DDL Madia: i beni culturali cementificati con il silenzio assenso?
Ad ascoltarli bene i discorsi di Matteo Renzi avrebbero già dovuto lanciare l'allarme: troppe volte il Presidente del Consiglio si è scagliato contro le Soprintendenze Culturali viste come "ostacolo burocratico" al cambiamento e infatti basta frugare con attenzione nella riforma Madia della Pubblica Amministrazione per cogliere una modifica di legge che ha già acceso l'allarme.
Secondo l'articolo 3 al comma 3 infatti dice che passati 90 giorni (erano 60 e sono stati poi innalzati) dalla richiesta di parere alla Soprintendenza da parte di una pubblica amministrazione per interventi in aree sottoposte a vincolo, in assenza di risposta dagli uffici della Soprintendenza i richiedenti in questione (solo pubbliche amministrazioni) possono procedere anche senza il suo parere (“Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito”). In pratica il vincolo ambientale ed artistico viene pericolosamente depotenziato in nome dell'efficientismo renziano che punta su una deregolamentazione piuttosto che su uno snellimento.
La vicenda (poco raccontata dalla stampa nazionale) ha mosso fin da subito le critiche accese del Consiglio superiore del Mibact (il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) che ha definito la nuova norma "uno strumento rozzo e pericoloso, rappresenta una risposta sbagliata ad una esigenza giusta e risulta inefficace per contrastare pratiche corruttive. In un campo tanto delicato, come quello della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, è assolutamente necessaria una valutazione tecnica esplicita da parte degli uffici competenti, anche per ribadire l’esigenza di una loro responsabilizzazione in scelte così importanti per il patrimonio dell’intera comunità nazionale e mondiale”. Alcuni giuristi e intellettuali (da Dario Fo a Corrado Stajano, Salvatore Settis, Stefano Rodotà e molti altri) definiscono il disegno di legge come "il più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un governo della Repubblica", definendolo addirittura come "attacco finale e definitivo".
Legambiente non usa mezzi termini definendo il silenzio assenso "una risposta sbagliata ai problemi, reali, di velocità della risposta della pubblica amministrazione e di presa di responsabilità da parte dei diversi Enti. I ritardi delle pubbliche amministrazioni nelle decisioni ambientali, a nostro avviso, sono imputabili non solo alla durata formale dei procedimenti, ma ad una inadeguata istruttoria che precede la conclusione del procedimento. Ci si concentra troppo sull’esito finale del procedimento, senza porre rimedio alla frammentazione delle competenze ambientali ripartite tra troppi enti distinti, non si tiene in debito conto la non adeguata formazione del personale pubblico – che spesso è carente anche quantitativamente – preposto ad assumere le decisioni, che deve districarsi in una legislazione tracimante, spesso contraddittoria e di difficilissima applicazione. In ultimo, esiste una incapacità da parte della pubblica amministrazione di coinvolgere il pubblico prima dell’avvio dei procedimenti decisionali a rilevanza ambientale, inserendo così il conflitto alla fine del procedimento. Per questa ragione proponiamo che il dibattito pubblico e la partecipazione dei cittadini assuma un ruolo fondamentale nelle decisioni della pubblica amministrazione per rendere le decisioni più trasparenti e più condivise”.
Ma non è tutto: all'articolo 7 la legge stabilisce un'evoluzione delle prefetture in «uffici territoriali dello Stato, quale punto di contatto unico tra amministrazione periferica dello Stato e cittadini»delegando al governo la «confluenza nell’Ufficio territoriale dello Stato di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni civili dello Stato» creando il rischio di un evidente conflitto di interessi tra Prefetture e Soprintendenze. Un ordine del giorno approvato alla Camera "impegna il Governo a prevedere che le funzioni dirette di tutela, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali rimangano di competenza esclusiva ed autonoma dell’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali" ma sono in molti a credere che tra la snella velocità della prefettura e l'analisi approfondita delle Soprintendenze potrebbe facilmente "vincere" la prima.
Va detto che ancora una volta Renzi e i suoi hanno chiuso ogni possibile trattativa con i soggetti interessati (oltre al Mibac sono state moltissime le associazioni che hanno chiesto di rivedere la legge) e ovviamente ora saranno i decreti attuativi a comporre l'esatto funzionamento del nuovo organigramma; resta però un articolo della Costituzione (l'articolo 9) che recita “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione” ed oggi stupisce per la lungimiranza. Un articolo antico (deriva dalla nascita dei Comuni nel XII secolo) eppure modernissimo che già con il Governo Berlusconi era stato oggetto di attacchi in nome di un presunto modernismo. Ora, nel Paese che si definisce il più bello del mondo, qualcuno teme che Renzi (ancora una volta) osi lì dove nemmeno Silvio riuscì ad arrivare.