Obama è a Cuba. E non è solo: con Obama sbarcano pezzi di politica, imprenditori, americani con sangue cubano e un pezzo di mondo che ha partecipato al disgelo. Sono molti i sensi di una visita che vorrebbe essere la prima martellata ad un muro che ormai comincia ad avere troppi spifferi per non sapere di essere destinato a cadere. Certo sarà il Congresso a decidere di togliere lo storico embargo tra Cuba e Usa, ma il dado è tratto.
Questo viaggio è già storia, ancora prima di ascoltare le parole che si diranno, di leggere i comunicati stampa e di collezionare le immagini: Obama in questi giorni chiude la Storia che iniziò con Fidel Castro e Ernesto Che Guevara in trionfo a L'Avana dopo avere combattuto nella Sierra Maestra. Era il primo gennaio del 1959 dopo sarebbe arrivato l'assalto della Baia dei Porci e l'embargo, Cuba smetteva di essere il "giardino" della Casa Bianca e Fidel Castro nel 1973 disse «Gli Stati Uniti dialogheranno con noi quando avranno un presidente nero e quando ci sarà un Papa latinoamericano».
Il presidente nero (e il papa argentino) accompagnano un riavvicinamento che sradica le incrostazioni della storia e segnano l'ennesimo "colpo" della presidenza Obama nella politica estera: dopo avere riaperto il dialogo con l'Iran lo scongelamento don Cuba è visto di buon occhio dalla maggioranza degli americani e, nonostante la freddezza dei repubblicani, il passaggio sembra inevitabile.
Però questo viaggio è anche l'inizio di un percorso che rischia di diventare problematico, appena verrano smessi i panni della cerimonia: sono in molti a ritenere Cuba ancora troppo "arretrata" nella gestione interna dei diritti umani e il Presidente Usa ha promesso di non tacere su questo. D'altra parte Cuba rivendica un'emancipazione che sarebbe "avvenuta decenni fa", come dichiara il ministro degli Esteri Rodriguez (la più alta carica istituzionale che incontrerà Obama, per evitare un'eccessiva riabilitazione del leader Castro) e sono in molti a temere che l'atterraggio di Obama non sia nient'altro che l'apripista ad una colonizzazione "economica" più che politica.
L'apertura di un rapporto serrato per così tanti anni lascia spazio al progresso democratico, sì certo, ma anche ai nipoti degli antichi rancori. La costruzione di un rapporto che non abbia diseguaglianze tra i due Paesi è solo all'inizio e i venti che spirano sulle elezioni presidenziali americane non inducono all'ottimismo. Lui invece, il presidente "nero", è convinto che non si possa più tornare indietro. Non resta che osservare.