Già in passato ci era capitato di parlare del finanziamento pubblico ai giornali e più volte avevamo sottolineato come si trattasse di una problematica che investe "la sostenibilità di un modello che di fatto vincola l'esistenza e la sopravvivenza delle testate giornalistiche al finanziamento pubblico, malgrado l'incapacità di competere in un mercato in continua evoluzione". Una tematica tornata prepotentemente alla ribalta nelle ultime settimane, con la paventata chiusura di molte testate "storiche", dopo i tagli (in realtà ci sarebbe da discutere…) effettuati dal Governo Berlusconi e sostanzialmente "ratificati" dal nuovo esecutivo a guida Mario Monti. E se come era lecito attendersi c'è chi "esulta", con la decisa esternazione di Beppe Grillo secondo cui "il 2012 non sarà del tutto negativo. Porterà in dono anche la chiusura di molti giornali finanziati con soldi pubblici, veri cani da guardia dei partiti", allo stesso tempo sono in molti a muovere obiezioni sostanziali alla "deriva qualunquista che si trasforma in un vero attacco alla libertà di stampa".
L'ultima polemica in ordine di tempo vede coinvolti Antonio Padellaro e la redazione de L'Unità, con la diffusione un documento del 1° agosto 2006 firmato tra gli altri proprio da Padellaro (allora direttore de L'Unità), in cui si sosteneva la necessità che i "5 giornali di partito" (l'appello era firmato anche da Stefano Menichini di Europa, Piero Sansonetti di Liberazione, Gianluigi Paragone de La Padania e Flavia Perina de Il Secolo XIX) usufruissero di finanziamenti pubblici "sicuri, puntuali e riservati solo a loro" per colmare una "ingiustizia" nell'accesso agli investimenti pubblicitari.
Chiaramente la questione si presta ad una serie di interpretazioni di diverso tipo, ma prima di tutto necessità di un doveroso chiarimento. La stessa polemica de L'Unità fa riferimento ad una particolare "tipologia" di finanziamento pubblico, denominata "Contributi per testate organi di partiti e movimenti politici che abbiano il proprio gruppo parlamentare in una delle camere o rappresentanze nel Parlamento europeo, o che siano espressione di minoranze linguistiche riconosciute, avendo almeno un rappresentante in un ramo del Parlamento italiano, ovvero che, essendo state in possesso di tali requisiti, abbiano percepito i contributi alla data del 31.12.2005". Contributi di cui beneficiano le seguenti testate (la tabella fa riferimento allo stanziamento per il 2010, nella sostanza riconfermato l'anno successivo):
Contributi per testate organi di partiti o movimenti politici
Parte rilevante invece acquisisce il finanziamento di un'altra "tipologia" di giornali, ovvero quelli "editi da cooperative di giornalisti (Art. 3 comma 2 Legge 250 /1990), non fosse altro che in relazione alle numerose polemiche sollevate da alcune "scelte societarie". Nel dettaglio, possiamo notare come a beneficiarne siano ben 29 testate:
Contributi per testate edite da cooperative di giornalisti
Altro settore (si fa per dire, considerata l'entità dei fondi messi a disposizione) quello relativo ai quotidiani che ricevono copiosi contributi in quanto "editi da imprese la cui maggioranza del capitale sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali, secondo l'articolo 3 comma 2 bis della legge 250 del 1990). Nello specifico è interessante notare il "peso specifico" di alcune testate che beneficiano di tali sovvenzioni (nella tabella manca La Voce di Romagna, che riceve ben 2,5 milioni di euro):
Contributi per quotidiani editi da imprese la cui maggioranza sia detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali
Di un certo rilievo (oltre 4,5 milioni di euro) il contributo che il Fondo per l'editoria mette a disposizione dei "quotidiani italiani editi e diffusi all'estero secondo le modalità disciplinate dall'articolo 3 comma 2 tre della legge 250/1990", così come parimenti importante è il sovvenzionamento dei quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle D'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (circa 5,5 milioni di euro). Anche in questo caso i dati sono aggiornati al 6 giugno 2011 e disponibili sul sito del Governo:
Contributi per quotidiani editi e diffusi all'estero (oppure) in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome
Con un capitolo a parte vengono invece rimpinguate le casse di quelle "imprese editrici di quotidiani o periodici organi di movimenti politici, trasformatesi in cooperativa entro e non oltre il 1° dicembre 2011", con riferimento al relativo articolo 153 della legge 388/2000. A beneficiarne in maniera cospicua la società editrice de Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara, ma non solo:
Contributi per quotidiani organi di movimenti politici trasformatesi in cooperativa
Ovviamente i dati riportati sono quelli diffusi dal governo, disponibili sul portale del Dipartimento per l'informazione e l'editoria ed aggiornati a giugno 2011. Un capitolo a parte, di cui ci occuperemo in un report di prossima pubblicazione, merita il sovvenzionamento dei periodici, che fanno riferimento alle ormai "proverbiali" cooperative, fondazioni ed enti morali (e vi assicuriamo che ci sono alcune voci che meritano un'attenta considerazione…).
UN'ANOMALIA ITALIANA – In un quadro siffatto non sorprende il tenore delle polemiche seguite alle prime indiscrezioni di tagli e ridimensionamenti di tale mole di trasferimenti. Una situazione già vissuta in passato e recentemente tornata alla ribalta con il fuoco di fila sul Ministro Tremonti e il successivo compromesso abbozzato dalla costituzione del fondo Letta. Senza mezzi termini la questione è abbastanza semplice: senza i fondi pubblici un gran numero di testate rischia la chiusura, con la cancellazione (certa) delle pubblicazioni cartacee, un difficoltoso e complesso riposizionamento online e la perdita di centinaia di posti di lavoro. D'altro canto però, quella del finanziamento pubbblico ai giornali è davvero un'anomalia tutta italiana, una misura che rasenta l'assistenzialismo e, nel mutato quadro dell'informazione, finanche una insostenibile ingiustizia nei confronti delle migliaia di aziende che operano nel settore senza ricevere alcun tipo di finanziamento. Sulla questione si è lungamente dibattuto, in gran parte dei casi partendo da posizioni consolidate e sempre "interessate", tanto che risulta quasi impossibile ipotizzare una "sintesi concettuale condivisa". In buona sostanza, o si ammette come legittimo il presupposto in base al quale una "certa" tipologia di giornale è "più uguale degli altri", oppure non si può che convenire che questa assegnazione di ingenti somme di denaro pubblico è una anomalia su cui intervenire. Il che non vuol dire svalutare la funzione ed il ruolo di quotidiani "storici" e di alto profilo culturale, nè sminuire la funzione essenziale della stampa e dell'informazione (e su questo aspetto le considerazioni si sprecherebbero), nè soprattutto ignorare le ricadute in chiave occupazionale degli addetti del settore. Si tratta semplicemente di capire fino a che punto è sostenibile questo modello assistenzialista e (nella sostanza) discriminatorio, che ha prodotto situazioni al limite del paradossale (come vi mostreremo anche nella seconda parte dedicata ai "periodici"). Tutto qui, insomma.