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“Mi hanno impedito di arrestare il boss Messina Denaro”

Il maresciallo dell’Arma Saverio Masi ha presentato una denuncia alla procura di Palermo contro i suoi superiori: lo avrebbero costretto a non catturare il superboss latitante. Il militare sarebbe riuscito ad individuarlo più volte, fino ad incrociarlo per strada. Ma le sue relazioni sarebbero sempre state fatte cadere nel vuoto.
A cura di Biagio Chiariello
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Oggi guida la scorta del pm Nino Di Matteo, magistrato da sempre impegnato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra ed in particolare nelle inchieste sulla trattativa Stato-Mafia. Dal 2001 al 2007, invece, è stato lui stesso "cacciatori di mafiosi". E ieri, a distanza di anni, il maresciallo capo dei Carabinieri, Saverio Masi, ha presentato una denuncia nei confronti di suoi diversi superiori che lo avrebbero ostacolato nelle indagini su Bernardo Provenzano prima e su Matteo Messina Denaro poi, arrivando fino a impedire l'arresto del superlatitante. Lo scrive il Corriere della Sera, citando una  inchiesta di Report. Masi avrebbe già  presentato una denuncia al tribunale di Palermo affermando che non ha avuto corso un'indagine dettagliata dopo che lui avrebbe visto Messina Denaro.

Quando Masi nel 2001 si presenta al Nucleo provinciale di Palermo chiede di occuparsi della cattura di Provenzano – si legge sul Corriere – La caccia ai latitanti è una missione che sente cucita sulla pelle e invece lo inviano a Caltavuturo, sulle Madonie. Non si rassegna e, di propria iniziativa, si mette sulle tracce di Provenzano. Si sorprende quando intuisce che con pochi mezzi e consultando vecchi verbali, all'indomani dell'arresto del boss Benedetto Spera, riesce a individuare un contatore Enel riferibile a chi gestiva la latitanza di Provenzano ben cinque anni prima della sua cattura. Difficile immaginare la sua reazione quando i superiori gli ordinano di sospendere le indagini. Gli appare chiaro che non c'è tanta voglia di catturare il boss di Corleone"

L'intenzione di non catturare Provenzano, infatti, sarebbe stata espressa direttamente a Masi da un suo superiore, in un duro rimprovero:

 "Noi non abbiamo nessuna intenzione di prendere Provenzano – avrebbe detto -! Non hai capito niente allora? Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella? Te lo diamo in tempi rapidi!".

Oltre che con Provenzano, Saverio Masi ha avuto a che fare anche con la latitanza di Messina Denaro: racconta di come è riuscita a mettersi sulle tracce di Francesco Mesi, sospettato di essere  il "corriere" della primula rossa trapanese, e di aver scoperto un casolare nella campagna tra Bagheria e Misilmeri. Il maresciallo è intenzionato a portare avanti le indagini attraverso telecamere e microspie, ma lo costringono "a prendere le ferie" e passare le indagini al superiore, che al ritorno gli dice di "non aver trovato nulla". Allora si rimette sulle tracce di Messina Denaro, e una notte assiste a una riunione alla quale, con tutta probabilità, sta partecipando anche il boss:

 Si avvicina, una porta si spalanca all'improvviso. Masi intravede degli uomini intorno a un tavolo, uno di loro probabilmente è Messina Denaro. Il maresciallo si getta sotto la siepe per non essere scoperto. Torna in caserma, litiga furiosamente con il capitano e scrive l'ennesima relazione che, come le altre, cade nel vuoto".

Ma gli episodi strani continuano, come spiega il Corsera. Nel 2004, evita lo scontro con un'utilitaria che gli taglia la strada nei pressi di Bagheria. Al volante è certo di riconoscere Matteo Messina Denaro. Lo segue mentre si infila in una villa, dove ad attenderlo c'è una donna. Il maresciallo quindi "annota tutto e chiede l'autorizzazione a proseguire le indagini. La reazione dei suoi superiori non è quella che si aspetta: gli chiedono di cancellare dalla relazione l'identità del proprietario della villa e quella della donna che aspettava il boss. Messina Denaro poteva continuare a essere tranquillamente un fantasma".

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