuridica che le successive novità legislative non hanno scalfito, nonostante la Costituzione del 1948 statuisca l’eguaglianza delle religioni di fronte alla legge e nonostante diverse sentenze della Corte Costituzionale riaffermanti la laicità dello Stato e la supremazia dei principi costituzionali su altre norme e leggi.
Diverse richieste di rimozione formulate negli ultimi anni sono state invariabilmente cassate proprio in base alla mancata esplicita abrogazione delle norme del ventennio.
Se non c’è una base legislativa per “rimuoverli”, allo stesso tempo non c’è una normativa che ne imponga la presenza. Per fortuna. E salvo approvazione della proposta leghista.