Il Partito Comunista Cinese: “Vietato suicidarsi se si è indagati per corruzione”
Vietato suicidarsi in Cina, almeno secondo uno dei massimi esponenti del Partito Comunista che – nel corso di un lungo editoriale – ha dichiarato che "la morte non deve essere una via i scampo" per i funzionari politici finiti nelle maglie della giustizia. Quello che sta succedendo a Pechino e dintorni è infatti piuttosto curioso. Alcuni politici finiti nel mirino della commissione disciplinare del partito hanno deciso di farla finita: dall'inizio dell'anno i suicidi sono stati una trentina, con un tasso nettamente superiore rispetto a quello degli altri cittadini. Per questo, in un editoriale Lin Zhe – dirigente della Scuola centrale del partito comunista – ha scritto: "Bisogna adottare misure per bloccare le vie di fuga giudiziarie per i corrotti che cercano di evitare la punizione con il suicidio". Secondo la funzionaria politica le persone che si tolgono la vita causano un danno non indifferente al paese perché, di fatto, impediscono il pieno compimento delle indagini e la scoperta di complici e collaboratori. La legge cinese, infatti, prevede l'interruzione di un procedimento giudiziario in caso di decesso dell'indagato.
Quella contro la corruzione è una battaglia che la Cina sta combattendo con determinazione da un paio d'anni: se nel 2012 gli indagati erano 20mila, l'anno successivo sono diventati 182mila: progetto del presidente Xi Jinping è infatti quello di fare piazza pulita non risparmiando neppure i membri del suo partito, tra i quali non ci sono solo piccoli funzionari ma anche personalità ai vertici. Per questo la battaglia contro la corruzione dovrà trovare il modo di andare fino in fondo e di evitare, in una maniera o nell'altra, che molti indagati si tolgano la vita e la ostacolino.