Morire di pomodoro
Si chiamava Abdullah Mohammed, uno di quei nomi così pieni di consonanti sputate che mentre lo leggi sai già che larghissimi burroni si aprono in testa: da una parte i razzisti per indole, per paura, per disperazione e per disinformazione e dall'altra i "buoni", anzi "buonisti" come vengono additati. Ma potrebbe chiamarsi anche Mario Rossi perché nell'inferno del lavoro in cui la fatica viene pagata qualche centesimo al chilo ci sono dentro quasi tutti i dialetti italiani e quasi tutte le lingue del mondo in giro per il mondo.
Mohammed non è un clandestino: in tasca aveva un regolare permesso di soggiorno come rifugiato politico, scampato da quel Sudan in cui la guerra ha trasformato le strade in un carpaccio di uomini, donne e bambini. Forse proprio per questo Mohammed ha deciso di accettare un lavoro nei campi di Nardò che nessun italiano accetta di fare: 3 euro e 50 di guadagno per ogni cassone, ogni cassone è di tre quintali che sono tanto di quel pomodoro da perderci il conto; l'orario di lavoro va dalle 5 di mattino alle 18, 13 ore senza pause e siccome per Mohammed era il primo giorno ci teneva a fare bella figura e tenere un ritmo alto, per dimostrare di avere voglia di lavorare, per la figlia piccola e la moglie, perché magari chissà avrebbe sperato anche lui di essere assunto come gli altri sudanesi che sotto questo sole di 42 gradi diventano bestie affumicate annegate nel proprio sudore. Attenti a non sgualcire il pomodoro.
Nel campo di Mohammed in località Pittuini non c'è la zona d'ombra, in realtà non c'è nemmeno la visita medica e le ferie si sognano per addormentarsi: tutti i quintali di convegni sul lavoro nero nei campi pugliesi, tutte le belle parole spese sui giornali, tutte le inchieste sugli schiavi dei pomodori, qui nel campo di Mohammed, tutte le belle parole sono un chiacchiericcio che se lo porta via il vento. Conta solo raccogliere. Raccogliere tanto. Raccogliere in fretta. Così "Pippi" a fine giornata è contento.
Pippi è il soprannome di Giuseppe Mariano, il capo, il proprietario dei campi che sono pomodori che sono soldi e per cui raccoglierli è solo un fastidio inevitabile. E infatti Pippi, originario di Scorrano e residente a Porto Cesareo, e sua moglie sono già finiti nei guai qualche anno fa nell'inchiesta "Sabr" (dal nome di uno dei caporali) per riduzione in schiavitù, associazione per delinquere, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, violenza privata, falsità materiale, favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza di stranieri in condizioni di clandestinità. Ma si vede che non hanno imparato la lezione, Pippi e sua moglie e non hanno cambiato metodo. Solo il caporale è cambiato: questa volta è un sudanese con in tasca i documenti di Mohammed che non vede l'ora di essere assunto e portarsi vicino la famiglia lasciata a Catania.
Mohammed muore stroncato dal sole e dalla voglia non tenuta a freno. Si accascia nel campo di pomodori come se il caldo gli avesse seccato l'anima e di sicuro sgualcisce anche una cassetta. Muore e rimane morto per due ore, senza nessuno che lo raccoglie e pensa che destino è rimanere steso in un campo di raccoglitori. Solo dopo due ore i suoi compagni che si riconoscono per l'odore delle ombre trovano il coraggio di chiamare i soccorsi che non soccorrono perché Mohammed Abdullah è morto.
La notizia viene lanciata. Scattano le indagini e scatta l'indignazione e il razzismo prêt-à-porter, Un altro morto. Un altro ancora. Un altro schiavista che ripete il reato. Immagino ci sia stato un vociare per un paio d'ore prima di andare a dormire perché il sole domani si alza presto.
Mi chiedo, me lo chiedo da due giorni come racconteranno alla figlia di Mohammed che la guerra qui in Italia ha la forma di "un lavoro finalmente" e finisce senza sangue ma con il succo di pomodoro come nei film. Chissà se riusciamo a tenerci in tasca il morto di pomodoro per un soffio più lungo della solita estate del solito morto.
Mi spiace Mohammed, qui in Italia anche i lavoratori (mica solo stranieri) valgono tot al chilo. Peggio dei pomodori.