"Vieni a prenderti un caffè". Non parlavano mai di soldi al telefono, con l'esperienza tipica dei criminali scafati e del resto Vincenzo Guida e Alberto Fiorentino sono criminali a Milano da circa quarant'anni e ormai sanno bene come non lasciare indizi in giro. Vincenzo Guida è il fratello del più famoso Nunzio che dagli anni ottanta fu il proconsole della camorra in Lombardia, alla guida di una famiglia che è riuscita negli anni a stringere accordi importanti con ‘ndrangheta e Cosa Nostra in una federazione criminale che funziona a pieno ritmo.
I due avevano organizzato una vera e propria banca in grado di prestare cifre considerevoli in brevissimo tempo (un imprenditore ha ricevuto 300.000 euro) applicando prestiti usurai e intimidendo poi le vittime con "sottili metodi di stampo camorrista". L'operazione (denominata "Risorgimento" perché proprio in piazza Risorgimento a Milano i due avevano adibito i tavolini esterni di un bar come proprio "ufficio") ha portato anche al fermo di altri due italiani, Giuseppe Arnhold e Filippo Magnone, con l'accusa di riciclaggio, mentre per Guida e Fiorentini rimane in piedi l'accusa di esercizio di credito abusivo aggravato dall'uso di metodi mafiosi. Le prime perquisizioni hanno trovato già tre milioni di euro in contante suddivisi in mazzette pronte per il prestito nell'abitazione di Guida. E la frase "vieni a prenderti un caffè" era la formula convenuta per fissare l'incontro.
Ma è la Boccassini a tratteggiare un pezzo di Milano collaborante piuttosto che vittima dichiarando senza mezzi termini come fossero spesso gli imprenditori a bussare alla porta dei criminali, sapendo esattamente di poter trovare una liquidità che difficilmente sarebbe stata reperibile nei canali legali. Per questo l'attività "parabancaria" in realtà presume anche l'esistenza di una classe imprenditoriale "paralegale" nella gestione dei propri interessi. "C'era gente che doveva restituire fino a 75 Mila euro al mese" ha spiegato il capo della Squadra Mobile di Milano, Alessandro Giuliano. Nessuno degli imprenditori ha denunciato. Nessuno. E anche questo è un dato da annotare per tutti quelli che ancora pensano che le "mafie" siano questioni non settentrionali.
Tra gli imprenditori, nelle carte della Procura di Milano, ci sono anche professionisti prestigiosi e riconosciuti della "Milano bene": c'è il noto costruttore con ufficio in Porta Romana, c'è il titolare di una concessionaria d'auto in Città Studi e alcuni commercianti all'ingrosso. E tra i clienti (per ora non indagati) spunta anche Giovanni Cottone, noto alle cronache rosa come ex marito di Valeria Marini, vecchio socio di Paolo Berlusconi nella discussa operazione dei decoder digitali (siamo nel 2007) oltre che imprenditore nel campo dell'elettronica e proprietario dello storico marchio Garelli rilanciato con la nuova Lambretta nel 2008. Nel corso dell'indagine la Polizia ha registrato un'intensa attività dal 10 giugno al 20 ottobre 2015 del collaboratore di Cottone presso l'abitazione di Guida in via Indipendenza 16: consegne di somme tra i 10 mila e i 30 mila euro che Cottone riceveva probabilmente per finanziare alcuni affari che aveva in corso in quel periodo, dalla scalata dell'emittente televisiva Telenova all'apertura di nuovi punti vendita Akai (una delle società Cottone, leader nell'elettronica) negli aeroporti di Malpensa, Linate e Orio al Serio. I soldi della camorra, quindi, nelle sfavillanti vetrine dei negozi lombardi. E Cottone, dicono le carte, era uno di quei clienti "buoni" per Guida e compagni, sempre pronto a rispondere alle chiamate del clan (il solito "vieni a prendere un caffè") e nell'unica volta (durante il periodo d'indagine) in cui Cottone rende solo 25 mila euro dei 75 mila promessi viene subito messo in riga, "Non sballare Giovanni!" lo redarguisce al telefono Guida. Il gip Giuseppe Gennari, nella convalida d'arresto di Guida e Fiorentino, sottolinea come la "saldatura" tra imprenditore e usurai fosse sottolineata dalla volontà di Cottone di assumere la compagna di Guida in uno dei suoi punti vendita per ingraziarselo e come avesse proposto un proprio parente per un assunzione a Napoli. "Ho molta carne al fuoco!" diceva Cottone tutto felice al telefono. E i soldi non mancavano.
L'indagine svela ancora una volta il "do ut des" che in Lombardia ha reso così forte le cosche: nessuno meglio di loro può disporre velocemente di grandi somme e gli imprenditori finiscono per essere ingolositi dall'operatività della banca criminale. Segnatevelo per la prossima volta che vedrete qualcuno urlare in televisione che i camorristi sono napoletani e non milanesi; chissà che magari non si riesca prima o poi a parlare dei clienti. Milanesissimi e vip.