È meglio averlo grosso (il comizio) o saperlo usare? L'interrogativo ieri doveva essere risolto in piazza San Vincenzo, meglio conosciuta come piazza Sanità a Napoli, diventata suo malgrado e dopo decenni di sostanziale disinteresse della politica, arena di scontro fra leader. Il primo dato è questo: ieri a Napoli ad ascoltare Matteo Renzi c'era molta più gente di quanta ve ne fosse durante il comizio di Beppe Grillo. Visti i presupposti, però, è come vantarsi di aver avuto tanti invitati al tuo matrimonio: la festa l'hai comunque pagata tu e non necessariamente erano tutti amici. E alla fine ti tocca sperare in un regalo congruo. E in un matrimonio duraturo.
Ieri il Partito Democratico per Renzi ha mobilitato gente soprattutto da Napoli e provincia, Caserta e provincia, Salerno e provincia. «Cento pullman per Matteo!», nei giorni scorsi i responsabili dell'organizzazione piddina avevano affermato ai quattro venti. Cento non erano, ma una trentina sì. E così sono arrivati da Marcianise così come da Teano, da Ercolano così come da Pontecagnano Faiano. Turisti della politica in un quartiere simbolo. La piazza si è riempita, ma non è stata l'”uovo” tanto sperato. Il Partito Democratico di Napoli, insieme alle federazioni provinciali di Caserta e Salerno, insieme alla direzione della Campania e insieme a pezzi di sindacato (Cgil soprattutto) e associazionismo (Arci) non è riuscito a fare sold out. Non ci era riuscito nemmeno Beppe Grillo, meglio ribadirlo. Ma chi ha cercato la sfida in quello stesso luogo? Chi ha detto di avercelo più grosso (il comizio)? La verità che emerge è quella di un Pd lacerato soprattutto a Napoli, con profonde spaccature. Veleni perfino per chi doveva salire sul palco. Solo Renzi? Renzi più ragazzi, segretario regionale e capolista Pina Picierno? Alla fine Matteo sorprenderà tutti calando l'asso Maria Elena Boschi che passerà la serata napoletana a fare selfie con candidati e attivisti.
I quartieri della “Napoli vecchia” sono quelli in cui le bandiere cambiano veloci dai tempi dell'occupazione americana nel Dopoguerra. In fondo sono bandiere: e se c'è qualcuno che ce le mette…cosa importa? Si mettono e si levano, le bandiere. E così è accaduto ieri tra via Vergini e la Sanità, periferia nel centro antico, degradata e dimenticata, terra di faida e al tempo stesso di riscatto e speranza. Si potrebbe parlare tanto di questa terra scavata nel tufo e intrisa di storia. Ma a chi importa la storia dei palazzi signorili, delle catacombe delle anime pezzentelle? A chi importa del rione dei sacerdoti, dalla tormentata storia di don Giuseppe Rassello a quella laboriosa di don Antonio Loffredo? Ieri era la sera dei numeri, dei riflettori, delle bandiere e delle telecamere E così è stata costruito questo comizio all'ombra del Munacone, il santo patrono di un rione che ha il suo e solo il suo, di protettore. A pochi passi dalla Santa Maria Antaesecula di Totò e da quel Palazzo dello Spaguolo tanto caro al Salvatore Cannavacciuolo di “Mi manda Picone” è andato in scena un altro show. Ci sono pure i bambini ad applaudire il caro leader. Hanno cappellini rossi. C'è scritto «Auchan Galleria Mugnano» e c'è una signora che li guida. Cantano Rocco Hunt: «È nu juorno buono».
Prima del comizio di Matteo Renzi al rione Sanità
Il pre-comizio è stato curato da Francesco Nicodemo, il responsabile comunicazione nazionale Pd nonché gran cerimoniere dell'evento partenopeo (da giorni si era ritrasferito in città per mediare, parlare coi consiglieri ed ex comunali e regionali, sindacati eccetera per assicurare all'evento una partecipazione dignitosa). Lui, insieme a Tommaso Ederoclite, responsabile comunicazione del Pd Napoli e Luciano Crolla, responsabile organizzazione (che ieri dal palco chiedeva ai militanti di sventolare bandiere e di intonare il coro per Matteo) aveva l'onere gravoso di riempire la piazza in un quartiere ostile e con un partito inesistente ma soprattutto di esaltarla per l'arrivo del presidente del Consiglio-segretario Pd. Ad un certo punto gli altoparlanti hanno iniziato a “sparare” musica. Dai Nirvana agli Almamegretta fino a Edoardo Bennato e Rocco Hunt. Sorpresa: si sente pure “Curre curre guagliò” dei 99 Posse. Che c'entra Zulù con Renzi? Vallo a sapere: si è creata una contrapposizione morettiana fra il testo sempre attuale seppur ventennale della storica band della sinistra extraparlamentare e antagonista e il contesto democrat che di quella sinistra non sa più nulla e nulla vuol sapere. In giro ci sono molte facce note. Ci sono i signori del voto come l'ex subcommissario all'Emergenza rifiuti Massimo Paolucci, il “cinese” che ai tempi di Bassolino aveva l'incarico di contare le presenze in piazza e vedere se in effetti i circoli di partito si erano mobilitati tutti a dovere. Assessori, consiglieri comunali, c'è perfino il capostaff del sindaco De Magistris, Alessio Postiglione, che domanda, chiede, interroga e soprattutto cerca di capire cosa si dice del primo cittadino.
In un rione completamente militarizzato già mezzo chilometro prima dell'accesso al rione Sanità sono ovvie e inevitabili le proteste. È il quartiere del disagio, non è un elemento inatteso. Andiamo in ordine: si sono presentati per primi a tentare di manifestare la loro rabbia gli energici manifestanti dei Consorzi di bacino dei rifiuti, guidati dall'ex leader dei disoccupati nonché pluripregiudicato Salvatore Lezzi. In cambio della tranquillità durante il comizio hanno incassato un incontro con la segreteria del ministro Graziano Delrio che si è tenuto oggi. Stamattina infatti Lezzi & co – riferisce un testimone oculare a Fanpage.it – erano a bordo di un treno Alta velocità diretti nella Capitale. I disoccupati organizzati del progetto Bros, invece, non hanno fatto altro che appendere un maxi-striscione sulle case di fronte al palchetto di Renzi nella speranza che il premier li vedesse. Così hanno fatto anche i componenti dell'associazione disabili “Tutti a scuola”, composti e dignitosi, seppur amareggiati dalla poca attenzione istituzionale alle loro istanze. A scatenare l'ammuina – alla fine nemmeno esagerata e scomposta – sono stati gli attivisti dei movimenti per la Casa di Napoli che si riconoscono nel centro sociale Zerottantuno dei Banchi Nuovi. Qualcuno di loro aveva anche le bandiere del Partito Democratico, allegramente mascherato tra la folla dei militanti. È stata una contestazione non violenta anche se piuttosto decisa e costante. Infatti quando è arrivato il premier si sono fatti sentire (ma ci arriviamo dopo).
Il comizio di Matteo Renzi al Rione Sanità di Napoli
Quando il presidente del Consiglio ex sindaco di Firenze arriva in piazza la gente si fa sentire con calore. Prima di lui parlano un giovane democratico, Michele Tufano, di Pomigliano, che cita pure lui Rocco Hunt (ma il rapper, essendo di Salerno, a questo punto lo inscriviamo nel pacchetto di Vicienzo De Luca?). Poi la segretaria regionale Assunta Tartaglione (frasi di circostanza) e infine Renzi. Parla per frasi secche, il premier, voce squillante, molto alta. Perché capisce di dover forzare il tono per coprire le contestazioni. Renzi è abile e sapiente modo nell'utilizzo dei tempi che non sono da comizio di piazza, ma da comizio televisivo.
«Se Pompei continua a fare notizia perché cadono i muri, se a Bagnoli si continua a far nulla vuol dire che abbiamo fallito» dice. Il primo è un attacco anche al governo precedente che di Pompei si è occupato, il secondo è un affondo anche verso l'attuale sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Poi esorta: «Allora, da qui a domenica fate un esercizio, andate casa per casa a recuperare consenso uno per uno. O il Piddì salva l'Italia o la lasciamo a chi vuole distruggerla». Giù applausi e dal fondo la contestazione si arricchisce di rumoristica assortita: fischietti e pentole. Renzi parla della sua recente visita in una scuola di Secondigliano: «Una bambina mi ha detto che voleva fare teatro dopo aver visto in tv “Gomorra”. Sarà un grande giorno quando a Napoli partiremo da Eduardo, dai valori belli della cultura».
Attenzione: questo è un passaggio fondamentale. Ontologico, quasi.
Matteo Renzi mette in contrapposizione la discussa fiction tv di Sky “Gomorra”, quella in cui si parla di violenza e camorra sulla scia del noto bestseller di Roberto Saviano e le scene del teatro eduardiano. Una sola cosa può venire in mente a chi ha amato quel testo – pardon – quella letteratura: il don Antonio Barracano “sindaco” di quel Rione Sanità che il premier e il suo partito non conoscono (ma che hanno occupato, turisti per una notte a caccia di applausi e consenso). Quel “sindaco” che descriveva la ferocia umana al di sopra delle norme civili («la legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro»). Ignora, Matteo Renzi, che citando Eduardo proprio lì, proprio in quella piazza, si è infilato in una dicotomia mille volte più grande di lui, dei suoi 80 euro di Irpef, quella che divide Napoli fra i don Antonio e i dottor Fabio Della Ragione. Due forze uguali e contrapposte che dominano la città. E il peso di quella camorra che il premier non nomina mai. È tutta qui, la città, Renzi. Tutta intorno a te. «‘A sape tutto ‘o munno / ma nun sanno ‘a verità» come cantava Pino Daniele. La Gomorra oggi dipinta nelle fiction a uso e consumo del mercato televisivo (lo stesso che anche Renzi cerca ogni giorno di ammaliare e convincere) è nient'altro che il prodotto di anni di “rione Sanità”. Che poi oggi è Sanità ma potrebbe chiamarsi Forcella, Cavone di piazza Dante, Bronx di San Giovanni, Piscinola, Pallonetto di Santa Lucia, Quartieri Spagnoli, San Giuvanniello, e chi più ne ha, ne metta. Ieri il Pd, che avendo per decenni governato questa città aveva il dovere di mostrarla questa dicotomia, di farsi portavoce di questo dolore, non l'ha fatto. Non ha ricordato, non ha voluto far vedere. E il resto è inni nazionali, applausi e cronaca da lasciare ai notisti e agli analisti politici. In piazza Cavour, intanto, poco dopo le 22.30, aspettavano in fila i torpedoni per riportare a casa gli spettatori di questo show all'aperto.