“Dalle uno schiaffo” è il video-esperimento ideato e realizzato da Luca Iavarone per la testata Fanpage.it e che ha raggiunto un totale di 4 milioni di visite: 570.000 sulla piattaforma Youmedia, 2.800.000 sulla pagina principale di Fanpage su facebook, poi Youtube, e poi ripreso da Repubblica e dal Fatto Quotidiano.
Un successo eccezionale: soli 3 minuti per un argomento complesso e pieno di implicazioni come quello della violenza alle donne. L'eccezionalità innanzitutto è quella dei protagonisti: dei bambini dai 7 agli 11 anni, non attori, chiamati a interagire con una loro coetanea, una bambina di nome Martina che fa da “ cavia”.
Il meta messaggio è ricavato nella forma del gioco che per i bambini è la cosa più seria che ci sia, e del resto proprio in questo ambito passano i loro messaggi più importanti. Una “voce” esterna autorevole, un adulto con una telecamera, ingiunge di giocare con la bambina che hanno davanti: darle una carezza o farle una smorfia. La stessa partecipazione immediata e divertita si interrompe quando la “voce” ordina di picchiare anche duro. Tutti istintivamente escono dal gioco e si fermano. I bambini riescono a resistere, distinguono perfettamente l'area del gioco da quella della coscienza. Ora non si scherza. Ovviamente usando il linguaggio degli adulti, che è il solo cui possono fare riferimento, replicano : “una donna non si tocca neanche con un fiore”, “sono uomo e quindi non picchio una donna”.
Il messaggio del video non è certo il linguaggio usato dai bambini, che è per forza di cose quello che sentono in famiglia, a scuola, in parrocchia e forse a sua volta figlio di altri stereotipi accumulati. Quello che conta è il meta linguaggio istintivo della disubbidienza a una voce autorevole che potrebbe essere nella vita la tv, la famiglia, la scuola, l'ambiente.
Il video realizzato da Fanpage.it non è affatto pensato per bambini, non ha affatto un carattere pedagogico o istruttivo, e del resto è pubblicato su un sito di informazione che certo non è raggiunto se non casualmente da bambini di quell'età. Ha invece un intento informativo e dimostrativo: “in negativo” è una testimonianza di quanto il fattore “disumano” abbia il sopravvento quando si è adulti, di quanto gli adulti che fanno violenza alle donne non siano in grado di disobbedire a un istinto patriarcale e primitivo più indotto che innato, di quanto aderiscano invece in modo ottuso a un modello prevaricatore che è allora solo figlio di una cultura proveniente dall'esterno: dai media, dai comportamenti, dalla propria fragilità, dall'incapacità a relazionarsi con una donna, la rabbia di vederla con maggiore potere, etc.
Le reazioni in rete sono state – per fortuna – molto vivaci, molto contrastanti e fondamentali per completare l'esperimento. Soprattutto la dicono lunga sul pantano del dibattito in cui volge la questione della “violenza alle donne”. Una serie di proteste è tenuta insieme da un filo unico che differenzia il mondo adulto da quello dei bambini: per gli adulti la violenza a una donna non è un tabù ma è una fatto sul quale si deve ragionare, distinguere, parlare. Per continuare a giustificarlo, forse?
La parte più interessante sono le proteste per aver escluso tutto il rimanente universo mondo, per non aver parlato di violenza tout court, per aver escluso allora i gay o chiunque subisca discriminazioni, che non sono certo pochi. Non importa voler esprimere il concetto sulla violenza alle donne, importa che non si sia stato espresso quello che il lettore si aspettava o desiderava venisse rappresentato. Si è visto quello che non c'è non quello che si è denunciato in 3 minuti.
L'altra critica è sulla (voluta) non- soggettività della bambina, che non fa gesti, che non interagisce se non come cavia, che non parla ma è “vittima”. Appunto quello che si voleva dire. La violenza degli uomini arriva precisamente in un quadro di assenza di reazione e di mancanza di soggettività femminile. Ancora una volta si è detto “in negativo” cosa fanno gli adulti davanti a una donna che si pone senza soggettività e interazione: prevaricano.
E' un video che deve informare a partire da altri linguaggi che riproducono però la realtà: un dato culturale forte che ingiunge, una donna in posizione di non interazione, e la reazioni. Se per i bambini esiste il tabù della violenza che diventa disubbidienza, per gli adulti esiste “parliamone”, “ sì, ma…” , “ e allora perché anche non questo o quest'altro”.
E questa è solo la conferma dell'esperimento.