Che spesso nel vortice delle polemiche e delle analisi si finisca con il perdere di vista il vero oggetto del contendere è ormai un dato assodato, che fa parte del nostro stesso modo di rapportarci alla cronaca politica. L'evento del momento è stato l'incontro fra Renzi e Berlusconi, fra il rottamatore e l'intramontabile, fra l'uomo solo al comando del Pd e l'uomo sempre, da sempre e per sempre al comando di Forza Italia, fra colui che oscilla da sempre fra "forma e sostanza" e colui che ha reso l'una indistinguibile dall'altra in modo da spostare sempre l'attenzione dai fatti alla rappresentazione, o meglio alla propaganda. Litri di inchiostro, vagonate di bit, milioni di parole sul "valore simbolico" dell'incontro, sulla "piena sintonia" tra i due, sulla nascita del "Renzusconi", sulla personalizzazione della politica, sull'esautorazione del ruolo del Parlamento e via discorrendo. Tutto sacrosanto, ci mancherebbe. Ma l'impressione è che siano molte le questioni rimaste inevase e che a far difetto sia anche un po' di memoria storica.
L'incontro tra Renzi e Berlusconi non è affatto risolutore, a pensarci bene. E fino a che la legge elettorale non sarà stata messa nero su bianco, portata in Commissione, approvata nei due rami del Parlamento e controfirmata dal Presidente della Repubblica, non è opportuno sbilanciarsi. Troppi sono stati gli intoppi nel percorso di ridefinizione della legge elettorale negli ultimi anni. Troppo legata alla mutevolezza dei sondaggi è la volontà politica del Cavaliere. Troppo acerba è la presenza di Renzi all'interno del partito, con tutto ciò che ne consegue in termini di "controllo" dell'attività parlamentare. Troppo forti si preannunciano le resistenze delle altre forze politiche e troppo frequenti sono stati gli "agguati parlamentari" degli ultimi anni. Troppi sono stati i fallimenti ed i pasticci di questo Governo da lasciar pensare ad un "disinteresse" di Letta per la vicenda. Infine, troppo pochi si ricordano di cosa avvenne con la Bicamerale di Massimo D'Alema (e converrebbe rileggere le cronache politiche di quelle settimane per notare come "i toni" somigliassero decisamente a quelli usati in queste ore). Insomma, fino alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ci sia consentita estrema prudenza sulla proficuità dell'incontro di sabato. E senza nemmeno toccare la questione delle "riforme istituzionali".
I punti dell'accordo poi sono quantomeno singolari e riflettono un decisionismo del quale probabilmente non si è parlato abbastanza. Il Cavaliere, senza un minimo di dibattito interno, ha ascoltato la proposta renziana e ha preso una decisione. Il Sindaco di Firenze ha prima fatto un ventaglio di proposte, poi si è recato all'incontro col leader di Forza Italia e solo dopo ha messo la direzione del suo partito di fronte al fatto compiuto. Legittimamente, sia chiaro, ma con una mossa che cambia completamente prospettiva. È un cambio di variabile determinante, perché non si capisce in che modo, dopo tanto casino, i membri della direzione potrebbero assumersi la responsabilità di far saltare il banco.
Del modello prescelto poi si è parlato poco, pochissimo. Dando per scontato che non valesse la pena combattere fino in fondo alcune battaglie, come le preferenze, la questione di genere, una adeguata rappresentanza territoriale delle zone interne. Oppure saltando completamente il ragionamento sul "consenso" che, al di là delle alchimie regolamentari, resterebbe l'unico discrimine per la governabilità. Anche in questo caso lo si è fatto per ragioni valide. O per logiche di appartenenza e convenienza politica, a seconda delle interpretazioni.
C'è poi sempre la questione "Beppe Grillo", che non può in alcun modo essere liquidata in poche battute. Perché l'idea che la seconda forza politica del Paese non contribuirà in alcun modo alla stesura della nuova legge elettorale non può essere derubricata a questione minore. Certo, la linea scelta dai cinque stelle è paradossale: come si può pensare di evitare completamente il confronto con gli altri leader sulle regole della democrazia è un mistero del quale probabilmente nemmeno Grillo e Casaleggio sono in grado di svelare le ragioni. Così come al limite dell'assurdo è la pretesa di "discutere in rete a febbraio" (ma non eravamo nel millennio della velocità e della rapidità decisionale?), o quella irrealistica e strumentale di "fare la riforma dopo aver vinto le elezioni". Insomma, una gestione frettolosa e discutibile, come nota anche Travaglio: "Renzi s'è rivolto anzitutto a Grillo che ha commesso un grave errore nel rispondere picche, rinchiudendosi autisticamente nel web referendum fra gli iscritti".
Ma l'assenza di Grillo dal percorso preparatorio alla discussione parlamentare (nella fase successiva è facile prevedere che i cinque stelle daranno battaglia "a prescindere" in Aula e nelle Commissioni) rischia comunque di togliere legittimità all'intero progetto renziano. E Renzi ha il dovere di compiere un passaggio ulteriore. Sfidando pubblicamente Grillo, magari invitandolo proprio al Nazareno, in streaming, come piace a tutti (beh…). Riceverebbe un rifiuto sprezzante, lo sappiamo. Ma lascerebbe Grillo con in mano solo armi spuntate: un rischio da correre.