Il testo della (nuova) mozione di sfiducia nei confronti del Governo Renzi
Nella giornata di mercoledì è in calendario al Senato della Repubblica la mozione di sfiducia al Governo che porta la firma dei senatori Centinaio, Romani e altri. Si tratta, nello specifico, di un atto di accusa nei confronti del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che con ogni probabilità sarà presente in Aula per la discussione e la votazione che si terrà nel pomeriggio, dopo la conclusione dell’esame del decreto Ilva.
La mozione, sostenuta da Forza Italia, Lega Nord e altri senatori eletti nelle fila del centrodestra, sarà probabilmente votata anche dal gruppo del Movimento 5 Stelle. Non è ancora chiaro cosa faranno i verdiniani, anche se molto probabilmente sosterranno ancora il Governo, dopo il voto favorevole sulla riforma della Costituzione, che ha portato la “soglia di sicurezza” della maggioranza a quota 181 voti.
Ecco il testo della mozione che sarà discussa mercoledì:
Il Senato,
premesso che:
il Governo in carica, guidato dal Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, si mostra, ora più che mai, inadeguato al suo ruolo di garante dell'interesse pubblico del Paese;
il conflitto di interessi insito all'interno dell'Esecutivo sembra essere diventato un solco insormontabile per la credibilità dell'Italia, in particolare a livello europeo ed internazionale; le diverse vicende che riguardano il sistema bancario e, più nello specifico, i fatti che hanno interessato la Banca dell'Etruria e del Lazio e la loro collocazione temporale fanno sorgere più di un dubbio su quanto il Governo in carica sia ancora in grado di assolvere al dovere primario di disinteresse personale nell'adempimento di pubbliche funzioni, di imparzialità e di garanzia dei servizi per un ordinato svolgersi delle attività economiche e della vita sociale in generale;
all'inizio del 2015, la Banca dell'Etruria e del Lazio è stata oggetto di un provvedimento molto incisivo sul sistema bancario e creditizio approvato dal Consiglio dei ministri. Si tratta del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, recante "Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti", convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, ossia un testo che ha imposto alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni; una riforma strutturale adottata attraverso lo strumento del decreto-legge, in un contesto assolutamente privo dei requisiti di necessità ed urgenza;
in questa occasione, l'atteggiamento dell'Esecutivo è risultato a dir poco ambiguo. Una riforma, quella delle banche popolari, che inizialmente doveva essere prevista all'interno del disegno di legge sulla concorrenza, ma che invece, improvvisamente, è sembrata particolarmente "urgente". Venerdì 16 gennaio 2015, alle ore 18, a chiusura dei mercati, un'agenzia di stampa annunciava l'imminente riforma delle banche popolari, inserita nel decreto-legge già messo a punto dal Governo in materia di "investment compact". Il 20 gennaio 2015, il Consiglio dei ministri dava infatti il via libera al decreto-legge, che, effettivamente, conteneva la norma sulla trasformazione delle banche popolari in società per azioni;
è di tutta evidenza come l'intervento di riforma approvato dal Consiglio dei ministri sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari di numerose banche popolari, i cui movimenti fanno presumere un sospetto caso di insider trading. Subito dopo il "varo" del decreto-legge, la borsa di piazza Affari ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, come ad esempio il Banco popolare, che ha registrato alla fine di quella settimana un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia, con un guadagno del 24 per cento o proprio la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, le cui azioni sono aumentate addirittura del 62,1 per cento in 4 giorni, contro un andamento del comparto bancario dell'8,68 per cento. Un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in borsa si è verificata, in particolare, in una delle piazze finanziarie più importanti in Europa e nel mondo: il London stock exchange;
l'ulteriore stranezza riguarda il requisito dimensionale individuato nel mese di gennaio, ossia un attivo di 8 miliardi di euro; è così che sono rientrate nelle norme il Credito valtellinese, la Popolare di Bari e l'ormai "famosa" Banca popolare dell'Etruria e del Lazio;
il presidente della Commissione nazionale per la società e la borsa (Consob), Giuseppe Vegas, durante l'audizione svoltasi l'11 febbraio 2015 presso le Commissioni riunite della Camera VI e X, nell'ambito dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge, ha infatti denunciato operazioni potenzialmente anomale sui titoli di comparto delle banche popolari prima del 16 gennaio 2015, precedentemente quindi a qualsiasi annuncio sulla riforma delle banche popolari;
durante l'audizione, Vegas ha dichiarato che gli uffici di vigilanza della Consob avevano rilevato un abuso di informazioni privilegiate riguardo al contenuto del decreto banche popolari: il 16 gennaio, ha affermato, si può certamente assumere come data in cui «il mercato» ha avuto «ragionevole certezza dell'intenzione del Governo» di adottare un provvedimento sulla riforma delle banche popolari, poiché soltanto in questa giornata, a mercati già chiusi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dato annuncio del futuro decreto-legge. Presumibilmente, però, alcune «indiscrezioni» avevano già cominciato a circolare dal 3 gennaio;
sulle memorie dell'audizione del presidente della Consob si legge, inoltre, che «all'inizio di gennaio 2015 le PNC sul titolo erano superiori alla media di mercato, attestandosi intorno al 4 per cento del capitale sociale dell'emittente. Dopo l'annuncio della riforma sono diminuite al 3 per cento circa». Inoltre, le variazioni dei prezzi delle azioni della stessa banca, nel periodo tra il 2 gennaio e il 5 febbraio, sono aumentate del 56,69 per cento, con un volume di controvalori medi giornalieri negoziati in borsa pari ad oltre 5 milioni di euro;
dalle analisi effettuate sull'andamento delle azioni delle banche popolari focalizzate durante i primi giorni dall'anno 2015, la Consob ha osservato come, nella dinamica del mercato, nonostante la performance negativa delle banche popolari, si sia individuata la presenza di alcuni intermediari che hanno eseguito delle operazioni potenzialmente anomale: questi hanno infatti effettuato acquisti prima del 16 gennaio per poi procedere alla vendita nella settimana successiva. Dunque, sia pure in presenza di una flessione dei corsi, questi intermediari hanno ottenuto comunque elevati margini di profitto, stimabili in circa 10 milioni di euro;
a conferma di ciò, si aggiungono le intercettazioni della Guardia di finanza, diffuse in questi giorni dalla stampa, che riportano come un noto imprenditore molto vicino al Presidente del Consiglio dei ministri e noto finanziatore del Partito democratico avrebbe letteralmente ordinato all'amministratore delegato della principale società di intermediazione finanziaria del mercato italiano di procedere con un'operazione di circa 5 milioni di euro sulle popolari. La telefonata sarebbe arrivata proprio venerdì 16 gennaio e nella conversazione si rileverebbe la supposta certezza della bontà dell'acquisto grazie a fonti vicine alla Banca d'Italia;
lo stesso giorno dell'audizione del presidente Vegas, si è proceduto anche con il commissariamento della Banca dell'Etruria e del Lazio, per cui il Ministero dell'economia e delle finanze ha predisposto l'amministrazione straordinaria dell'istituto, su proposta della Banca d'Italia, i cui commissari sono arrivati proprio a consiglio di amministrazione in corso, durante la riunione in cui si sarebbero dovuti approvare i risultati del 2014 riportanti perdite per oltre 140 milioni di euro;
in una nota, la banca aretina ha attribuito tale decisione del Ministero a «gravi perdite nel patrimonio» dovute a «consistenti rettifiche sul portafoglio crediti». In realtà, la banca popolare era già stata oggetto di osservazione da parte dell'authority, a causa dell'andamento anomalo di alcune operazioni, con scambi pari a circa 20 milioni di euro corrispondente al 12 per cento del capitale sociale, rilevate nelle contrattazioni successive al fallito tentativo volontario di trasformazione da parte della stessa banca popolare in società per azioni, durante l'estate 2014, nella speranza di facilitare il salvataggio dell'istituto;
già in passato, la Banca Etruria aveva avuto problemi e, nel 2012 e 2013, due ispezioni della Banca d'Italia nell'istituto aretino avevano portato ad una maxi multa per 18 tra sindaci e amministratori, fra cui anche il padre del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento in carica, multato per 144.000 euro a causa delle sue «violazioni di disposizioni sulla governance, carenze nell'organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza»;
in quel periodo, il settore crediti era curato dal fratello dello stesso Ministro, coinvolto nell'indagine da parte delle Procure di Arezzo e Firenze per false comunicazioni sociali a danno dei soci e dei creditori, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto;
neanche un anno dopo, la stessa banca è ancora oggetto di un provvedimento d'urgenza del Consiglio dei ministri: per la prima volta, con il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante "Disposizioni urgenti per il settore creditizio", vengono applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario appena recepite con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, e Banca Etruria viene divisa in 2, separando, nel bilancio, la parte "buona", a cui sono state conferite le attività in bonis, da quella cattiva (compresi tutti gli asset cattivi), ossia le attività in sofferenza, accumulati in un'unica bad bank;
la costituzione delle nuove 4 banche previste da questo decreto, denominate rispettivamente Nuova cassa di risparmio di Ferrara, Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche e Nuova cassa di risparmio della provincia di Chieti, è posto a carico del sistema bancario italiano, grazie alla liquidità garantita al Fondo di risoluzione attraverso Intesa-San Paolo, Unicredit e Ubi banca, a cui si aggiungono gli altri istituti italiani, chiamati a contribuire con una rata annua di 600 milioni di euro, ma l'onere ricade anche sugli azionisti e titolari delle obbligazioni subordinate delle 4 banche. Ciò ha quindi coinvolto oltre 100.000 persone che hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita e in difesa delle quali si sono schierate le principali associazioni dei consumatori che accusano il Governo di aver messo in campo "un bail-in mascherato per salvare i quattro istituti". Molti risparmiatori affermano, infatti, di non essere stati sufficientemente informati dai loro istituti circa la pericolosità delle azioni e delle obbligazioni che sono stati invitati a sottoscrivere;
comportamenti speculativi fortemente aleatori e fortemente indirizzati ad attività ad alto rischio sempre più diffusi e, parallelamente, una presunta mancanza di vigilanza da parte della Banca d'Italia, in qualità di organo di vigilanza, suggeriscono la necessità di accertare la verità dei fatti che hanno portato le 4 banche al rischio di default, anche e soprattutto alla luce dell'ultimo tragico atto del risparmiatore di Civitavecchia che ha deciso di togliersi la vita dopo aver scoperto di aver perso i risparmi di tutta una vita;
un caso, quello del decreto-legge n. 183 del 2015, che si intreccia inevitabilmente con il richiamato decreto- legge n. 3 del 2015: il Governo, nel corso del 2015, ha quindi varato un decreto per trasformare la Banca dell'Etruria in società per azioni, spingendo i risparmiatori a comprare il titolo 3 settimane prima del commissariamento; ed ora, dopo aver azzerato i titoli, protegge gli amministratori, mettendo al riparo da iniziative di responsabilità sia i commissari che i vertici della banca;
quello che è certo è che i 3,7 miliardi del costo della spericolata operazione sulle 4 banche fallite colpisce tutto il sistema, incluse le banche "sane", indebolendolo di fatto. E questo non potrà che riverberarsi sul credito a famiglie e imprese, che diventerà ancora più "caro" e più "difficile" di quanto già non sia, con la connessa fuga degli investitori e l'aumento del rischio sistemico;
se da un lato l'operazione si è resa necessaria per evitare l'applicazione delle nuove regole europee sul bail-in in vigore dal 1° gennaio, dall'altro occorre mettere in luce che la crisi dei 4 istituti di credito avrebbe potuto essere gestita seguendo un percorso diverso. Infatti, le banche avevano proposto di perseguire un piano di salvataggio volontario con fondi versati interamente dal sistema bancario nazionale con meccanismo che non avrebbe pesato in alcun modo su nessuna categoria: correntisti, azionisti e proprietari di bond;
a questa soluzione, secondo quanto affermano il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan e la Banca d'Italia, si sarebbe opposta la Commissione europea, ravvisando la fattispecie di "aiuti di Stato", malgrado non fosse previsto nessun intervento di capitali pubblici;
decisione che appare molto discutibile, dal momento che, a partire dal 2008, la crisi finanziaria ha generato un'espansione senza precedenti degli aiuti di Stato a favore delle banche. Tra il 1° ottobre 2008 e il 1° ottobre 2015, la Commissione ha adottato 450 decisioni di autorizzazioni di aiuti pubblici nazionali a favore delle banche. Si tratta di Germania, Francia, Inghilterra, Portogallo, Irlanda e Spagna che hanno beneficiato maggiormente dell'apertura europea agli aiuti di Stato. E appena nello scorso mese di ottobre 2015 la UE ha dato il via libera all'ennesimo salvataggio nazionale di una banca tedesca, la HSH Nordbank di Amburgo;
stando quindi alla ricostruzione di Banca d'Italia e Governo, non è stato possibile fare ricorso al "Fondo interbancario di tutela dei depositi" per la «preclusione manifestata da uffici della Commissione Ue, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi di tale Fondo»;
ma la versione della Commissione europea è un'altra: «All'Italia sono state prospettate tre possibili strade per salvare le quattro banche in amministrazione controllata: una con fondi privati; una usando il "Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi"; una usando "Fondo di risoluzione nazionale". La decisione di scegliere la terza usando il Fondo di risoluzione nazionale è stata presa dalle autorità italiane»;
posizione confermata dal presidente e direttore generale dell'Associazione bancaria italiana (Abi), Giovanni Sabatini, in audizione in VI Commissione permanente (Finanze) alla Camera il 9 dicembre 2015: «Il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi è un fondo distinto, con suoi organi che avevano deliberato già da luglio degli interventi per risolvere la situazione delle quattro banche in amministrazione straordinaria. Ma poi non vi è mai stata per le quattro banche un'istruttoria formalizzata che possa aver portato la Commissione Ue a esprimere una specifica valutazione contraria sull'intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi»;
c'è ancora molto da chiarire. Senza dubbio la proposta del ministro Padoan di «misure umanitarie volte a tutelare le fasce deboli di cittadini che hanno perso i loro risparmi» è stata un implicito riconoscimento di responsabilità del Governo, che ha deciso di percorrere la strada del Fondo di risoluzione nazionale piuttosto che quella del Fondo interbancario di tutela dei depositi, e di chi doveva vigilare. Tanto più che al fondo interbancario è tornato il Governo per finanziare il fondo di solidarietà di 100 milioni di euro istituito per il ristoro degli obbligazionisti subordinati delle banche fallite;
alla luce delle vicende riportate, l'obiettivo è innanzitutto quello di fare chiarezza su chi ha sbagliato: 1) nelle 4 banche coinvolte, vale a dire amministratori e responsabili di vari livelli, che hanno venduto titoli inadeguati; 2) in Banca d'Italia, che è la responsabile della vigilanza sull'operato degli istituti che hanno emesso i titoli ora privi di valore; 3) in Consob, che è responsabile della correttezza dei prospetti informativi dei prodotti finanziari offerti ai risparmiatori; 4) nel Governo, alla luce degli interessi e dei conflitti di interessi in esso presenti;
in particolare, per questo ultimo punto, è necessario chiarire le fasi tecniche e i passaggi che hanno anticipato l'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto-legge n. 183 del 2015, i cui rilievi lasciano intravedere ampi margini di opacità che hanno già innescato processi degenerativi;
in particolare, va rilevato che la legge 20 luglio 2004, n. 215, recante "Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi", è molto chiara in merito agli obblighi di astensione in capo ai membri del Governo. Il riferimento non è soltanto per il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, il cui padre, come già detto, è stato per anni consigliere, e poi vice presidente (dal 2011 nel consiglio di amministrazione e da maggio 2013, 3 mesi dopo che sua figlia era entrata nel Governo, vicepresidente) della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio (di cui lo stesso Ministro è azionista), ma anche al Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto andrebbe chiarita la posizione del padre, in merito ai rapporti finanziari intrattenuti con il presidente della medesima banca;
secondo quanto disposto dall'articolo 3 della medesima legge, è evidente la sussistenza di un obbligo di astensione da parte del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento e dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri nell'adozione del decreto-legge n. 183 del 2015, data "l'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio" di "parenti entro il secondo grado";
anche volendo ammettere che il legame parentale fra il Ministro per le riforme costituzionali e il consigliere e vice presidente di Banca Etruria non abbia compromesso la riservatezza di informazioni che dovevano rimanere assolutamente private per non sconvolgere gli equilibri di mercato, non si può negare il coinvolgimento personale di un membro del Governo nella vicende legate alla Banca Etruria;
notizie riportate nelle ultime ore da alcuni organi di stampa, i quali ricostruiscono i legami tra la famiglia del Presidente del Consiglio, e dello stesso premier, con l'ex presidente della Banca Etruria, anche attraverso affari gestiti da società di marketing e immobiliari, di consistente valore, grazie anche all'adozione di alcune misure prese dalle amministrazioni renziane dell'ultimo decennio;
dunque, ad oggi Banca Etruria è attualmente coinvolta in 3 filoni di inchiesta allo studio della Procura di Arezzo: il primo che ha rilevato l'ostacolo alla vigilanza, che risale al marzo 2014 e trae origine dalla relazione degli ispettori della Banca d'Italia del 2013, e falsa fatturazione, relativamente al 2014;
il secondo riguardante un possibile conflitto di interessi cha avrebbe portato alcuni amministratori e sindaci ad avere vantaggi per 185 milioni di euro, in riferimento al periodo 2009-2014, accumulando 198 posizioni di fido a loro concessi;
l'ultimo, che dovrebbe arrivare in concomitanza con l'esposto degli obbligazionisti difesi dalle associazioni dei consumatori, riguarda l'ipotesi di truffa ai danni della clientela che potrebbe essere stata ingannata proprio da alcuni funzionari di filiale;
le ultime operazioni in materia di sistema bancario hanno inoltre investito il disegno di legge di stabilità per il 2016 varato dal Governo, approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica e giunto al suo passaggio alla Camera dei deputati, dove l'Esecutivo ha inserito il testo del decreto-legge n. 183 come suo emendamento, garantendosi l'approvazione di una misura così critica e probabilmente poco condivisa all'interno della stessa maggioranza, obbligata nei fatti attraverso la quasi certa apposizione della questione di fiducia a votare in senso favorevole;
l'inserimento di tali misure conferma un giudizio totalmente negativo nei confronti della manovra di finanza pubblica;
a latere, infatti, si rileva come il Governo risulti totalmente inadeguato a garantire, oltre alle misure di contenimento del deficit, il risanamento strutturale della finanza pubblica e il sostegno della ripresa economica e dell'occupazione;
tagliare le tasse in deficit, come previsto nel disegno di legge di stabilità, con conseguente creazione di debito, non ha alcun effetto positivo sull'economia, perché gli operatori, vale a dire famiglie e imprese, non spendono e non investono, consapevoli del fatto che, per ripagare il debito che si crea oggi attraverso il deficit, verranno aumentate le tasse domani;
se, da un lato, sarà compito degli organi giudiziari accertare eventuali responsabilità civili e penali che scaturiscono da una gestione viziata del potere per interessi personali, dall'altro lato è ovvio che i cittadini elettori non meritano di essere governati da un Esecutivo la cui autorevolezza viene minata dalle vicende che interessano da vicino il suo più importante membro;
visti gli articoli 94 della Costituzione e 161 del Regolamento del Senato della Repubblica, esprime la sfiducia nei confronti del Governo e lo impegna a rassegnare le dimissioni.