Giappone, un anno dopo. Il ricordo dell’apocalisse
Ci sono date che entrano a far parte inesorabilmente della storia socio-culturale di un popolo. In Giappone ogni 6 e 9 agosto ricordano gli oltre 100 mila morti dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki che scrissero, di fatto, la parola fine sulla Seconda Guerra Mondiale. Due date tristemente note, il cui ricordo, da quest'anno, viene in qualche modo anticipato di qualche mese. L'11 marzo è e sarà un giorno impresso nella coscienza collettiva del Giappone.
Per il popolo del Sol Levante questi dodici mesi sono stati i più duri degli ultimi 60 anni. Erano le 14.45 (le 7.45 italiane) quando un devastante terremoto (9 gradi della scala Richter, con lo spostamento dell'asse terrestre di 17 centimetri) colpì la costa nord-occidentale del Giappone, provocando uno tsunami che spazzò via automobili, barche, case, persone, intere cittadine. I morti accertati furono 15.850, decine di migliaia i dispersi. La prefettura di Miyagi fu una delle più colpite. Nella solo cittadina portuale di Minamisanriku vivevano circa 17.000 persone. Oggi non esiste più niente. 3mila sono state le vittime, centinaia coloro che mancano ancora all'appello, il resto della popolazione è stata sfollata.
Gli effetti collaterali furono altrettanto sconvolgenti: il disastro della centrale di Fukushima, ad oggi, è il peggior incidente nucleare al mondo dopo Chernobyl.
A distanza di 365 giorni, il Giappone deve affrontare ancora sfide colossali. Secondo la World Bank la combo sisma/tsunami/nucleare ha causato danni economici per almeno 225 miliardi dollari; le enormi quantità di detriti provenienti da più di 125.000 edifici distrutti, sono state smaltite o incenerite solo per il 5%; la maggior parte delle persone che vivevano nelle zone costiere di un Paese che fa oltre 127 milioni di abitanti, oggi, soggiornano ancora in complessi abitativi permanenti, baracche molto spesso.
«Da qualche parte in queste acque grigie si trovano ancora centinaia, forse migliaia di corpi, senza nome, la cui morte causata da uno dei peggiori disastri di sempre del paese non è stata reclamata» scrive l' Agenzia France-Presse. Secondo l'organo di stampa, «una vittima su sei non è ancora stata trovato». Molte le città che si chiedono dove stivare i milioni di tonnellate di macerie, che le correnti potrebbe far arrivare negli Stati Uniti nel giro di due anni. «Interi segmenti di case in legno, mobili, elettrodomestici , automobili e barche; le isole di rifiuti stanno generando una crescente preoccupazione a causa dell'inquinamento ambientale,» scrive il Telegraph. «La possibilità di scovare dei corpi tra le macerie è elevata, tenendo conto delle migliaia di vittime che mancano ancora all'appello del disastro» continua il quotidiano britannico.
Di fronte ad una tragedia di tale portata, la strada scelta è stata quella dell'emigrazione di massa. «Più di 38.000 abitanti hanno lasciato le zone colpite dallo tsunami tra marzo e agosto 2011, il più grande esodo dal 1969» si legge su Reuters. Inutile ricordare gli effetti del terremoto sull'economia nipponica: il costo del riso è salito dal 10% al 15% rispetto all'anno precedente i prezzi delle materie prime «affondano nel rischio di un'altra crisi globale, mentre lo yen, vicino ai massimi dal dopoguerra, riduce il costo delle importazioni», afferma Bloomberg. Per quel che riguarda il rischio di contaminazione nucleare, le autorità sostengono che ci potrebbero volere 20 o più anni per fare sì che i residenti colpiti dalla crisi dell'impianto di Fukushima Daiichi, possano tornare nelle case da dove sono fuggiti. Per la società che gestisce la centrale -Tokyo Electric Power Co. – potrebbe rendersi necessario un pagamento di 4,5 trilioni di yen per indennizzare le persone che hanno perso le loro case ei mezzi di sussistenza a causa delle radiazioni rilasciato dalla centrale nucleare di Fukushima,» riporta anche Bloomberg. E come se non bastasse l'istituto di sismologia dell'Università del Nevada riferisce che gli avvenimenti dell'11 marzo 2011 sono «un severo monito del potenziale che può avere un altro terremoto lungo la costa del Pacifico nord-occidentale».
Eppure, ad un anno di distanza da quel maledetto giorno, il Giappone vuole risollevarsi con tutte le proprie forze. La dignità e il coraggio del Paese del Sol Levante hanno spinto questo popolo, sin dai primi attimi della tragedia a guardare avanti, consapevole che il disastro era inevitabile. “Shikata ga nai” è l'espressione usata dai metodici e pragmatici giapponesi per indicare qualcosa che va al di là delle proprie forze; eventi contro cui nulla si può fare, tranne rimanere fermi. Per poi ripartire. “Japan is back”, ha detto l’ambasciatore nipponico in occasione del suo incontro a Roma col Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Il Governo centrale giapponese, nonostante un debito pubblico del 250%, ha stanziato un budget enorme, qualcosa come 13,5 miliardi dollari: la più grande cifra mai registrata per venire incontro ad una ricostruzione. Ma non basta. In aiuto del Giappone è venuta anche la comunità internazionale, tutta. Basti pensare che anche uno stato come l'Afghanistan, da sempre in guerra, ha donato al governo di Tokyo 50mila dollari come gesto simbolico. Solo così è stato possibile ricostruire alcuni punti colpiti dal sisma; strade, strutture, città già rimesse a nuovo. Ma è ancora solo l'inizio.
Un discorso a parte deve valere per la questione nucleare. Il blackout della centrale di Fukushima non fu un vero e proprio disastro. Le fusioni parziali del nocciolo nei reattori 1, 2 e 3, le fiamme e le esplosioni nei reattori 2, 3 e 4, sono solo un assaggio di quella che sarebbe potuta essere la catastrofe atomica, innescata dallo tsunami. Ora la situazione è sotto controllo (dicono da Tokyo), ma il Giappone si interroga sull'utilizzo del nucleare che ad oggi soddisfa circa il 25% del fabbisogno energetico del paese. Delle 54 centrali presenti nello stato asiatico, solo due sono ancora attive, una di queste verrà disattivata tra due settimane e l’ultima quasi certamente a fine aprile. Se per allora nessun altroa impianto verrà rimesso in funzione, per la prima volta negli ultimi 50 anni il Giappone non avrà più energia nucleare. A ben vedere una loro riattivazione rischia di provocare la protesta di una popolazione che raramente ha alzato la propria voce prima del marzo scorso. «Credo che molte persone si rendano conto di essere state prese in giro dal governo e dall'industria nucleare», afferma Nobuyoshi Ito, contadino e attivista, rimasto senza lavoro dopo i fatti di Fukushima. «Questa crisi ha costretto le persone a sedersi e prendere atto di ciò che sta accadendo intorno a loro». Il signor Ito fa capire come la posta in gioco sia estremamente alta. «Il disastro è avvenuto a Fukushima, ma potrebbe accadere ovunque in Giappone, perché abbiamo così tanti terremoti».