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“La strage dei congiuntivi”: arriva il primo giallo che parla degli errori di grammatica

Un giovane scrittore, Massimo Roscia, si è cimentato in un bizzarro pastiche: coniugare il Noir, il giallo e la satira del nostro linguaggio, mettendo insieme il gusto per il poliziesco con quello per il sarcasmo pungente, verso quello che è un ottimo spunto di riflessione: il congiuntivo come principale indiziato dello “sterminio” quotidiano che noi facciamo della grammatica.
A cura di Luca Marangolo
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strage dei congiuntivi
strage dei congiuntivi

Una fitta nebbia avvolge il campo da Tennis. Inconfondibile e grottesca si staglia come un enorme pallone la silhouette di Ugo Fantozzi: Maglietta della GIL, mutandoni ascellari aperti sul davanti pietosamente chiusi con una spilla da balia, grosso racchettone 1912, elegante visiera verde con la scritta Casinò municipale di Saint-Vincent. Filini: “Ragioniere che fa? Batti?” Fantozzi: “Ma che fa, mi dà del tu?” “No, dicevo, batti lei?” Fantozzi: “Ah, congiuntivo!”.

A queste parole si spalanca l’inquietante voragine abissale delle competenze verbali del parlante medio: sì perché i vari venghi, vadi, facci, parole che neanche si ha il tempo di digitare che word subito le corregge, sono solo l’estrema caricatura della inconscia perplessità di tutti noi di fronte alla più strana delle creature linguistiche: il congiuntivo.

Il congiuntivo, privilegio morfo-sintattico solo di alcune lingue, c’è da noi, in Francia e in Germania (lì hanno addirittura Konjunctiv ein und zwei), ma non in Inglese dove la stessa funzione linguistica viene sostituita da diversi morfemi; mette in imbarazzo il parlante, il quale, in quel microscopico istante in cui deve scegliere una desinenza dice volentieri “spero che dormi bene”, “mi auguro che sei felice” al famigerato costrutto dell’ipotetico se avrei la possibilità.

La nostra lingua ha spesso delle zone grigie, zone franche dell’uso in cui il parlante può rifugiarsi come in piccole oasi. Si sa che i giornali sono parte di questo processo: i media rendono accettabile che si dica “vorresti che io vado” invece di “io vada” e così la soglia tra norma e uso diventa sempre più labile, sempre più incerta per un parlante “medio” che ha troppa fretta nel parlare per chiedersi come selezionare la desinenza giusta.

Il linguista Edoardo Lombardi Valluri ha in un recente studio marcato la sostanziale differenza fra una vitalità relativa e una vitalità assoluta, del congiuntivo, evidenziando appunto questo: una cosa è la labilità nella scelta, temporanea, nell'uso, altro è il vacillare delle gerarchie semantiche che il congiuntivo porta con sé, la perdita del nucleo strutturale che questo ardito modo verbale rappresenta.

E i risultati di questo studio manifestano che il congiuntivo, incredibilmente, tiene. Basta tener conto delle situazioni, dei fattori socio-linguistici che ne accompagnano l’occorrenza. Ma il comico esitare del congiuntivo è anche, può essere, fonte di ispirazione letteraria: è successo a Massimo Roscia, che si è cimentato in un esercizio di stile giallistico dal titolo La strage dei congiuntivi che è, probabilmente, il primo giallo interamente dedicato alla morte del congiuntivo. Un noir denso di estro e vivacità stilistica, che mette alla berlina ’incertezza linguistica dell’italiano medio. Come non ricordare il brillante racconto di Italo Calvino che prendeva in giro bonariamente i Carabinieri che, invece di dire “ho trovato un fiasco di vino” scrivevano “mi sono imbattuto nel rinvenimento di un fiasco di vino”.

La strage dei congiuntivi di Massimo Roscia, edizione Exòrma
La strage dei congiuntivi di Massimo Roscia, edizione Exòrma

Ecco un altro romanzo: “La strage dei congiuntivi”, che coniuga ironia, narrativa e vena metalinguistica e in più riprende con brio gli stili del noir, del giallo, sovrapponendo costantemente una trama poliziesca a una riflessione sul ruolo del parlare. L’intrico romanzesco de “La strage dei congiuntivi” tiene avvinti e graffia, stilisticamente fa una satira costante e accorta del parlato mentre ci racconta di un fatto di sangue o come ha scritto il suo autore racconta un “errore linguistico lavato col sangue”.

La felice unione di satira di costume (costume linguistico, va da sè) e giallo lo rende un libro godibile che con  gusto sarcastico parla di qualcosa che ci riguarda tutti: lo strumento, il mezzo di interazione privilegiato che dovrebbe permetterci di interagire, di intrecciare relazioni e possibilità, sociali e culturali: la lngua.

E se un po’ tutti temiamo di essere come i ragionieri del mitico ufficio Sinistri, come Fantozzi, e abbiamo paura che qualcuno ci sorprenda a dire “Venghi” e “Vadi” è necessario ricordarci che la capacità di maneggiare con cura dello strumento-lingua è qualcosa che serve soprattutto a noi, serve a entrare in contatto, ad “abitare” come direbbe la linguista Claudia Caffi, adeguatamente, il contesto, a non essere scartati, a relazionarsi e difendersi. Insomma, la lingua è uno strumento di potere: ed è uno strumento di potere alla portata di tutti, purché ci si impegni a conoscerlo e a sfruttarlo, per non essere sfruttati, nel corrivo e comodo alibi dell’ignoranza.

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