“Ho lasciato la massoneria perché ha troppe oscurità, anche sulla mafia”: parla l’ex vicecapo del Goi
Claudio Bonvecchi è entrato nel Grande Oriente d'Italia nel 1991. Nel corso del tempo è diventato Maestro Venerabile, rappresentante presso gli Stati esteri, poi Grande Oratore e, infine, Gran Maestro Aggiunto. In sostanza è stato il vicecapo della massoneria italiana, fino al novembre del 2022, quando ha deciso di lasciare completamente l'organizzazione e, il giorno dopo, è stato espulso. In un'intervista a Fanpage.it spiega perché ha deciso di lasciare la loggia italiana della massoneria: "Già da almeno un anno, un anno e mezzo prima, mi ero accorto che c'erano delle cose che non funzionavano".
"Mi ero accorto anche – spiega – che il GOI non faceva quello che doveva fare, perché lei avrà capito che una struttura di questo genere non può solo chiudersi nelle sue logge, deve anche intervenire nella vita sociale e dire quello che cosa pensa, se vuole il perfezionamento degli uomini".
I silenzi della massoneria sulla mafia
Secondo quanto racconta a Fanpage.it, uno degli aspetti che attualmente ha meno convinto Claudio Bonvecchi della massoneria italiana è il suo modo di approcciare al fenomeno mafioso: "Se io avessi le prove che c'è un filo diretto, andrei in Procura. Non avendole non posso dire niente. Però cito le tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo. Ci si limita a quei provvedimenti di routine, mentre io credo che, visto che più ci sono dati più di un caso in cui sono emersi delle connivenze, magari locali, magari note note da tempo, una precisazione maggiore ci vuole".
Secondo l'ex Gran Maestro aggiunto, invece, "bisognerebbe cercare di parlare con lo Stato per trovare un accordo in maniera tale che questa associazione, che nel passato (vedi la P2) ma anche adesso, ha dato dei problemi abbia protocolli chiari a cui attenersi. Sennò c'è il rischio è di trovare sempre un mondo separato con conseguenze di ogni tipo".
Ma poi ci vuole "una chiara definizione di lotta alla mafia all'infiltrazione mafiosa, che ci può essere. I nomi non devono essere riservati. Come cittadino, io penso che i nomi di tutti gli iscritti dovrebbero essere consegnati al procuratore generale della Cassazione".
Infine "ci vuole chiarezza sul fatto che quelle che sono le regole comportamentali all'interno hanno un valore interno al GOI, ma quelle che ostano con le leggi dello Stato evidentemente non possono essere seguite".
Il mancato riconoscimento dello Stato
Bonvecchi poi si concentra sul fatto che il Grande Oriente d'Italia non abbia mai chiesto il riconoscimento allo Stato italiano, una formula prevista per le associazioni ma che secondo lui – in virtù del numero di associati (circa 23mila in tutto il Paese) e degli scandali che in passato l'hanno colpita – non è coerente con la massoneria.
"Io – racconta – più di una volta ho fatto presente alla giunta di provare questa strada. Addirittura avevo proposto di chiedere una specie di concordato con lo Stato. In questo modo quando uno entra sa che entra in un luogo che è soggetto, non solo a parole, alle leggi dello Stato".
"Altrimenti – spiega Bonvecchi – chiunque può formare una loggia massonica, poi cosa decide sono fatti suoi. Se decide di fare traffico di armi, nessuno glielo vieta, se non le leggi dello Stato. Però non è stato mai nemmeno tentato questo approccio. Perché? Perché in fondo, forse fa più comodo a tanti che le cose restano così in questa nebulosa rotante in cui poi tutto è possibile".
A maggior ragione se poi "è stata fatta una circolare, firmata dal Gran Segretario e avvalorata però dalla Giunta, in cui si ribadisce che le leggi interne della massoneria hanno la prevalenza sulle leggi dello Stato. Nemmeno la P2 aveva osato fare tanto. Io mi meraviglio che la magistratura, che in Italia è così attenta anche al minimo frusciare di foglia, non si sia preoccupata di un attentato che non è solo alla normativa ma anche alla Costituzione della Repubblica", conclude l'ex Gran Maestro aggiunto che, per questo, ora auspica un cambiamento all'interno del Grande Oriente d'Italia.