Sembra giunta al termine "l'avventura" dell'Unione Popolare, il gruppo guidato Maria Di Prato che aveva cercato di raccogliere le firme per un referendum popolare contro gli stipendi d'oro della casta dei parlamentari. A dirla tutta, la "rivoluzione gentile" dell'UP sembrava costruita fin da subito su una mistificazione, su una serie di incongruenze di fondo. Come vi avevamo raccontato qualche giorno fa, infatti, a non convincerci erano molti aspetti di una raccolta firme che sembrava soprattutto una grande operazione politico – mediatica (malgrado una spontanea e genuina mobilitazione sui social network):
Il punto è che questo referendum è “particolare” per una serie di ragioni. In primo luogo andrebbe sottolineato che una riduzione dei compensi ai parlamentari è già “realtà” (modifiche all'indennità stavolta), vergata nero su bianco da modifiche successive al decreto legge del luglio scorso. In questo senso la strada del referendum, ove basterebbe una legge di 2 righe, appare controversa e non del tutto giustificata […] Anche considerando che una consultazione popolare ha un costo non indifferente, che cancellerebbe abbondantemente il “risparmio” ottenuto dall'abolizione della diaria.
C'è poi un problema legato ai tempi, che non possiamo non considerare. Infatti, nel 2013 si voterà per le elezioni politiche e la legge non permette l'indizione di una consultazione referendaria nell'anno precedente, quindi anche un eventuale esame delle firme da parte della Cassazione (ove mai si raggiungesse il numero di 500mila segnature) dovrebbe partire nel 2013.
Il pasticcio sulle firme è poi divenuto di dominio pubblico e nell'affollatissimo gruppo facebook di Unione Popolare sono volati gli stracci, come si suol dire. Tanto che una sorpresa Maria Di Prato si è poi affrettata a chiarire la situazione, nonché la volontà di Unione Popolare di "andare avanti". Chiarire si fa per dire, ovviamente. Perché il video in cui si ribadisce che "il referendum è valido" è tutto fuori che chiarificatore, dal momento che evita accuratamente di toccare alcuni punti cruciali dell'intera vicenda. In primo luogo non spiega il perché la comunicazione sia stata così fuorviante e come si possa concepire un rapporto fiduciario con i firmatari basato su una mistificazione di fondo che equipara stipendi, indennità e diaria (basti solo la description del gruppo fb a testimoniarlo: Il pesce puzza sempre dalla testa e noi cittadini comuni, stufi delle promesse da marinaio dei deputati e avendo una dignita' come individui abbiamo deciso di abrogare i loro favolosi stipendi) . Ma soprattutto non chiarisce alcuni aspetti essenziali, altro che "in divenire" (e per una bella ricostruzione dell'intera vicenda si veda anche il post di Andrea Zitelli su valigiablu):
- Che fine faranno le firme raccolte finora?
- Che cosa le fa pensare che la legge che vieta la deposizione di una richiesta di referendum un anno prima delle elezioni politiche sia incostituzionale?
- Che vuol dire "raccoglieremo le firme anche ad ottobre?". E' rispettoso nei confronti dei tanti cittadini le cui firme andranno al macero?
- Come mai non hanno chiesto pareri autorevoli prima di gettarsi a capofitta in una raccolta – spot?
- Si rende conto che per evitare uno spreco di centinaia di milioni di euro basterebbe una leggina di due righe? (anche di "iniziativa popolare", tra l'altro)
Insomma contraddizioni ed errori che, assieme ai dubbi "politici" (sinceramente non crediamo che serva un referendum per decidere sugli "stipendi" di chicchessia, in particolare dei nostri rappresentanti), ridimensionano di molto la pretesa rivoluzione gentile del comitato (che si affanna sempre a presentarsi come "unico promotore" dell'iniziativa). Promotori che non possono nemmeno lamentarsi più di tanto, dal momento che cavalcando il "populismo ai tempi dei social network" hanno già avuto i loro dieci minuti di celebrità. Ora sarebbe il caso di tornare a discutere di cose serie. Altro che complotti mediatici.