Maternità surrogata, una legge per combattere l’illegalità e garantire i diritti
Tra discussione parlamentare del ddl Cirinnà sulle unioni civili, stepchild adoption e – in ultimo – la paternità di Nichi Vendola, di maternità surrogata si parla da mesi. Un dibattito, però, monco e inquinato da spauracchi agitati all'occasione e poca informazione. Sulla pratica c'è di fatto un vuoto legislativo. Ad occuparsene nel nostro paese è solo la legge 40 del 2004, che ne prevede il divieto. Molti paesi, però, regolano in vari modi questa tecnica. Il risultato è che le coppie o gli individui che vogliono avvalersene lo fanno comunque all'estero, tra ingenti spese e legislazioni non sempre a tutela delle donne. L'associazione Luca Coscioni ha annunciato la presentazione di una proposta di legge sulla gestazione per altri "che tuteli le donne anche da chi si fa scudo di loro per non riconoscere diritti". L'impianto è semplice: l'accesso alla pratica dovrebbe essere consentito solo a donne che siano economicamente autosufficienti e che siano già mamme, mantenendo il divieto della commercializzazione – già previsto in Italia. I gameti, inoltre, non apparterranno alla donatrice, con cui il bambino non avrà alcun rapporto giuridico, diventando immediatamente figlio legittimo della coppia che si impegna alla genitorialità. Il tutto sarà regolato da un accordo tra le parti, irrevocabile dopo il trasferimento dell'embrione nell'utero. Abbiamo intervistato l'avvocato Filomena Gallo, segretario nazionale dell'associazione Coscioni.
In questi ultimi tempi si parla parecchio e a tutti i livelli di maternità surrogata, di sfruttamento delle donne e di genitorialità delle coppie omosessuali. Innanzitutto un chiarimento: chi è che ricorre alla gestazione per altri?
Va fatta una precisazione di fondo: alla gestazione per altri ricorrono coppie di sesso diverso e coppie dello stesso sesso. Ci sono diverse persone che hanno problemi di salute e non possono portare avanti una gravidanza. C'è chi nasce con malformazioni, chi si è sottoposto a cure chemioterapiche e ha salvato i propri gameti e non ha più l'utero. Insomma, ci sono tante situazioni di vita che possono portare a non avere più la possibilità di intraprendere una gravidanza per condizioni di salute. La maggior parte delle coppie italiane che si sono rivolte all'estero in questi anni sono eterosessuali e l'hanno fatto perché non potevano portare avanti una gestazione. E poi ci sono condizioni "di stato", cioè le coppie composte da individui di sesso maschile. La cosa allarmante è che questa tematica è uscita fuori adesso, in contrapposizione alla discussione sulle unioni civili. Questo è un contesto particolare perché denota una cultura che vuole spostare l'attenzione su altre tematiche e creare opinione contraria. Invece, al centro della discussione dovrebbe esserci l'idea di provare ad avere una famiglia con dei bambini, che poi è il sentimento che appartiene alle coppie che si trovano a dover intraprendere questi percorsi, che non sono mai semplici.
Cosa manca, quindi, nel dibattito di questi giorni?
É un dibattito dove ci sono persone che si dichiarano contrarie e non prendono in considerazione le motivazioni che portano a rivolgersi a paesi dove la pratica della gestazione per altri è consentita, prevista e normata. Esce fuori un certo bigottismo, che non dovrebbe esserci nel terzo millennio. Tra l'altro, la cultura dei cittadini è ben lontana dal sentire politico di queste posizioni espresse negli ultimi giorni: in Italia l'utero in prestito è stato anche autorizzato nel 2000 dal tribunale di Roma, questo nessuno lo ricorda. Il primo caso fu italiano, nel 1993, poi subentrò il divieto dell'ordine dei medici a ricorrere a queste tecniche e non fu più ripetuto. Quando il tribunale di Roma autorizzò l'utero in prestito era su base solidale. Veniamo da epoche in cui c'era anche una certa gestione del corpo delle donne, sembra quasi che torniamo indietro nel tempo. Perché non può essere legale anche in Italia che una donna scelga di portare avanti una gravidanza per un'altra persona che non può farlo, ricevendo un rimborso delle spese necessarie per una gravidanza?
E del pericolo "sfruttamento" cosa pensa?
Utilizzare come spauracchio la possibilità dello sfruttamento e non pensare che ci possano essere donne che, in modo cosciente e responsabile, se la sentano di intraprendere un percorso di nove mesi per una gravidanza per aiutare chi non può averla è un voler mettere da parte il sentire femminile. Siamo tutti contrari allo sfruttamento di tutti gli esseri umani e dobbiamo impegnarci con una moratoria universale a combatterne ogni forma. Però nel caso specifico della Gpa va prevista una legge che possa normare questa pratica, che altro non è che una tecnica di fecondazione assistita. Solo così si possono mettere all'angolo tutte le situazioni di illegalità. Questo appartiene a un paese civile e democratico, dove i dibattiti su queste tematiche dovrebbero essere bilanciati.
In Italia è la legge 40 del 2004 ad occuparsi di gestazione per altri – seppur di sfuggita. Voi, invece, avete annunciato di aver lavorato a una proposta di legge specifica sul tema. Di che si tratta?
Partiamo da un presupposto: in Italia la legge 40 dice che è vietata la "commercializzazione" – viene usata proprio questa parola – di embrioni, gameti e utero surrogato e vengono previste sanzioni amministrative e la reclusione fino a due anni. Il cittadino italiano che vuole accedere a queste tecniche senza fare "commercializzazione", vista l'incertezza della normativa italiana, si rivolge all'estero. Però qui c'è una prima discriminazione: chi può andare all'estero? Chi può spendere determinate cifre per accedere a queste tecniche, che, anche senza la commercializzazione del corpo della donna, presentano dei costi. Poi, quando si torna in Italia c'è il problema della trascrizione dell'atto di nascita, perché il ministro di Grazia e giustizia insieme a quello degli Interni e a quello degli Esteri hanno emanato un documento dove è previsto che l'ufficiale di stato civile debba rifiutarsi di trascrivere l'atto di nascita di un bambino nato con Gpa, benché sia un atto legale e legalizzato nel paese dove la tecnica è consentita. In quel caso l'ufficiale deve dare comunicazione alla procura della Repubblica e inizia un processo. In questi anni abbiamo visto la maggior parte delle volte l'archiviazione di questi procedimenti e la trascrizione dell'atto. Dove ci sono state situazioni che erano da chiarire, i procedimenti sono andati avanti. Ma perché queste coppie non possono accedere a questa pratica nel paese di cui sono cittadine, con una norma chiara che preveda la tecnica, la disciplini e garantisca sia la donna che farà la gestazione per altri, che la coppia che ha accesso alla Gpa e lo stesso nato? Come associazione Luca Coscioni presentiamo un disegno di legge, che speriamo possa essere depositato. Prevede una norma specifica, che va a disciplinare l'accesso alla gestazione per altri nel nostro paese: chi può realizzarlo, chi si può prestare a queste pratiche in modo chiaro semplice e facendo riferimento a norme del nostro regolamento.
Cosa pensa di proposte come quella di prevedere la maternità surrogata come "reato universale", avanzata dalla senatrice del Pd Anna Finocchiaro, o l'emendamento presentato al ddl Cirinnà che voleva pene fino a 12 anni per chi fa ricorso alla gpa all'estero?
Penso che hanno avuto grande fantasia. Per quanto riguarda la moratoria per il reato universale, chi l'ha proposta non sa cosa determina e che tipo di lavoro, di impegno e di azioni dirette necessita. Ma, tra l'altro, perché bisogna imporre ad altri le proprie convinzioni? Si indicherebbero come criminali internazionali paesi da anni impegnati a distinguere legalmente chi si presta a un atto solidale da chi compie un'azione di sfruttamento. Se hanno proposto di inasprire le pene, poi, c'è un motivo: per i reati al di sotto dei tre anni non ci può essere l'iniziativa da parte del ministro di Grazia e giustizia che persegue la persona che va a commettere all'estero qualcosa che in Italia è vietato. Quindi così si è cercato di bloccare qualsiasi possibilità di accesso anche in altri paesi che invece scelgono di normare la tecnica. Dobbiamo impedire a scienza e ricerca di andare avanti e fare ulteriori passi ovunque perché non tutti sono d'accordo?
Perché, al di là dei divieti, c'è resistenza anche solo a pensare a una legge che regoli questa pratica?
In Italia c'è un fenomeno che si ripete ogni qualvolta si parla di tematiche connesse alla sessualità e alle libertà. Ed è un fenomeno che ci riporta ogni volta indietro: la paura di ciò che può essere nuovo o non controllato direttamente dalla politica. Io non so dare una motivazione a tutto ciò, so che alla base c'è un forte bigottismo. Parliamo di libertà: ciò che per me non è lecito, non è detto che non debba esserlo per qualcun altro. Nel momento in cui si parla di tecniche che riguardano la vita e le famiglie, ci dovrebbe essere un dibattito un pochino più tranquillo. E, soprattutto, si dovrebbe consentire l'intervento anche delle persone direttamente interessate da questi temi, persone che in questo momento vengono viste solo come criminali che vogliono andare all'estero per sfruttare la disponibilità di donne in stato d'indigenza. Il dibattito fino a oggi si è basato su questo, come se la donna non avesse più la capacità di scegliere e di decidere per se stessa e le coppie fossero solo composte da terribili sfruttatori.